Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14815 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 05/07/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 05/07/2011), n.14815

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

VILLA FROHSINN SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO CONFALONIERI 5 presso

lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MULSER ALFRED, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA GENERALE DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9/2006 della COMM. TRIBUTARIA 2^ GRADO di

BOLZANO, depositata il 15/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA CONCETTA SAMBITO;

udito per il ricorrente l’Avvocato FEDERICA MANZI per delega Avv.

MANZI LUIGI, che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato PISANA CARLO MARIA, che ha chiesto

l’inammissibilità o comunque il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 9/3/2005, depositata il 15 febbraio 2006, la Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano ha confermato la decisione di rigetto dell’impugnazione proposta dalla S.r.l. Villa Frohsinn avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro ed irrogazione delle sanzioni emesso a seguito della revoca dei benefici fiscali concessi alla contribuente, al momento dell’acquisto di un immobile soggetto a tutela storico-artistica, conseguente alla realizzazione di lavori di ristrutturazione abusivi.

Per la cassazione di tale sentenza, ricorre la Società Villa Frohsinn in base a quattro motivi, ai quali resiste l’Agenzia delle Entrate, con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va, innanzitutto, esaminata l’eccezione, sollevata con la memoria ex art. 378 c.p.c., d’inammissibilità del controricorso perchè depositato dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Bolzano, soggetto privo di legittimazione a resistere. L’eccezione è infondata. Le Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze n. 3116 del 2006 e n. 22641 del 2007 hanno, infatti, riconosciuto agli Uffici periferici dell’Agenzia la legittimazione a stare in giudizio in via concorrente e alternativa rispetto a quella del Direttore presso la sede centrale, in ossequio, tra l’altro, al principio di effettività della tutela giurisdizionale -che, al contrario di quanto postulato dalla ricorrente- impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità.

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia vizio di motivazione nonchè violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 68 e della L. n. 212 del 2000, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, deducendo che i giudici d’appello hanno rigettato l’eccezione di nullità dell’avviso di liquidazione, perchè firmato dal Dirigente dell’Area di Controllo, invece che dal Direttore Generale, omettendo di valutare i motivi d’appello, e limitandosi a rinviare alla motivazione della sentenza di primo grado. In via subordinata, la ricorrente sostiene che i giudici d’appello hanno errato nell’affermare che l’Agenzia costituisce un organo del Ministero, quando invece la stessa è dotata di personalità giuridica autonoma, ed è rappresentata dal Direttore Generale “sicchè la presenza sull’atto impugnato della firma di persona diversa dal direttore generale si pone in stridente contraddizione” con tale disciplina. In ulteriore subordine, la ricorrente afferma che, anche a ritenere la competenza alla firma dei direttori delle Agenzie periferiche, in nessun caso tale capacità potrebbe esser riconosciuta in testa al Capo Area, come sostenuto nell’ impugnata sentenza.

La denuncia del vizio motivazionale è inammissibile, sia perchè deduce, contraddittoriamente, che la motivazione è, al contempo, omessa e erronea, sia perchè censura l’errore della motivazione in diritto, vizio che in se è irrilevante, dato che questa Corte, in caso di dispositivo conforme a diritto, deve solo procedere, ex art 384 c.p.c., o a correggere la motivazione o ad esporla. Il sub-motivo relativo alla violazione di legge -che contiene un errore materiale nell’indicazione della norma violata (lo Statuto del Contribuente invece dello statuto dell’Agenzia, approvato con deliberazione del Comitato direttivo del 13.12.2000, n. 6, pubblicato in G.U. 20.2.2001 n. 42)- è, del pari, inammissibile laddove attribuendo alla sentenza argomenti che in essa non sono affatto svolti, espone critiche che non sono pertinenti rispetto al contenuto della decisione, che, ha rigettato l’eccezione, reiterata in appello, di nullità dell’atto impositivo, per mancata sottoscrizione da parte del soggetto abilitato, ritenendo legittima la “sottoscrizione del delegato di firma per l’area assegnata secondo quanto prevedono le norme che disciplinano il funzionamento dell’Agenzia delle Entrate”. La censura è, invece, infondata in relazione all’affermata necessità che tutti gli atti dell’Agenzia debbano esser necessariamente sottoscritti dal suo Direttore Generale, perchè non tiene conto nè della previsione dell’art. 5, comma 1, del Regolamento di amministrazione, che, in attuazione del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, comma 2 e 3, attribuisce agli Uffici locali le funzioni operative dell’Agenzia, ed, in particolare, la gestione dei tributi, l’accertamento, la riscossione e la trattazione del contenzioso, nè del potere di delega attribuito al Direttore Generale dall’art. 6 dello Statuto e neppure delle disposizioni sulla delega all’interno degli uffici, in forza della quale -secondo l’accertamento del giudice del merito, in “parte qua” non censurato- la sottoscrizione dell’atto impositivo è, appunto, avvenuta ad opera del “delegato di firma per l’area assegnata”.

