Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14813 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 10/07/2020), n.14813

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 32452-2018 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L.

SETTEMBRINI n. 28, presso lo studio dell’avvocato ULPIANO

MORCAVALLO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI RIETI, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AURELIA n. 386, presso lo

studio dell’avvocato SANDRO CAMPILONGO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2220/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/06/2018 R.G.N. 4990/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano,che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SANDRO CAMPILONGO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 2220 del 2018, ha rigettato l’impugnazione proposta da F.G. nei confronti della Provincia di Rieti, avverso la sentenza, emessa tra le parti dal Tribunale di Rieti, che aveva rigettato la domanda del lavoratore.

2. La Corte d’Appello premette che F.G. aveva riassunto dinanzi al Tribunale di Rieti il giudizio, in precedenza proposto dinanzi al giudice amministrativo che aveva declinato la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario, avente ad oggetto la domanda di declaratoria di illegittimità della Delib. n. 15 del 2014, adottata l’11 dicembre 2014 dal Presidente della Provincia di Rieti.

Nel controricorso (pag. 4 del controricorso) si rileva l’intervenuta riunione nel giudizio di primo grado del suddetto ricorso ad altro già pendente.

3. Il giudice di secondo grado, nel rigettare il primo motivo di appello proposto dal lavoratore, ha affermato che il lavoratore, nè nel ricorso ex art. 414 c.p.c., nè nel ricorso in riassunzione, aveva contestato la effettiva sussistenza della situazione di disequilibrio di bilancio, già accertata con Delib. commissariale 10 ottobre 2004, n. 22 e richiamata nella Delib. n. 15 del 2014, ovvero dello stato di difficoltà economica in cui versava l’ente, con conseguente applicazione del D.L. n. 95 del 2012, art. 2 conv. con mod. dalla L. n. 135 del 2012.

L’unico profilo di illegittimità, dedotto negli atti introduttivi con riferimento alla Delib. n. 15 del 2014, era rappresentato dall’asserita contraddittorietà delle motivazioni di tale provvedimento, che dapprima aveva negato e poi aveva affermato l’esistenza degli esuberi.

La ricorrenza di tale profilo di illegittimità era stata correttamente esclusa dal Tribunale all’esito di una puntuale ricostruzione del tenore della Delib. in questione.

Il giudice di secondo grado ha osservato che nella Delib. n. 15 del 2014 erano indicati in maniera assolutamente analitica i provvedimenti legislativi che avevano incontestabilmente ridotto le capacità di bilancio delle Province – riduzione in particolare rilevante per la Provincia di Rieti in ragione del D.L. n. 35 del 2015 che aveva fissato i criteri di riparto dei tagli -con conseguente penalizzazione delle risorse finanziarie della Provincia, e la necessità di dover operare “riduzione a tutti i servizi oltre che al personale, il cui costo non è più sostenibile anche in vista del trasferimento delle funzioni in attuazione delle previsioni della sopra richiamata L. n. 56 del 2014” (pag. 4 della sentenza di appello).

4. Il giudice dell’appello rigettava anche il secondo motivo di impugnazione, secondo cui, erroneamente, il Tribunale aveva ritenuto legittimi gli atti impugnati, benchè la Provincia non avesse assolto all’onere probatorio in ordine all’iter seguito per l’individuazione del personale eccedentario o soprannumerario, con riguardo alle ragioni per cui esso lavoratore era stato individuato quale unità lavorativa in eccesso rispetto alla pianta organica, in relazione alle ragioni che non consentivano una diversa collocazione nell’organizzazione aziendale.

4.1. La Corte d’Appello ha affermato che:

le situazioni soprannumerarie e di eccedenza del personale possono derivare anche da ragioni economiche che implicano situazioni di squilibrio finanziario rilevate dagli organi competenti;

anche per la gestione di tali situazioni si applica il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 e il D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11; lo stesso legislatore ha indicato l’ordine di priorità nella individuazione delle misure da adottare;

l’Amministrazione, in base all’ordine di priorità di cui al D.L. n. 95 del 2012, art. 1, comma 11, lett. a), deve effettuare una ricognizione delle posizioni dei lavoratori in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi previsti;

rispetto a tali posizioni l’Amministrazione deve chiedere all’INPS la certificazione del diritto a pensione e la relativa decorrenza;

senza necessità di motivazione trova, quindi, applicazione il D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, che prevede la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro a decorrere dal raggiungimento dei requisiti contributivi di cui al D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 20.

