Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14812 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 10/07/2020), n.14812

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30595-2018 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO

18, presso lo studio dell’avvocato CARMINE MEDICI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA

DEI PORTOGHESI N. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 331/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 03/04/2018 R.G.N. 1372/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CARMINE MEDICI;

udito l’Avvocato LUIGI SIMEOLI (Avvocatura dello Stato).

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza n. 331 del 2018, ha rigettato l’appello proposto da M.N., nei confronti dell’Agenzia delle entrate, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Foggia.

2. Il Tribunale aveva rigettato la, domanda con cui il lavoratore, dirigente di seconda fascia dell’Agenzia delle entrate, aveva chiesto dichiararsi la nullità, inefficacia e/o illegittimità del preavviso di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro adottata dall’Agenzia delle entrate con nota del 25 maggio 2011, ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, convertito, con modifiche con la L. n. 133 del 2008, e con effetto dal 18 novembre 2012, per raggiungimento della prevista anzianità contributiva, con la conseguente condanna dell’Amministrazione alla reintegra e al risarcimento.

3. Ricorda la Corte d’Appello che “Il Tribunale aveva rigettato la domanda ritenendo l’insussistenza della dedotta carenza di giustificazione del preavviso di risoluzione di cui alla nota prot. n. 2011/33350 del 25 maggio 2011, dal momento che “… avendo provveduto il datore di lavoro con atto del direttore prot. n. 2008/164144 del 31 ottobre 2008 (sub allegato n. 3 della produzione di parte resistente) a comunicare a tutti i dipendenti, dirigenti e non, i criteri per il collocamento a riposo alla luce della predetta novella normativa, il vizio denunciato di carenza motivazionale dell’atto è privo di fondamento”; quindi ritenendo che alcuna discriminazione in ragione dell’età anagrafica era scrivibile al provvedimento di risoluzione, poichè “… il D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 13 esclude la sussistenza di discriminazione quando il diverso trattamento è imposto da finalità legittime e perseguite con mezzi adeguati”.

4. Il giudice di secondo grado, dopo aver illustrato i motivi di appello, li ha rigettati in ragione delle seguenti motivazioni.

4.1. Rigetto del primo motivo di appello relativo alla dedotta violazione dell’obbligo motivazionale.

Dopo avere richiamato la disciplina che regola la fattispecie, la Corte d’Appello riporta le statuizioni di Cass., n. 25378 del 2016, e rileva che nella specie l’Agenzia delle entrate, nella nota di preavviso di risoluzione del rapporto, non si era limitata a richiamare la norma di legge, ma aveva esplicitato le ragioni della scelta, “legate al programma di vasto ricambio generazionale perseguito dall’Agenzia, anche in concomitanza con i processi di ridimensionamento degli assetti organizzativi conseguenti all’applicazione del succitato D.L. n. 112 del 2008, art. 74”, ed aveva chiarito che era stata assicurata “a tutti gli interessati la massima omogeneità di trattamento, facendo quindi prevalere necessariamente un principio di rigorosa uniformità decisionale, tale da precludere… qualunque percezione di incoerenza, contraddittorietà o ingiustificata disparità di trattamento” (richiama doc. 3 allegato al fascicolo di primo grado della parte appellante).

Afferma, quindi, che la motivazione era, quindi, chiara nell’individuare le finalità perseguite dall’Amministrazione e nell’ascrivere il recesso, oltre che alla politica di ricambio generazionale, alla attuazione degli obblighi imposti dal D.L. n. 112 del 2008, art. 74, che nel testo applicabile ratione temporis, imponeva alle Agenzie di adottare, entro il 30 novembre 2008, provvedimenti finalizzati a ridimensionare gli assetti organizzativi esistenti, secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità, operando la riduzione degli uffici dirigenziali di livello generale e di quelli di livello non generale a ridurre il contingente di personale adibito allo svolgimento di compiti logistico – strumentali e di supporto in misura non inferiore al dieci per cento… alla rideterminazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale, apportando una riduzione non inferiore al dieci per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale…. Altrettanto chiara è la lettera di recesso nel chiarire che la Agenzia aveva deciso di risolvere tutti i rapporti con il personale in possesso del requisito dell’anzianità contributiva, al fine di garantire uniformità di trattamento, il che esclude la necessità di stabilire i alteri di scelta, oggettivi e predeterminati, ai quali ha fatto riferimento il ricorrente nel motivo di ricorso.