Col secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n 512 del 1982, art. 5; L.P. n. 26 del 1975, art. 5 quater; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 3, nonchè omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, la ricorrente osserva che solo l’effettiva violazione degli obblighi di conservazione del bene culturale, da parte di chi ha beneficiato delle agevolazioni fiscali, comporta la perdita delle agevolazioni e fa sorgere l’obbligo di reintegrazione del bene culturale danneggiato, sicchè la legittimità della revoca dell’agevolazione è condizionata dalla previa conclusione del procedimento amministrativo volto all’accertamento, alla comunicazione ed alla contestazione della violazione a colui che se ne è reso responsabile. Tale presupposto, prosegue la ricorrente, non sussisteva al momento della revoca delle agevolazioni fiscali, come si desume dal fatto che la sanzione amministrativa per la violazione dell’obbligo di conservazione del bene è stata irrogata ben quindici mesi dopo. Sotto altro profilo, la contribuente censura la decisione impugnata per aver omesso di verificare se il procedimento amministrativo volto all’irrogazione della sanzione si era concluso, o di accertare, in via incidentale, l’effettiva sussistenza della contestata violazione, da lei negata.

Il motivo è infondato. Esso muove dalla premessa che sia necessaria l’emanazione della sanzione amministrativa, prima della revoca dell’agevolazione fiscale, che non è contemplata dalla disposizione di cui al L. n. 512 del 1982, art. 5. Tale norma, che ha aggiunto un comma all’art. 1 della Tariffa, allegato A, parte prima, annessa al D.P.R. n. 634 del 1972, ha disposto la riduzione del 50 per cento dell’aliquota in caso di trasferimento di immobili di interesse storico, artistico o archeologico soggetti alla L. 1 giugno 1939, n. 1089 “semprechè l’acquirente non venga meno agli obblighi della loro conservazione e protezione”. La norma prevede, inoltre, che l’Amministrazione per i beni culturali e ambientali dia immediata comunicazione all’ufficio del registro delle violazioni che comportano la decadenza dalle agevolazioni, disponendo che, in tal caso, è dovuta la normale imposta, la soprattassa del 30% dell’imposta stessa, e gli interessi di mora di cui alla L. n. 29 del 1961, e successive modificazioni,’ precisando che i termini per il pagamento dell’imposta e degli accessori iniziano a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione. La disposizione non pone, dunque, alcun tipo di pregiudiziale amministrativa, come opinato dalla ricorrente, ma prevede l’obbligo per l’Amministrazione dei beni culturali -per quelli situati nel territorio della provincia autonoma di Bolzano, il competente organo provinciale- d’invio dell'”immediata comunicazione” all’ufficio del registro, che, dopo averla ricevuta, è tenuto a determinarsi tempestivamente, senza dover attendere la conclusione del procedimento amministrativo volto all’irrogazione della sanzione, in quanto la ricezione della comunicazione segna l’inizio dei termini di pagamento dell’imposta e degli accessori.

