Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14812 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 27/05/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 27/05/2021), n.14812

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 38070-2019 proposto da:

CLP SVILUPPO INDUSTRIALE S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CLELIA n. 18,

presso lo studio dell’Avvocato RAFFAELE RIVETTI, rappresentata e

difesa dagli Avvocati GIOVANNA TUSSINO, SEVERINO NAPPI;

– ricorrente –

contro

Q.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA n.

195, presso lo studio dell’Avvocato SERGIO VACIRCA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’Avvocato DARIO ABBATE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5011/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/10/2019 R.G.N. 1366/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2021 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CARLO CALENDA, per delega verbale Avvocato SEVERINO

NAPPI;

udito l’Avvocato DARIO ABBATE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 5011 del 2019, ha respinto il reclamo proposto da CLP Sviluppo Industriale spa avverso la pronuncia del primo giudice n. 2775/19 che aveva accolto la impugnativa del licenziamento presentata da Q.A., dipendente della società con mansioni di conducente di autobus con capienza non inferiore a 9 posti e adibiti a servizio pubblico di trasporto, disponendone la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

2. Il recesso, disposto con comunicazione del 1 giugno 2017 era stato intimato sul presupposto che il rapporto di lavoro, alla data dell’1.7.2017 doveva ritenersi risolto ad ogni effetto di legge per il raggiungimento dei requisiti pensionistici previsti dalla legge.

3. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure hanno precisato che: 1) le discipline legislative previste dal D.Lgs. n. 414 del 1996 e dal D.Lgs. n. 67 del 2011 si integravano tra loro, per cui il combinato disposto del D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b) come modificato dal D.P.R. n. 157 del 2013, art. 4 e dal D.Lgs. n. 67 del 2011, art. 1 attribuiva la facoltà al personale viaggiante addetto ai pubblici servizi di trasporto di accedere alla pensione anticipata di vecchiaia, ma solo su domanda del lavoratore stesso, con la previsione di una normativa di favore per il personale addetto ad attività particolarmente faticose, quali quella dei conducenti di autobus adibiti al servizio di trasporto pubblico; 2) ne conseguiva che, in mancanza di una domanda di pensione anticipata da parte del dipendente, la CLP non avrebbe potuto recedere dal rapporto di lavoro al compimento, da parte dello stesso, dell’età per la pensione anticipata di vecchiaia; 3) il Q. aveva manifestato la sua volontà di trattenersi in servizio fino al raggiungimento dell’età massima per la pensione di vecchiaia prevista dal regime obbligatorio; 4) alla illegittimità del licenziamento seguiva l’applicazione delle rispettive tutele reintegratoria e risarcitoria come disposte in primo grado.

4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la CLP Sviluppo Industriale spa affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso Q.A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la Corte territoriale rilevato il vizio di ultra-petizione in cui era incorsa la pronuncia di primo grado laddove aveva ritenuto illegittimo il recesso de quo sul presupposto che la cd. opzione alla prosecuzione del rapporto di lavoro di cui alla L. n. 54 del 1982, art. 6 avrebbe sancito un diritto potestativo in capo al Q. per continuare a lavorare sino all’età anagrafica massima consentita, nonostante questa questione non fosse stata posta dal lavoratore quale fatto costitutivo della domanda fatta valere in giudizio.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per non essersi la Corte territoriale pronunciata sullo specifico motivo di doglianza devoluto ai sensi dell’art. 342 c.p.c., comma 2, volto ad accertare l’inesistenza, nella specie, di un diritto potestativo alla continuazione del rapporto di lavoro a seguito dell’opzione alla prosecuzione del rapporto e che la disciplina applicabile al caso in esame fosse esclusivamente quella dettata dal D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b) e succ. modifiche.

4. Con il terzo motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 6 nella parte in cui richiama la L. n. 54 del 1982, art. 6 per non avere rilevato la Corte territoriale che, nell’ordinamento giuridico italiano, non esisteva più un diritto potestativo esercitabile a mezzo dell’opzione alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino all’età lavorativa massima, per cui il recesso de quo era legittimo non essendovi stato il consenso dalla datrice di lavoro a detta prosecuzione.