4.2. Nella specie dalla Delib. n. 15 del 2014 si evinceva che risultava essere stata esperita la prescritta procedura di consultazione delle OO.SS., all’esito della quale era stato individuato, quale criterio da applicare per la individuazione degli esuberi proprio quello del possesso dei requisiti per beneficiare del pensionamento o del prepensionamento in base alla c.d. ultrattività della disciplina pensionistica anteriore alla c.d. riforma Fornero, secondo quanto previsto dal D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11.

Pertanto, essendo pacifica la circostanza che il lavoratore era in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi come previsti, già alla data del collocamento in quiescenza avvenuto il 1 agosto 2015, nel rispetto del preavviso, l’operato della Provincia risultava legittimo.

5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore, prospettando un motivo di ricorso.

6. Resiste con controricorso la Provincia di Rieti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, vanno disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso proposte dalla Provincia di Rieti, sia con riguardo alla mancata trascrizione, da parte del ricorrente, della Delib. n. 15 del 2014, sia con riguardo alla ritenuta richiesta, da parte del lavoratore, di una rivalutazione nel merito della vicenda.

Ed infatti, la censura prospettata dal ricorrente attiene all’interpretazione della disciplina normativa che regola la fattispecie – peraltro lo stesso controricorrente (pag. 2 del controricorso) espone che il lavoratore deduceva l’illegittimità del licenziamento per violazione della normativa di settore – ed è incontestato tra le parti l’adozione della suddetta Delib. e del successivo atto di recesso.

2. Il motivo di ricorso è formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con lo stesso viene dedotta: violazione ovvero falsa o comunque erronea applicazione del D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11, lett. a), conv. con mod. dalla L. n. 135 del 2012, in relazione al D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, conv. con mod. dalla L. n. 133 del 2008, nonchè in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 atteso che il giudice a quo, in diversione rispetto al contenuto delle predette disposizioni, come interpretate dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ha escluso l’illegittimità della Deliberazione dell’Amministrazione e del conseguente atto di risoluzione unilaterale del rapporto di servizio, pur in mancanza di motivazione, specificamente afferente alla posizione lavorativa e professionale del ricorrente, in ordine alle ragioni di collocazione del lavoratore tra quelli in esubero e, peraltro, all’impossibilità di diverso impiego.

2.1. Nella premessa il lavoratore espone che aveva impugnato il licenziamento intimatogli dalla Provincia di Rieti il 4 marzo 2015, domandandone la dichiarazione di nullità od inefficacia o comunque l’annullamento, previa disapplicazione della Delib. della Provincia di Rieti 11 dicembre 2014, n. 15 con conseguente condanna dell’Amministrazione al ripristino del rapporto di servizio, con le conseguenze reali e risarcitorie ex lege.

Precisa il ricorrente che, con la suddetta Delib., la Provincia aveva instaurato ai sensi del D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11, lett. a), in relazione al D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, in esito alla nuova disciplina sul riordino degli enti provinciali, il procedimento per la riduzione del personale e il prepensionamento dei dipendenti in eccedenza, individuati in quelli eventi i requisiti anagrafici e contributivi per la fruizione del trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2016, in base alla disciplina anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 201 del 2011, art. 72 conv. con mod. dalla L. n. 214 del 2011.

Il diritto al pensionamento del ricorrente era stato certificato con nota dell’INPS del 20 febbraio 2015.

Con la comunicazione del 4 marzo 2015, la Provincia di Rieti gli aveva comunicato la caducazione del rapporto a far data dal 1 agosto 2015, in ragione dell’individuazione tra i dipendenti in posizione eccedentaria ai sensi della normativa menzionata.

2.2. Il lavoratore censura la statuizione con la quale il giudice di appello ha ritenuto sufficiente, ai fini della collocazione del ricorrente nel novero dei dipendenti in esubero, la constatazione della sussistenza dei requisiti per la fruizione del trattamento pensionistico, senza motivazione e indicazioni specifiche da parte dell’Amministrazione, afferenti alla posizione del ricorrente, delle ragioni e dei criteri per cui egli fosse da collocarsi nell’ambito dei dipendenti dell’esubero, e per cui, per di più, non fosse consentito l’eventuale reimpiego anche con variazione della collocazione all’interno dell’organizzazione datoriale, non potendosi ritenere satisfattoria la procedura di consultazione con le organizzazioni sindacali.