L’interpretazione caldeggiata dalla ricorrente non poggia, neppure, sul disposto del L.P. n. 26 del 1975, art. 5 ter, introdotto con la L.P. n. 9 del 2001, art. 19, che si limita a disciplinare i diversi profili urbanistici della violazione dell’obbligo di conservazione del bene culturale, prevedendo l’obbligo per il trasgressore di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, e l’esecuzione in suo danno, ovvero il risarcimento del danno. Insussistente è, poi, l’asserita preterizione dell’accertamento incidentale della violazione: l’Ufficio ha ritenuto vero il fatto contestato, e, cioè, l’esecuzione di lavori di ristrutturazione non autorizzati, da parte dell’odierna ricorrente, ed in particolare, la sostituzione dei solai di legno con altri in cemento armato, in violazione dell’obbligo di conservazione dell’immobile sottoposto a tutela. Il giudice del merito ha dato credito a tale versione, mentre contribuente non ha, affatto, dedotto dove e con quali argomentazioni ha contestato l’accertamento della Ripartizione dei beni culturali della Provincia di Bolzano relativo all’esecuzione di tali lavori, tenuto conto che, al riguardo, il ricorso non è autosufficiente, in quanto non riproduce i relativi passaggi delle difese svolte nel corso del giudizio di merito, ed ha, peraltro, un contenuto perplesso (la sostituzione non sarebbe integrale; o avrebbe valore conservativo, rendendo più stabile l’immobile, o non integrerebbe l’ipotesi alla quale la legge riconnette la revoca dell’agevolazione; cfr. pagg. 3, 8 e 9 ricorso).

Col terzo motivo, la ricorrente deduce violazione dell’alt 7 dello statuto del contribuente e vizio di motivazione, per non avere la commissione d’appello sanzionato di nullità l’avviso di liquidazione, per la mancata allegazione della nota dell’Ufficio Provinciale per i Beni culturali del 12204 prot. N. 8979, alla quale esso si riferiva. La ricorrente sostiene che la conoscenza “aliunde” di tale nota non è rilevante, in assenza di materiale allegazione dell’atto richiamato.

Il motivo è infondato. Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 bis, introdotto dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 4 nella specie applicabile “ratione temporis”, dispone che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo ne riproduca il contenuto essenziale”. Ciò che rileva, dunque, è che l’atto richiamato sia conosciuto dal contribuente o sia stato da lui, in precedenza, ricevuto o che di tale atto ne sia stato riprodotto il contenuto essenziale, al fine di consentire al contribuente di conoscere nel modo più compiuto i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste dall’ufficio finanziario a fondamento dell’atto impositivo, e di porlo in condizioni di apprestare un’adeguata difesa. Resta, beninteso, a carico dell’Amministrazione l’onere di provare che l’atto oggetto della “relatio” sia “conosciuto” dal contribuente (cfr. Cass. 11784/2010, in motivazione, in tema dell’analoga norma in materia di IVA). La materiale allegazione dell’atto richiamato non è necessaria, neppure, in base alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1 (cosiddetto Statuto del contribuente), secondo l’interpretazione teleologica e non puramente formalistica, datane dalle SU di questa Corte, con la sentenza n. 11722 del 2010, secondo la quale è valido l’atto impositivo che rinvia ad altro atto del quale il contribuente abbia già integrale conoscenza per effetto di precedente notificazione o pubblicazione. La sentenza impugnata si è correttamente attenuta ai suddetti principi, avendo dato conto della conoscenza da parte della contribuente della contestazione della violazione, per averne ricevuto comunicazione mediante raccomandata con avviso di ricevimento, sottoscritta dalla contribuente e prodotta agli atti. Resta da aggiungere che la contraria allegazione, svolta dalla ricorrente nella memoria, costituisce una deduzione inammissibile perchè tardiva e perchè prospetta un errore revocatorio, ex art. 395 c.p.c., n. 4, vizio che non può esser denunciato mediante la proposizione del ricorso per cassazione, ma, sussistendone i presupposti, solo, con lo specifico strumento della revocazione, disciplinato dall’art. 395 c.p.c. (cfr. Cass. n. 10066/2010).

Il quarto motivo, col quale la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c. nella liquidazione a suo carico, delle spese del giudizio, è infondato, essendo stato correttamente applicato il criterio legale della soccombenza.

In considerazione del medesimo criterio legale, le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente ed in favore dell’Agenzia e si liquidano in Euro 5.000,00 oltre a spese prenotate a debito.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000,00, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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