5. Con il quarto motivo si obietta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b); la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 7; la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 67 del 2001, art. 1 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente ritenuto la Corte di merito che l’accesso alla pensione anticipata di vecchiaia del personale viaggiante iscritto al soppresso Fondo degli autoferrotranvieri, disciplinato dal D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b) potesse avvenire unicamente su “domanda” del lavoratore in base al combinato disposto della richiamata normativa e quella dettata dal D.Lgs. n. 67 del 2001, art. 1 quando, invece, le discipline tra le due fonti legislative erano autonome e indipendenti e regolavano fattispecie diverse: la prima (quella del D.Lgs. n. 67 del 2011), la fattispecie della pensione anticipata di anzianità dei lavoratori iscritti nella categoria dei “lavori usuranti” che richiede quale presupposto di applicazione i seguenti requisiti: la domanda del lavoratore, 35 anni di contribuzione, l’età anagrafica; la seconda (quella del D.Lgs. n. 414 del 1996 e succ. modifiche), la fattispecie della pensione di vecchiaia del personale viaggiante iscritto al soppresso Fondo di previdenza del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto, che richiede il solo requisito anagrafico di cinque anni in meno rispetto a quello ratione temporis in vigore nel regime obbligatorio. Inoltre, la società assume l’irrilevanza del richiamo, operato dalla Corte territoriale, al D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 7 che contemplava il diverso caso della pensione di invalidità che nulla aveva a che fare con la pensione di vecchiaia.

6. Il primo motivo è infondato.

7. Il vizio di ultra o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso, con la conseguenza che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato (per tutte Cass. n. 455 del 2011).

8. Nel caso de quo la Corte territoriale si è attenuta a tale principio allorquando ha ritenuto che la pronuncia di prime cure non fosse viziata di ultrapetizione poichè l’originario ricorrente, nell’atto introduttivo, aveva fatto espresso riferimento alla sua richiesta di rimanere in servizio e, quindi, ciò rappresentava un tema di indagine di cui il Tribunale poteva tenere conto senza incorrere nel denunciato vizio.

9. Solo per completezza va, altresì, osservato che tutta la problematica riguardante la dichiarata volontà di rimanere in servizio, da parte del lavoratore, riscontrata peraltro dalla società, era stata documentalmente provata e processualmente acquisita.

10. Anche il secondo motivo è infondato.

11. E’ stato affermato, in sede di legittimità, che non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi una espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass. N. 15255 del 2019).

12. Nella fattispecie, per quanto sopra detto, sono insussistenti le asserite violazioni di legge in quanto la Corte di merito si è pronunciata sulle tematiche evidenziate nella doglianza, circa la legittimità del licenziamento e l’esercizio del diritto di opzione, con la connessa individuazione della disciplina applicabile, per cui alcuna omessa pronuncia ex artt. 112 e 342 c.p.c. è ravvisabile.

13. Il terzo ed il quarto motivo esaminabili congiuntamente per connessione, non possono anche essi trovare accoglimento.

14. Posto che il licenziamento è stato intimato per il raggiungimento dei requisiti pensionistici da parte del lavoratore ultrasessantenne, la fattispecie è innanzitutto regolata dalla L. n. 108 del 1990, art. 4, comma 2, tuttora vigente nella sua formulazione originaria, secondo cui: “Le disposizioni di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 8 come modificato dall’art. 1 presente legge, e dell’art. 2 non si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi del D.L. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6 convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1982, n. 54. Sono fatte salve le disposizioni dell’art. 3 presente legge e della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 9”.