Il ricorrente deduce che il D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 14, del prevede che anche in ipotesi di eccedenza di personale dichiarata per ragioni funzionali e finanziarie, trovi applicazione la disciplina della riduzione strutturale di organico, di cui al comma 11, in particolare lett. a) medesimo art. 2, che stabilisce l’applicazione “senza necessità di motivazione” del D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11.

Di tale disciplina la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità hanno fornito una ricognizione ed una interpretazione costituzionalmente orientate, alla stregua delle quali, da un lato si ammette che gli obblighi di motivazione afferenti alla determinazione di una situazione di eccedenza di personale possano essere assolti non nel provvedimento caducatorio, ma mediante l’adozione di atti macro-organizzativi incidenti sull’assetto strutturale del comparto interessato; dall’altro lato, nondimeno, continua ad imporsi, ai fini della collocazione del singolo dipendente nel novero del personale eccedentario, la concreta disamina ed analisi della specifica posizione professionale del lavoratore interessato.

Occorre dunque lo svolgimento di un percorso valutativo che garantisca la legittima finalizzazione dell’interesse pubblico dell’amministrazione ad una più efficace ed efficiente organizzazione, nel rispetto dei principi di buona fede correttezza e dei criteri di imparzialità e trasparenza, considerando la posizione professionale del lavoratore interessato.

Nella specie, afferma il ricorrente è la stessa sentenza di appello a riconoscere e a ritenere erroneamente sufficiente che la risoluzione unilaterale del rapporto e l’individuazione del ricorrente tra i dipendenti in esubero non riguardi affatto la posizione professionale specifica del lavoratore, ma esclusivamente la sussistenza in capo allo stesso dei requisiti per beneficiare del pensionamento.

La sentenza impugnata, pertanto, dovrebbe essere cassata, accogliendo la domanda, o pronunciando il principio di diritto da applicare in sede di rinvio, come specificato in ricorso.

3. Il motivo di ricorso non è fondato, in quanto non sussiste la denunciata violazione delle disposizioni di legge richiamate nel motivo, poichè la censura, pur dando atto delle diverse disposizioni legislative che concorrono a regolare la fattispecie, nel richiamare la giurisprudenza intervenuta in ordine al recesso di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, non considera, da un lato, il rilievo attribuito dalla stessa al D.L. n. 98 del 2011, art. 16, comma 11, conv., con mod., dalla L. n. 111 del 2011, norma che prevede l’adozione dell’atto generale di organizzazione; dall’altro, il diverso e più ampio contesto normativo – riduzione delle dotazioni organiche ed eccedenza di personale – in cui il recesso ex art. 72, comma 11, cit., si colloca, in ragione del richiamo di tale disposizione sia nel D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11, che nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 (in particolare comma 5).

4. Si controverte sulle procedure ai sensi del D.L. 95 del 2012, art. 2, comma 11 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 in relazione all’art. 72, comma 11, cit. La vicenda in esame esula dal licenziamento.

Va osservato, altresì, che non viene in rilievo il D.Lgs. n. 267 del 2000, che contiene una disciplina speciale propria del riassetto organizzativo attuato, a fini di risparmio di spesa, nella fase di dissesto dell’ente pubblico (cfr., Cass., n. 5046 del 2020), atteso che “ragioni finanziarie riferite a situazioni di squilibrio finanziario” (si v. pag. 10 del controricorso) richiamate dalla Provincia di Rieti (ma si veda anche pag. 2 del ricorso in cui si ricorda che la Delib. faceva generico riferimento ad una situazione di sussistenza di esuberi connessa a ragioni di squilibrio finanziario derivanti dal riordino dell’ente), quali ragione della soprannumerarietà, non equivalgono alla nozione legale di dissesto finanziario di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 244.

Ciò, anche considerato che la Provincia nel controricorso ricorda che la Delib. n. 15 del 2014 richiamava l’art. 193 suddetto decreto legislativo, la cui rubrica reca “salvaguardia degli equilibri di bilancio”.

5. Tanto precisato quanto al thema decidendum, occorre, pertanto, precedere a ricostruire ed esaminare il quadro normativo che viene in rilievo, ai fini del controllo di legittimità, e della sussunzione della fattispecie in esame.

Ed infatti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (Cass., n. 21772 del 2019).

6. il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 delinea la disciplina delle eccedenze di personale presso le pubbliche amministrazioni (si v., Cass., n. 15008 del 2019, e Cass., n. 18813 del 2019).