4.2. Rigetto del secondo motivo di appello relativo alla prospettata discriminazione per ragioni di età anagrafica.

Afferma la Corte d’Appello che la statuizione del giudice di primo grado: “con riferimento alla presunta discriminazione per ragioni di età anagrafica, si osserva che il D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 3 esclude la sussistenza di discriminazione quando il diverso trattamento è imposto da finalità legislative e perseguite con mezzi adeguati, circostanze che all’evidenza consistono nella ragione di limitare la spesa pubblica e di ottimizzare le risorse finanziarie”, trova conferma nella giurisprudenza di legittimità.

La Corte di cassazione (la citazione si rinviene in Cass., n. 25378 del 2016), da tempo, ha affermato che “posto che la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha da tempo chiarito che costituiscono finalità legittima di politica sociale sia la promozione delle assunzioni dei più giovani (…), sia, nell’ambito dell’impiego pubblico, “la finalità consistente nell’instaurare una ripartizione equilibrata delle fasce di età tra giovani funzionari e funzionari più anziani al fine di favorire l’occupazione e la promozione dei giovani, di ottimizzare la gestione del personale e, al tempo stesso, di prevenire le eventuali controversie vertenti sull’idoneità del dipendente ad esercitare la sua attività dopo una certa età, il tutto mirando ad offrire un servizio di qualità” (Commissione Europea Ungheria in causa C- 286/12)”.

Prosegue, quindi, la Corte d’Appello, affermando che le finalità che si desumono dal combinato disposto del D.L. n. 112 del 2008, artt. 72 e 74, sono legittime e lo strumento utilizzato, oltre a realizzare un contemperamento degli interessi in gioco, prevedendo la possibilità di recesso solo nei confronti dei dipendenti in possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione, appare anche necessario al perseguimento dell’obiettivo che, non potrebbe essere realizzato attraverso i meccanismi della mobilità, che erano stati richiamati dal ricorrente.

5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre M.N. prospettando due motivi di ricorso.

6. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

7. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 3,51 e 97 Cost., violazione e falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, artt. 73 e 74, conv., con mod. dalla L. n. 133 del 2008 e succ. int. e mod., in relazione all’art. 360, n. 3 – error in judicando.

La sentenza d’appello è censurata in quanto ha fondato la decisione sulla circostanza che l’Agenzia delle entrate avrebbe dato conto in modo sufficiente delle ragioni che avrebbero reso necessario avvalersi del potere conferito dal legislatore nei confronti dei soggetti in possesso della prevista massima anzianità contributiva, intendendo perseguire in tal modo l’esigenza, imposta dal D.L. n. 112 del 2008, art. 74 di procedere alla riduzione della dotazione organica del personale dirigenziale, ciò nell’ottica della scelta legata al programma di vasto ricambio generazionale perseguito dall’Agenzia.

La Corte d’Appello, nel ritenere sufficiente il mero rinvio alle dedotte specifiche ragioni organizzative, ha erroneamente valutato il D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, e ha limitato la propria decisione al solo astratto dedotto collegamento del recesso con l’obbligo di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 74 pur non essendo stata provata dal datore di lavoro l’effettiva sussistenza delle ragioni organizzative a monte del provvedimento di recesso.