15. Secondo una costante giurisprudenza di questa Corte, pur in mancanza dell’esplicito riferimento alla pensione di vecchiaia, contenuto invece nel precedente L. n. 604 del 1966, art. 11 argomenti testuali e sistematici inducono a ritenere che nessun mutamento ha subito il principio per cui è soltanto la maturazione del diritto al pensionamento di vecchiaia che incide sul regime del rapporto di lavoro, consentendo al datore di lavoro il recesso ad nutum (v. Cass. n. 6537 del 2014; Cass. n. 13181 del 2018; Cass. n. 432 del 2019; Cass. n. 18662 del 2020). In particolare, dal punto di vista sistematico, è stato rilevato che “soltanto il diritto alla pensione di vecchiaia si consegue automaticamente al verificarsi dell’evento protetto, cosicchè la pensione decorre (eccettuati i casi di esercizio dell’opzione ai sensi delle disposizioni sopra considerate) dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale l’assicurato ha compiuto l’età pensionabile, ovvero, nel caso in cui a tale data non risultino soddisfatti i requisiti di anzianità assicurativa e contributiva, dal primo giorno del mese successivo a quello in cui i requisiti suddetti vengono raggiunti salva una diversa decorrenza richiesta espressamente dall’interessato (L. 23 aprile 1981, n. 155, art. 6). Il diritto alla pensione di anzianità, invece, si consegue con il necessario concorso della volontà dell’interessato, per cui non si può dubitare che la domanda di pensione assurga ad elemento costitutivo della fattispecie attributiva del diritto. Ne discende che, mancando la domanda, non può dirsi in senso tecnico che sussistano i requisiti per il pensionamento” (cfr. Cass. n. 3907 del 1999; Cass. n. 7853 del 2002; Cass. n. 3237 del 2003).

16. E’ stato pure precisato che l’esclusione della tutela limitativa dei licenziamenti non è suscettibile di applicazione in via analogica ai titolari di pensioni che, per diversità dei relativi presupposti (durata del rapporto assicurativo, versamenti di un minimo di contributi, raggiungimento di un limite di età) non possono ritenersi equivalenti a quella di vecchiaia (cfr. Cass. n. 11104 del 1997; conf. Cass. n. 6537 del 2014).

17. Occorre dunque verificare se, nel caso all’attenzione del Collegio, il lavoratore ultrasessantenne licenziato fosse in possesso, al momento del recesso datoriale, dei requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia e se la volontà espressa dal lavoratore medesimo di non accedere al pensionamento anticipato ma, piuttosto, di permanere in servizio precludesse comunque il suo licenziamento.

18. A tal fine è opportuna una ricognizione della disciplina di settore rilevante nella specie.

19. Non è in contestazione che il lavoratore licenziato, conducente di autobus, fosse dipendente di un’azienda addetta ai pubblici servizi di trasporto, per il quale operava il regime previdenziale speciale introdotto dal D.Lgs. n. 29 giugno 1996, n. 414.

20. Con tale decreto, a decorrere dal 1 gennaio 1996, è stato soppresso il “Fondo per la previdenza del personale addetto ai servizi pubblici di trasporto” (D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 1, comma 1) e da tale data i lavoratori sono iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti (D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 1, comma 2).

21. Secondo il D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3 nella sua originaria formulazione, per i soggetti di cui all’art. 1, comma 2, “è prevista la possibilità di liquidare i seguenti trattamenti pensionistici: a) pensione di vecchiaia, di invalidità e ai superstiti secondo la normativa vigente nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti; b) per il solo personale viaggiante, pensione di vecchiaia ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 5; c) pensione di invalidità specifica ai sensi della L. 28 luglio 1961, n. 830, art. 12, comma 1, lett. a) e art. 13, comma 1, lett. a) e b); d) pensione di anzianità”.

22. Successivamente, con il D.P.R. 28 ottobre 2013, n. 157 – recante il “Regolamento di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico di categorie di personale iscritto presso l’INPS, l’ex ENPALS e l’ex INPDAP” – al D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b), le parole: “ai sensi dell’art. 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503” – che, giova rammentarlo, stabiliva l’età per il pensionamento di vecchiaià- sono state sostituite dalle seguenti: “al raggiungimento del requisito anagrafico ridotto di cinque anni rispetto a quello tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio”.

23. Infatti, nel frattempo era intervenuto il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, di cui il Regolamento citato è attuazione, che all’art. 24 contiene una serie di disposizioni che riformano profondamente i trattamenti pensionistici.