Questa Corte (citata Cass. 15008 del 2019) ha già affermato che il testo del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 è stato integralmente riscritto dal legislatore che, con la L. n. 183 del 2011, art. 16 nell’intento di snellire e di semplificare la procedura, ha, da un lato, dettato una disciplina unitaria, applicabile ad ogni ipotesi di eccedenza, quale che sia la consistenza quantitativa e qualitativa dei lavoratori interessati; dall’altro ha limitato gli adempimenti posti a carico delle amministrazioni pubbliche e ristretto i margini di intervento delle organizzazioni sindacali nonchè l’autonomia dell’ente nella scelta delle misure da adottare per ridurre l’eccedenza, indicate dallo stesso legislatore e ordinate in una scala progressiva, che privilegia il ricorso allo strumento previsto dal D.L. n. 112 del 2008, art. 72 e consente il collocamento in disponibilità, con le conseguenze previste dall’art. 33, comma 8 e dall’art. 34, solo qualora non siano possibili il prepensionamento ed il riassorbimento del personale eccedente nella stessa amministrazione o presso altri enti pubblici.

Inoltre, tale norma va coordinato con l’art. 6 stesso decreto, che, nel testo vigente dopo la modifica operata dal D.L. n. 95 del 2012, conv. con mod. dalla L. n. 135 del 2012, prescrive che i processi di riorganizzazione degli uffici che comportino individuazione di esuberi devono essere preceduti dall’informazione alle organizzazioni sindacali e dall’esame congiunto con le stesse sui criteri per l’individuazione degli esuberi, esame imposto dal richiamato D.L. n. 95 del 2012, art. 2 anche per le procedure da avviare per ridurre le dotazioni organiche nei termini indicati dallo stesso art. 2, comma 1.

7. Ratione temporis (Delib. 11 dicembre 2014, atto di recesso del 4 marzo 2015) trova applicazione il D.L. n. 95 del 2012, art. 2 che reca “Riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni”, nel testo precedente le modifiche apportate dal D.L. 30 dicembre 2015, n. 210, conv., con mod. nella L. 25 febbraio 2016, n. 21.

L’art. 2 (commi 1-3) prevede la riduzione, tra l’altro, degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche delle amministrazioni dello Stato, stabilendo che al personale in eccedenza si applichino le disposizioni di cui al proprio comma 11, lett. a-d.

Il medesimo art. 2, comma 8 rinvia per il personale degli enti locali alle disposizioni di cui all’art. 16, comma 8 stesso decreto-legge, che prevede l’applicazione delle misure di gestione delle eventuali situazioni di soprannumero di cui al citato art. 2, comma 11 e ss..

Il comma 14, a sua volta, sancisce che le disposizioni di cui all’art. 2 si applicano anche in caso di eccedenza dichiarata per ragioni funzionali o finanziarie dell’amministrazione.

8. Il D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11 stabilisce che per le unità di personale eventualmente risultanti in soprannumero, le amministrazioni, previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali, avviano le procedure di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 adottando, ai fini di quanto previsto dallo stesso art. 33, comma 5 alcune procedure e misure indicate in ordine di priorità, tra le quali, la prima è la seguente:

(lett. a) applicazione, ai lavoratori che risultino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi i quali, ai fini del diritto all’accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico in base alla disciplina vigente prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 201 del 2011, art. 24 conv. con mod. dalla L. n. 214 del 2011, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento medesimo entro il 31 dicembre 2016, dei requisiti anagrafici e di anzianità contributiva nonchè del regime delle decorrenze previsti dalla predetta disciplina pensionistica, con conseguente richiesta all’ente di appartenenza della certificazione di tale diritto.

8.1. Il legislatore ha, quindi, espressamente previsto che si applica, senza necessità di motivazione, il D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, conv. con mod., dalla L. n. 133 del 2008.

9. il D.L. n. 101 del 2013, art. 2, comma 6, convertito, con mod. dalla L. n. 125 del 2013, ha chiarito che il D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11, lett. a), si interpreta nel senso che l’amministrazione, nei limiti del soprannumero, procede alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nei confronti dei dipendenti in possesso dei requisiti indicati nella disposizione.

10. Ripercorso il quadro normativo in cui si colloca la vicenda in esame, occorre ricordare che la giurisprudenza di legittimità è intervenuta in ordine al D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, quanto alla previsione della possibilità per l’Amministrazione di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale, anche del personale dirigenziale, in presenza dell’indicato requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento.