Ciò, in contrasto con la giurisprudenza richiamata nella decisione impugnata, tenuto conto, altresì, che la sentenza Cass., n. 1706 del 2017, ha affermato: “Le disposizioni sopra citate sono già state interpretate da questa Corte con la sentenza n. 21626 del 23.10.2015, che ha affermato il carattere innovativo e non interpretativo del D.L. n. 98 del 2011, art. 16”, e che la sentenza n. 11595 del 2016 ha precisato: “E se è chiaro, e dal Collegio condiviso, che il requisito della adozione dell’atto generale organizzativo (sostitutivo dell’ulteriore motivazione) è frutto di scelta innovativa (come detto dalla citata pronunzia del 2015), altrettanto chiaro e condiviso che l’obbligo motivazionale – solo de futuro sostituito dall’atto generale – sussisteva già a regolare l’originaria risoluzione di cui al D.L. del 2008, art. 72, comma 11”.

Il ricorrente, quindi, ripercorre le statuizioni della sentenza da ultimo citata, prospettando che, in ragione del richiamato orientamento giurisprudenziale, affinchè possa considerarsi legittimo l’esercizio della facoltà di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, devono sussistere ed essere dimostrate in giudizio le esigenze organizzative per la cui realizzazione l’amministrazione ha dichiarato nella motivazione dei propri atti, interni di voler ricorrere allo strumento della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro; devono essere preventivamente stabiliti i criteri generali di attuazione dei predetti atti organizzativi interni.

Pertanto la circostanza che l’Agenzia delle entrate non avesse in alcun modo provato l’effettiva sussistenza di quelle esigenze di ricambio generazionale richiamate nel provvedimento unilaterale di recesso così come nell’atto dispositivo del direttore dell’Agenzia n. 164144 del,31 ottobre 2008, assume rilievo ai fini della valutazione di legittimità della risoluzione dei rapporto di lavoro.

Non era dato evincere quali elementi, fatti e circostanze, erano stati prese in considerazione dall’Amministrazione tali da giustificare per l’interesse pubblico, l’applicazione generalizzata della previsione di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, non essendo a ciò sufficiente la finalità generale del disegno di riorganizzazione e razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonchè di progressiva riduzione del personale.

In tal senso, viene richiamata la circolare 10/2008 del Dipartimento della Funzione pubblica, alla quale non si era conformata l’Amministrazione.

Inoltre, come dedotto in appello, l’endemica carenza di personale smentiva gli assunti del datore di lavoro, come si evinceva anche dal contenzioso svoltosi dinanzi al giudice amministrativo relativo al conferimento di incarichi dirigenziali in favore di funzionari non in possesso della qualifica, su cui era intervenuta anche la Corte costituzionale, non consentiva di poter ritenere giustificata la riduzione del personale dirigenziale.

2. Il motivo non è fondato.

3. Nel caso di specie, la risoluzione del rapporto di lavoro interveniva a seguito di preavviso di risoluzione unilaterale del 25 maggio 2011 con decorrenza dal 18 novembre 2012.

4. Pertanto trova quindi applicazione, ratione temporis, il D.L. n. 112 del 2008, art. 72 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 133 del 2008, nel testo successivo alle modifiche alle modifiche apportate dal D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, conv. con mod. dalla L. n. 10 del 2011, e precedente alle modifiche apportate dal D.L. n. 201 del 2011, conv. con mod. dalla L. n. 214 del 2011, che al comma 11, primo periodo, prevede: “Per gli anni 2009, 2010 e 2011, le pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, possono, a decorrere dal compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni del personale dipendente, nell’esercizio dei poteri di cui al citato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5 risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e il contratto individuale, anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici”.

Analoga disposizione si rinviene anche nel testo dell’art. 72 successivo alle modifiche di cui al citato D.L. n. 201 del 2011, convertito dalla L. n. 214 del 2011, vigente al momento, della decorrenza della risoluzione in questione.

5. A sua volta, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5 nel testo precedente le modifiche apportate dal D.L. 6 luglio 2012, n. 95, prevede al comma 1: “Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l’attuazione dei principi di cui all’art. 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa”.

6. Va, altresì, considerato che il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 16, comma 11, convertito con modificazioni, dalla L. n. 111 del 2011, ha previsto “In tema di risoluzione del rapporto di lavoro l’esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11 convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo”.