24. Secondo l’art. 24, comma 18: “Allo scopo di assicurare un processo di incremento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento anche ai regimi pensionistici e alle gestioni pensionistiche per cui siano previsti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, requisiti diversi da quelli vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria (…) con regolamento da emanare entro il 31 ottobre 2012, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2, e successive modificazioni, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono adottate le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonchè dei rispettivi ordinamenti”. In virtù di tale disposizione è stato appunto adottato il Regolamento contenuto nel D.P.R. n. 157 del 2013, il quale consente di erogare al personale viaggiante dipendente delle aziende di trasporto pubblico una pensione di vecchiaia “al raggiungimento del requisito anagrafico ridotto di cinque anni rispetto a quello tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio”.

25. E’ noto che il D.L. n. 201 del 2011 (c.d. “Decreto Monti”), a partire dal 1 gennaio 2012, ha sostituito le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di anzianità, con le seguenti prestazioni: a) la “pensione di vecchiaia”; b) la “pensione anticipata” (art. 24, comma 3). La pensione di vecchiaia è conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti anagrafici ridefiniti dall’art. 24, comma 6 e contributivi minimi di cui al comma 7 cit. articolo (20 anni), fatto salvo quanto stabilito dai commi 14, 15 bis e 18. La pensione anticipata è conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti di anzianità contributiva stabiliti dal comma 10 per età anagrafiche inferiori a quelle previste dal comma 6 ovvero sulla base dei requisiti di cui al comma 11, fatto salvo quanto stabilito sempre del D.L. n. 201 del 2011, art. 24, commi 14, 15-bis, 17 e 18.

26. Dalla combinazione di tali norme deriva che il lavoratore in controversia, al momento del licenziamento, era in possesso del requisito anagrafico (del pari non è contestata l’anzianità contributiva minima) per il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata prevista per il personale viaggiante al raggiungimento di un’età ridotta di cinque anni rispetto a quella tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio e, quindi, all’epoca pari a 61 anni e 7 mesi, in quanto nel biennio 2016 2018 il requisito anagrafico generale di accesso alla pensione di vecchiaia era pari a 66 anni e 7 mesi.

27. Secondo la Corte di Appello, per consentire l’applicabilità del recesso ad nutum dell’azienda, era altresì necessaria la domanda dell’interessato; in particolare la Corte si riferisce a quella prevista dal D.Lgs. n. 67 del 2011, art. 1 che legge in integrazione con la disciplina stabilita dal D.Lgs. n. 414 del 1996.

28. In realtà il D.Lgs. n. 21 aprile 2011, n. 67 – recante norme sull'”Accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 1″ – all’art. 1, comma 1, rubricato “Lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti”, stabilisce che “In deroga a quanto previsto alla L. 23 agosto 2004, n. 243, art. 1 come modificato dalla L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1 possono esercitare, a domanda, il diritto per l’accesso al trattamento pensionistico anticipato, fermi restando il requisito di anzianità contributiva non inferiore a trentacinque anni e il regime di decorrenza del pensionamento vigente al momento della maturazione dei requisiti agevolati” talune tipologie di lavoratori dipendenti, tra i quali: (…) “d) conducenti di veicoli, di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo”. La disciplina prevede anche che il “diritto al trattamento pensionistico anticipato” è esercitabile qualora i lavoratori appartenenti alle tipologie indicate abbiano svolto le attività lavorative secondo le modalità ivi previste per un periodo di tempo minimo specificato nel D.Lgs. n. 67 del 2011, art. 1, comma 2.

29. Si tratta dunque di una normativa che ha un oggetto e dei destinatari che sono propri rispetto a quelli previsti dal D.Lgs. n. 414 del 1996, disciplina che non si integra con essa.