11. L’originaria formulazione di tale norma non sanciva in modo espresso un onere motivazionale dell’Amministrazione.

Il testo vigente dell’art. 72, comma 11 cit. richiede che il recesso sia disposto con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi.

Tale previsione va coordinata con il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 16, comma 11, conv. con mod. dalla L. n. 111 del 2011, che ha stabilito che l’esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni dall’art. 72 cit., comma 11 non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo.

Ed infatti, l’art. 16, comma 11, cit., trova applicazione anche rispetto al testo vigente dell’art. 72, comma 11, cit., atteso che non è ravvisarle alcuna contraddizione o incompatibilità, tale da renderne impossibile la contemporanea applicazione e da determinare l’abrogazione implicita della prima norma (cfr., Cass., n. 3622 del 2018).

12. Con la sentenza n. 21626 del 2015, questa Corte ha affermato che è solo a partire dal D.L. n. 98 del 2011, art. 16, comma 11, che l’esercizio della facoltà delle pubbliche amministrazioni di risolvere il rapporto di impiego sul presupposto del compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni è condizionato, in generale (ossia in tutti i comparti), alla previa adozione di un atto generale di organizzazione interna che ponga i criteri applicativi per l’esercizio di tale facoltà.

12.1. Tale pronuncia è richiamata nella sentenza n. 11595 del 2016, relativa a fattispecie in cui il recesso era intimato nel 2008, affermandosi che se era chiaro, e dal Collegio condiviso, che il requisito della adozione dell’atto generale organizzativo (sostitutivo dell’ulteriore motivazione) era frutto di scelta innovativa, era altrettanto chiaro e condiviso che l’obbligo motivazionale – solo de futuro sostituito dall’atto generale – sussisteva già a regolare l’originaria risoluzione di cui al D.L. del 2008, art. 72, comma 11. Pertanto questa Corte, nella suddetta pronuncia, ha ritenuto che le ragioni della risoluzione non potevano rinvenirsi nel solo raggiungimento dell’anzianità in questione, non risultando esaustiva la Delib. dell’Amministrazione che non era sussumibile in un atto valutativo con finalità organizzative che tenesse conto delle specifiche posizioni che venivano in rilievo.

12.2. Con la successiva sentenza n. 18099 del 2016, relativa a fattispecie in cui il recesso era stato intimato nel 2009, pertanto, questa Corte affermava che le ragioni della risoluzione non potevano rinvenirsi nel solo raggiungimento dell’anzianità contributiva, non essendo sufficiente che l’amministrazione comunale “intende riorganizzare la dotazione organica e contemporaneamente perseguire gli obiettivi di finanza pubblica atti al conseguimento della riduzione del costo del personale”, “considerato altresì l’esigenza di ridefinizione delle strutture organizzative in relazione anche a progetti di innovazione tecnologica ed ammodernamento, tenuto conto degli indirizzi del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione”, in quanto ciò non sostanziava una specifica considerazione della posizione professionale del lavoratore.

12.3. Con la sentenza n. 24583 del 2017, si è ulteriormente chiarito che l’esercizio della facoltà di risoluzione del rapporto di lavoro per il raggiungimento dell’anzianità massima contributiva (art. 72, comma 11, cit.), deve essere motivato, poichè è attraverso la motivazione che l’Amministrazione esplicita le ragioni organizzative sottese all’adozione dell’atto di risoluzione e lo rende rispondente al pubblico interesse che deve costantemente orientare l’azione amministrativa; il recesso intimato in data successiva all’entrata in vigore del D.L. n. 98 del 2011, art. 16 tuttavia, non necessita di ulteriore motivazione, qualora sia stato preceduto dall’adozione dell’atto generale di organizzazione interna di cui allo stesso art. 16 e l’Amministrazione abbia richiamato, in sede di recesso, i criteri applicativi della norma individuati in via preventiva.

12.4. Dunque, anche in relazione alla disciplina precedente al D.L. n. 98 del 2011, art. 16, comma 8, e al testo vigente dell’art. 72, comma 11 cit. questa Corte ha affermato l’esigenza della motivazione dell’atto di recesso al fine di salvaguardare il controllo di legalità sulla appropriatezza della facoltà dell’Amministrazione di risoluzione esercitata, rispetto alle finalità di riorganizzazione perseguite nell’ambito di politiche del lavoro (si v., Cass., n. 25378 del 2016).