7. In ragione di tale ultima disposizione, questa Corte, con la sentenza n. 21626 del 2015 ha affermato che “è solo a partire da tale ulteriore modifica che l’esercizio della facoltà delle pubbliche amministrazioni di risolvere il rapporto di impiego sul presupposto del compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni è condizionato, in generale (ossia in tutti i comparti), alla previa adozione di un atto generale di organizzazione interna che ponga i criteri applicativi per l’esercizio di tale facoltà. In precedenza invece solo per alcuni comparti -come già rilevato – si richiedeva l’integrazione regolamentare per la definizione degli specifici criteri e le modalità applicative della disposizione che tale facoltà prevedeva”.

8. Con la sentenza n. 111595 del 2016 si è poi affermato, rispetto alla disposizione da ultimo richiamata: “E se è chiaro, e dal Collegio condiviso, che il requisito della adozione dell’atto generale organizzativo (sostitutivo dell’ulteriore motivazione) è frutto di scelta innovativa (come detto dalla citata pronunzia del 2015), è altrettanto chiaro e condiviso che l’obbligo motivazionale – solo de futuro sostituito dall’atto generale – sussisteva già a regolare l’originaria risoluzione di cui al D.L. del 2008, art. 72, comma 11”.

La sentenza n. 11595 del 2016 (i cui principi sono stati richiamati dalla sentenza n. 1706 del 2017, richiamata dal ricorrente) ha, quindi, affermato il seguente principio di diritto: “”La facoltà attribuita dal D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, alle Pubbliche amministrazioni di poter risolvere il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi, nel caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, deve essere esercitata, anche in difetto di adozione di un formale atto organizzativo, avendo riguardo alle complessive esigenze dell’Amministrazione, considerandone la struttura e la dimensione, in ragione dei principi di buona fede e correttezza, imparzialità e buon andamento, che caratterizzano anche gli atti di natura negoziale posti in essere nell’ambito del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato. L’esercizio della facoltà richiede, quindi, idonea motivazione, poichè in tal modo è salvaguardato il controllo di legalità sulla appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata, rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguite nell’ambito di politiche del lavoro”.

Tale motivazione, si aggiunge, si rende ancor più necessaria in mancanza di un atto generale di organizzazione perchè costituisce il solo strumento di conoscenza e verifica delle ragioni organizzative che inducono l’Amministrazione ad adottare atti di risoluzione contrattuale.

In mancanza, la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato viola le norme imperative che richiedono la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2), l’applicazione dei criteri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), e i principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonchè l’art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE”.

9. Nella specie, la Corte territoriale ha affermato che i motivi del recesso erano stati esplicitati dalla Agenzia.

Ricorda la Corte d’Appello che L’Agenzia delle entrate, nel comunicare al M. la nota di preavviso di risoluzione del rapporto, non si è limitata a richiamare la norma di legge bensì ha esplicitato le ragioni della scelta “legata al programma di vasto ricambio generazionale perseguito dall’Agenzia, anche in concomitanza con i processi di ridimensionamento degli assetti organizzativi conseguenti all’applicazione del succitato D.L. n. 112 del 2008, art. 74”, ed aveva chiarito che era stata assicurata “a tutti gli interessati la massima omogeneità di trattamento, facendo quindi prevalere necessariamente un principio di rigorosa uniformità decisionale, tale da precludere, qualunque percezione di incoerenza, cpntraddittorietà o ingiustificata disparità di trattamento” (pag. 4 della sentenza di appello).

Tale statuizione è conforme ai principi sopra richiamati.