30. Prima di tutto il D.Lgs. n. 67 del 2011 è stato adottato per i “lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti” e non riguarda specificamente il personale addetto ai pubblici servizi di trasporto e neanche tutto il personale viaggiante, ma esclusivamente i “conducenti di veicoli, di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo” e sempre che abbiano svolto detta attività per il periodo minimo specificato nell’art. 1, comma 2 di detto decreto. Inoltre, il D.Lgs. n. 67 del 2011 non ha ad oggetto la pensione di vecchiaia di cui al D.Lgs. n. 414 del 1996, bensì un “trattamento pensionistico anticipato” che richiede un “requisito di anzianità contributiva non inferiore a 35 anni” (ben diverso dai 20 anni previsti per la pensione di vecchiaia) ed i “requisiti agevolati” stabiliti, a decorrere dal 1 gennaio 2012, dalla Tabella B di cui all’allegato 1 della L. n. 247 del 2007, che prevede, in generale, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati una combinazione di età anagrafica e anzianità contributiva ai fini dell’accesso alla pensione anticipata (che è ben diverso dal requisito anagrafico previsto per la pensione di vecchiaia anticipata del personale viaggiante dal D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b).

31. Significativamente, a conferma dell’eterogeneità delle due discipline, vale rilevare che il D.Lgs. n. 67 del 2011 è stato modificato proprio dall’art. 24 del successivo “Decreto Monti”, il cui comma 17 recita: “Ai fini del riconoscimento della pensione anticipata, ferma restando la possibilità di conseguire la stessa ai sensi dei commi 10 e 11 del presente articolo, per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma dell’art. 1 della L. 4 novembre 2010, n. 183, all’art. 1 del decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67, sono apportate le seguenti modificazioni: (…)”; ed il comma 3 del medesimo articolo, in riferimento alla “pensione anticipata” legata all’anzianità contributiva, lascia salvo proprio il regime speciale stabilito dal comma 17 per gli addetti a lavorazioni faticose e pesanti. Il che conferma che il pensionamento anticipato per costoro previsto a domanda non riguarda la pensione di vecchiaia anticipata, disciplinata dal D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b come modificato dal D.P.R. n. 157 del 2013, quest’ultimo adottato in attuazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 18 conv. in L. n. 214 del 2011.

32. Tuttavia, in causa è pacifico che il lavoratore non avesse inoltrato alcuna richiesta di pensionamento di vecchiaia anticipata ma, al contrario, sin dall’atto introduttivo del giudizio è stato dedotto che aveva esplicitamente comunicato ad essa società la volontà di voler rimanere in servizio fino al raggiungimento dell’età massima prevista dal regime generale obbligatorio. La Corte territoriale ha espressamente preso posizione sul punto affermando come la possibilità (di optare per la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre l’età pensionabile) sia tuttora riconosciuta anche agli iscritti al soppresso fondo di previdenza del personale addetto al trasporto pubblico transitati nell’assicurazione generale obbligatoria e, nel caso di specie, il Q. aveva manifestato la sua volontà di trattenersi in servizio fino al raggiungimento dell’età massima per la pensione di vecchiaia prevista dal regime generale obbligatorio.

33. Tale accertamento fattuale non incorre, come già detto, in alcun vizio di ultrapetizione, come pure lamentato da parte ricorrente, atteso che si tratta di questione dedotta in giudizio sin dal ricorso originario, con la conseguente sua qualificazione come fatto impediente rispetto alla possibilità di licenziare ad nutum.

34. Tanto è accaduto in coerenza con la facoltà, che deve essere riconosciuta anche al personale viaggiante in possesso del requisito anagrafico per l’erogabilità della pensione di vecchiaia anticipata di cui al D.Lgs. n. 414 del 1996, di esercitare l’opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi del D.L. n. 791 del 1981, art. 6 conv., con modif., dalla L. n. 54 del 1982, evitando così il transito nell’area della libera recedibilità ed anche al fine di incrementare l’anzianità contributiva per coloro che, come nella controversia che ci occupa, possono conseguire la pensione di vecchiaia prima del 65 anno di età; infatti l’art. 6 richiamato è stato ritenuto applicabile anche agli autoferrotranvieri da Corte Cost. n. 226 del 1990, proprio per evitare disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri lavoratori dipendenti. E questa Corte ha già avuto modo di affermare come non sarebbe ragionevole che il lavoratore, per il solo fatto di trovarsi nella situazione di poter richiedere l’attribuzione di un pensionamento anticipato, si trovi a perdere la stabilità del posto di lavoro al compimento del sessantesimo anno di età e possa, quindi, essere privato della facoltà di continuare a lavorare per raggiungere l’anzianità contributiva massima utile o per incrementarla ulteriormente, come invece consentito a colui che ha lavorato per un tempo minore (cfr. Cass. n. 3907 del 1999).