13. In ragione della ricognizione normativa, si rileva che il cardine della articolata disciplina che regola la fattispecie in esame va rinvenuto nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 che, al comma 5, nel regolare le eccedenze di personale per tutte le pubbliche amministrazioni, in ragione delle esigenze funzionali o della situazione finanziaria, detta un articolato iter procedimentale e indica come criterio prioritario l’applicazione del citato D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11.

13.1. L’art. 72, comma 11, cit. è richiamato dal D.L. 95 del 2012, art. 2, comma 11, che qui viene in rilievo in ragione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, comma 1, e del medesimo D.L. n. 95 del 2012, art. 2, commi 8 e 14, atteso che la Provincia disponeva il recesso per esigenze finanziarie (ridotta capacità di bilancio) e funzionali (trasferimento delle funzioni ex lege n. 56 del 2014).

Il D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11, lett. a), indica lo stesso criterio prioritario – art. 72, comma 11 – in presenza delle indicate condizioni anagrafiche e contributive, prevedendone l’applicazione senza necessità di motivazione.

13.2, Dunque, è il legislatore, così garantendo uniformità di trattamento, ad indicare il criterio di scelta, oggettivo e predeterminato, e ad escludere, quindi, che l’Amministrazione, ai fini dell’applicazione del recesso, debba valutare il reimpiego del lavoratore, come, invece, prospetta il ricorrente.

14. Tanto rilevato, si osserva che per una corretta determinazione degli oneri che gravano sulla amministrazione nell’applicare l’art. 72, comma 11, come richiamato dall’art. 33, comma 5 TUPI, e dal D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11, e dunque per vagliare la compatibilità della previsione “senza necessità di motivazione” con i principi di buon andamento e di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., e con i criteri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), su cui richiama l’attenzione il motivo di ricorso, occorre chiarire quanto segue.

15. La risoluzione D.L. n. 112 del 2008, ex art. 72, comma 11, si inserisce in una serie di disposizioni che rimodulano alcuni profili dello stato di servizio e del collocamento a riposo dei dipendenti pubblici (tra cui: esonero dal servizio a richiesta del dipendente, vantazione dell’amministrazione interessata rispetto alla concessione della possibilità per i dipendenti pubblici di permanere in servizio per un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo), costituisce una facoltà delle amministrazioni (che “possono”), ed è condizionata dalla sussistenza di ragioni organizzative che devono essere motivate, come i criteri di scelta, salvo che l’Amministrazione abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna.

Tale recesso non è funzionalmente connesso ad una riduzione o rideterminazione della pianta organica che abbia dato luogo a soprannumero o eccedenza di personale (fermo restando quanto previsto dal D.L. n. 112 del 2008, art. 74).

Pertanto, attesa la discrezionalità rimessa all’Amministrazione, questa Corte, anche rispetto a fattispecie precedenti l’attuale formulazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11 e il D.L. n. 98 del 2011, art. 16, comma 11, ha affermato che il carattere facoltativo della risoluzione in ragione di anzianità necessitava, per non tradursi in discriminazione, di uri percorso valutativo che garantisse la legittima finalizzazione dell’interesse pubblico dell’Amministrazione ad una più efficace ed efficiente organizzazione, nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza e dei criteri di imparzialità e trasparenza (si v. citata sentenza n. 11595 del 2016).

16. Diversamente, dall’art. 2, in particolare commi 8, 11 e 14, e dal D.L. n. 95 del 2011, art. 16, comma 8, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 risulta che il legislatore ha tipizzato alcune fattispecie che possono determinare eccedenze di personale: riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche delle Amministrazioni dello Stato (cit. art. 2, commi 1-6); riduzione della spesa degli enti locali in ragione del concorso alla finanza pubblica e al rispetto del patto di stabilità (cit. art. 2, comma 8, e cit. art. 16, comma 8); eccedenza dichiarata per ragioni funzionali o finanziarie dell’amministrazione (cit. art. 33, comma 1, cit. art. 2, comma 14, che richiama tutte le disposizioni dell’art. 2 in ordine a detta evenienza).

17. In relazione ad eccedenze determinate da tali ragioni- trovano applicazione l’art. 2, comma 11, e il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 che prevedono e scandiscono, proprio a garanzia delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione nell’adozione degli atti organizzativi presupposti, e di correttezza e buona fede nell’adozione dei conseguenti atti di gestione dei rapporti di lavoro, un complesso iter procedimentale, così articolato.

17.1. Previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali per l’avvio delle procedure D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 (art. 2, comma 11, cit.). In proposito questa Corte ha già affermato che il legislatore ha richiesto che la procedura fosse preceduta dall’esame congiunto, del quale non ha circoscritto il tema, ritenuto evidentemente necessario al fine di assicurare obiettività e trasparenza nell’individuazione delle posizioni eccedentarie, essendo gli enti chiamati a ripartire sui diversi servizi, in relazione all’effettivo bisogno di personale, il contenimento complessivo della spesa. Il “previo” esame congiunto si colloca a monte della procedura di cui all’art. 33, perchè attiene all’individuazione dell’ambito dell’eccedenza che di quella procedura costituisce il necessario presupposto (citata Cass., n. 15008 del 2019).

17.2. In sede di applicazione dell’art. 33, informativa preventiva alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo del comparto o area (art. 33, comma 4).

17.3. Trascorsi dieci giorni dalla comunicazione di cui al comma 4, applicazione (non facoltativa) del D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, conv. con mod. nella L. n. 133 del 2008, in subordine, verifica della ricollocazione totale o parziale del personale in situazione di soprannumero o di eccedenza nell’ambito della stessa amministrazione, anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà, ovvero presso altre amministrazioni, previo accordo con le stesse, comprese nell’ambito della regione (art. 33, comma 5).

17.4. L’art. 2, comma 11, secondo periodo, nel richiamare il suddetto art. 33, comma 5, e in continuità con lo stesso, indica una serie di misure, da applicare in ordine di priorità, e, in primo luogo, la risoluzione del rapporto D.L. n. 112 del 2008, ex art. 72, comma 11, senza necessità di motivazione, di cui alla citata lett. a (riportata sopra, al par. 8).

17.4. Solo in via ulteriore, come già l’art. 33, comma 5, cit., e in ragione proprio delle cessazioni dal servizio di cui alla lett. a), sono previste ulteriori misure, quali, in sintesi: riassorbimento, mobilità per il personale non riassorbibile, forme contrattuali a tempo parziale, collocazione in disponibilità, esubero.

18. Il complessivo quadro normativo e giurisprudenziale delineato pone, quindi, in evidenza che il legislatore ha stabilito condizioni particolate di legittimità dell’agire dell’amministrazione datrice di lavoro che proceda alla riduzione delle dotazioni organiche con conseguente eccedenza o soprannumero di personale (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 e D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11), ravvisando nel rispetto di tali condizioni, anche procedimentali, la ragione e la garanzia della applicazione del recesso D.L. n. 112 del 2008, ex art. 72, comma 11, come richiamato, conforme a legge.

19. Quindi, in tanto il legislatore, Sussistendo i previsti requisiti anagrafici e contributivi, ha stabilito che il D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, si applica senza necessità di motivazione (e dunque senza la vantazione della specifica posizione professionale, come invece richiede il ricorrente in ragione della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata al par. 12), in quanto la misura prioritaria del recesso unilaterale, secondo la fattispecie legale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 e D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11, non è facoltativa e si applica in ragione dell’atto presupposto che ha dato luogo alle eccedenze o soprannumero – peraltro in modo per certi versi simile a quanto stabilito dal D.L. n. 98 del 2011, art. 16 – la cui adozione è legittima in presenza delle condizioni tipizzate in sede normativa (si v. sopra, par. 16), che vanno ostese con motivazione, e all’espletamento del previsto iter procedurale, che vede là partecipazione delle 00.SS.

19.1. Da ciò discende che in presenza della legittimità dell’atto presupposto di rideterminazione delle dotazioni organiche, e del rispetto dell’iter procedurale previsto, oltre che del possesso da parte del lavoratore dei requisiti anagrafici e contributivi, non è ravvisabile la contrarietà del recesso intimato senza necessità di motivazione ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 11, lett. a) e art. 33 ai principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., e ai criteri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).

20. Occorre ricordare, in proposito, che quanto alla individuazione da parte delle amministrazioni delle proprie effettive esigenze, viene in rilievo un’attività complessa, funzionalmente discrezionale.

Ed infatti, i provvedimenti della pubblica amministrazione, in tema di formazione e revisione delle dotazioni organiche e degli uffici dirigenziali configurano espressione di potere discrezionale. L’amministrazione, nell’esercitare la propria discrezionalità, non può procedere ad una mera ricognizione numerica dell’organico in dotazione ma deve dare corso ad una ricognizione completa delle risorse umane e delle professionalità necessarie per i propri fini istituzionali (cfr., Cass., n. 18191 del 2016).