35. Tale ricostruzione non confligge – come invece opina parte la sentenza a Sezioni unite di questa Corte n. 17589 del 2015.

La pronuncia si è occupata dell’interpretazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 4 più volte citato, secondo cui: “Per i lavoratori e le lavoratrici la cui pensione è liquidata a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria e delle forme esclusive e sostitutive della medesima, nonchè della gestione separata di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26, la pensione di vecchiaia si può conseguire all’età in cui operano i requisiti minimi previsti dai successivi commi. Il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita, come previsti dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12 convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni e integrazioni. Nei confronti dei lavoratori dipendenti, l’efficacia delle disposizioni di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità”.

36. Le Sezioni Unite hanno in primo luogo ritenuto che, con il richiamo ai “limiti ordinamentali”, il legislatore ha inteso precisare che la “incentivazione” al prolungamento del rapporto di lavoro non deve collidere con le disposizioni che, sul piano legislativo regolano gli specifici comparti (individuati sulla base della disciplina del rapporto tanto sul piano della regolazione sostanziale che di quella previdenziale) di appartenenza del lavoratore e che potrebbero essere ostativi al nuovo regime previsto dalla disposizione in esame. Inoltre -secondo la pronuncia- la disposizione, nel prevedere che “il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato… dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni…”, prevede solo la possibilità che, grazie all’operare di detti coefficienti, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore. Sarebbe questo il senso della locuzione “è incentivato… dall’operare dei coefficienti di trasformazione…”, la quale presuppone che non solo si siano create dette più favorevoli condizioni previdenziali, ma anche che, grazie all’incentivo in questione, le parti consensualmente stabiliscano la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca valutazione di interessi. Quindi la norma prefigura la formulazione di condizioni previdenziali che costituiscano incentivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro per un lasso di tempo che può estendersi fino a settanta anni. In tal senso – continua la S.C. – depone anche la formulazione dell’ultimo periodo dell’art. 24, comma 4, da interpretarsi nel senso che esso consente l’estensione della tutela dell’art. 18 solo nel caso che le parti abbiano consensualmente ritenuto di procrastinare la durata del rapporto, in presenza delle condizioni di adeguamento pensionistico fissate dallo stesso comma 4.

37. I due sistemi, quindi, non sono tra loro incompatibili: il primo, sempre nei residui casi in cui sia applicabile, costituisce esercizio di una facoltà del lavoratore, indipendente dalla volontà del datore di lavoro (per le conseguenze del rifiuto del datore a proseguire il rapporto v. per tutte Cass. n. 11668 del 2008), al fine di incrementare l’anzianità contributiva fino a quella massima e, comunque, fino al 65 anno di età; il secondo riguarda invece l’incentivo alla prosecuzione dell’attività lavorativa sino a 70 anni, operando i coefficienti di trasformazione, e postula il consenso del datore di lavoro.

38. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

39. Ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, viene enunciato il seguente principio di diritto:

“Nelle aziende addette ai pubblici servizi di trasporto, per le quali opera il regime previdenziale speciale introdotto dal D.Lgs. n. 29 giugno 1996, n. 414, un addetto al personale viaggiante ultrasessantenne in possesso del requisito anagrafico per il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata, previsto al raggiungimento di un’età ridotta di 5 anni rispetto a quella, tempo per tempo, in vigore nel regime generale obbligatorio, non può essere licenziato ai sensi della L. n. 108 del 1990, art. 4, comma 2, in presenza di una volontà espressa del lavoratore medesimo volta a non accedere al pensionamento anticipato ed a permanere in servizio.”

40. Le spese sono regolate secondo il regime della soccombenza, liquidate come da dispositivo, con attribuzione ai procuratori dichiaratisi antistatari.

41. Occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.250,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dei Procuratori antistatari del controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a previsto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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