Tuttavia, poichè il datore di lavoro pubblico, a differenza di quello privato, nell’adozione di atti di autorganizzazionè è vincolato al rispetto di una precisa disciplina, il provvedimento amministrativo di rideterminazione della dotazione organica, che costituisce il necessario presupposto della misura di recesso in questione, è sindacabile quanto alla verifica della conformità alla legge, è può essere disapplicato, nei casi in cui ne emerga l’illegittimità, per violazione di legge o per eccesso di potere (Cass., n. 18813 del 2019, n. 29818 del 2008, n. 16175 del 2004).

21. Nella specie, già il Tribunale, come ricorda la Corte d’Appello, aveva affermato che era stata rispettata la procedura prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33 che applicava il recesso ex art. 72, comma 11, cit., al personale in eccedenza in possesso dei prescritti requisiti.

Il giudice di secondo grado ha, quindi, affermato che la Provincia, con la Delib. n. 15 del 2014, aveva indicato in modo analitico i provvedimenti legislativi da cui era derivata una ridotta capacità di bilancio delle province, indicando in modo specifico il sacrificio finanziario che ciò aveva comportato per la propria situazione (pagg. 3 e 4 della sentenza di appello), con la conseguente necessità di dover operare riduzione di tutti i servizi oltre che del personale, il cui costo non era più sostenibile anche in ragione del trasferimento che vi sarebbe stato delle funzioni non fondamentali ad altri enti. Tali dati erano stati rilevati e confermati dagli organi di controllo competenti.

Nel valutare la legittimità dell’agire dell’Amministrazione, la Corte territoriale ha quindi apprezzato l’idoneità logica della motivazione delle suddetta Delib., ritenendo la coerenza tra la scelta amministrativa e le conseguenze di essa.

22. Peraltro, il lavoratore non ha allegato e dimostrato il perseguimento di finalità illecite o la contraddizione tra il recesso e le ragioni dell’esperimento del medesimo, non avendo contestato, in modo circostanziato, la riduzione del personale per la ridotta capacità di bilancio, così come l’esperimento del(a prevista procedura di consultazione delle 00.SS., e il criterio stabilito in detta sede per l’individuazione degli esuberi – pensionamento o prepensionamento disciplina ante c.d. riforma Fornero – che la Corte d’Appello ha affermato risultare dalla Delib. n. 15 del 2014 (punto 3.2 e punto 5.3 della sentenza di appello). Nè può ritenersi sussistente un onere di prova ex post, a carico dell’Amministrazione, come prospetta il lavoratore.

23. In proposito, si osserva, altresì, che i profili di censura mossi dal ricorrente, relativi alla mancata verifica della possibilità di reimpiego e alla mancanza di valenza della consultazione, di cui comunque non contesta l’effettuazione, non possono trovare accoglimento, atteso che è la disciplina legislativa (D.L. n. 95 del 2012, art. 2, comma 11, lett. a) ad indicare come prima misura da applicare la risoluzione del rapporto ex art. 72, comma 11, cit.

Nella specie come affermato dalla Corte d’Appello e non contestato, era pacifica la circostanza che il lavoratore fosse in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi prescritti.

24. Il ricorso va rigettato.

25. A seguito del rigetto della domanda rimangono assorbite le eccezioni formulate dal controricorrente in ordine alla domanda di reintegra, sia deducendo la tardività della stessa (sarebbe stata proposta nelle note conclusive), sia la intervenuta cessazione della materia del contendere (raggiungimento 65 anni di età da parte del lavoratore).

26. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Non si ravvisano, nella specie, le condizioni della responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., chiesta dal controricorrente.

In proposito va precisato che, nel caso di rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c., proposta dal controricorrente, e di rigetto del ricorso, non ha luogo una ipotesi di pluralità di domande effettivamente contrapposte idonea a determinare la soccombenza reciproca (si vedano i principi affermati da Cass., n. 11792 del 2018, a cui si intende dare continuità, con riguardo al giudizio impugnatorio di appello, si v., anche Cass., n. 9532 del 2017).

Le questioni su tale capo, da qualificarsi meramente accessorio, non incidono stilla determinazione della soccombenza nemmeno ai fini di temperarla o di qualificarla parziale o reciproca (Cass., n. 5466 del 2020).

26. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00, per esborsi, Euro 5.500,00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art, 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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