Occorre in proposito precisare che le decisioni Cass., n. 25378 del 2016, e Cass., n. 1706 del 2017, entrambe richiamate dal ricorrente, affermano gli stessi principi di diritto, ed il diverso esito del giudizio (di rigetto del ricorso del lavoratore nel primo caso e di accoglimento nel secondo caso) consegue a che in entrambi i casi, erroneamente la Corte d’Appello di Roma aveva affermato la non necessità della motivazione, ma solo nel primo caso (come si legge nella sentenza n. 25378 del 2016, che lo ha deciso) “La Corte territoriale (…) ha fondato la pronuncia di rigetto su una duplice ratio decidendi, avendo evidenziato che i motivi del recesso, sebbene non necessari, erano stati esplicitati dalla Agenzia (…)”.

10. Tanto precisato, occorre rilevare che, secondo i principi già affermati dalla citata Cass., n. 25378 del 2016, che ha esaminato fattispecie analoga, richiamata correttamente dalla Corte d’Appello, l’Agenzia, come affermato da quest’ultima, ha motivato il recesso, e la motivazione era chiara nell’individuare le finalità perseguite dalla Amministrazione e nell’ascrivere il recesso, oltre che alla politica di ricambio generazionale, alle conseguenze (processi di ridimensionamento degli assetti organizzativi) dell’attuazione degli obblighi imposti dal D.L. 112 del 2008, art. 74 che, imponeva alle Agenzie di adottare provvedimenti finalizzati a: “(…) ridimensionare gli assetti organizzativi esistenti, secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità, operando la riduzione degli uffici dirigenziali di livello generate e di quelli di livello non generale (…)”.

Poichè l’Agenzia aveva deciso di risolvere tutti i rapporti con il personale in possesso del requisito dell’anzianità contributiva, al fine di garantire uniformità di trattamento, non sussisteva la necessità di stabilire i criteri di scelta, oggettivi e predeterminati.

11. Va, peraltro, rilevato che, atteso che l’Amministrazione ha motivato il recesso, nei sensi sopra detti, spettava al ricorrente dedurre con allegazioni circostanziate, la mancanza di effettiva sussistenza di tali esigenze, senza limitarsi, come nella specie, a prospettare un ipotetico onere di prova ex post a carico dell’Agenzia.

12. Si rileva, inoltre che le circolari della pubblica amministrazione sono atti interni destinati ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attività degli organi inferiori e, quindi, hanno natura non normativa, ma di atti amministrativi, sicchè la loro violazione non è denunciabile, come nel caso, in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

13. Le ulteriori considerazioni che si leggono nella prima censura sul carattere generale della motivazione e sulla erroneità della vantazione espressa dalla Corte territoriale, anche in ragione della carenza di personale come da contenzioso in sede amministrativa, non possono essere apprezzate in questa sede, perchè attengono al giudizio riservato al giudice di merito ed esulano dai ristretti limiti del controllo di legittimità consentito ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

14. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 3, comma 3, violazione e falsa applicazione della direttiva n. 2000/78/CE, violazione del principio di non discriminazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, error in judicando.

E’ censurata la statuizione che ha rigettato la doglianza relativa alla sussistenza di discriminazione in ragione dell’età.

Esso ricorrente aveva dedotto, da un lato che non era possibile individuare quale fosse l’interesse pubblico sotteso alla determinazione di risolvere indiscriminatamente il rapporto di lavoro con sè medesimo e gli altri dirigenti che si trovassero in possesso del requisito dei quarant’anni di anzianità contributiva, e dall’altro che non appariva dimostrato che il personale compreso in una determinata fascia di età, in cui erano inclusi coloro che avevano raggiunto la suddetta anzianità contributiva, dovesse ritenersi inadeguato professionalmente rispetto ad un generico processo di innovazione organizzativa. A ciò non davano risposta i principi giurisprudenziali richiamati dalla Corte d’Appello. Peraltro, con atto del direttore centrale del personale dell’Agenzia delle entrate n. 2012/2111 dell’11.1.2012, successivo alla nota concernente il preavviso di risoluzione del rapporto di lavoro, al ricorrente era conferito l’incarico dirigenziale di titolare dell’Ufficio controlli della direzione provinciale di Foggia.

Dunque, il programma di vasto ricambio generazionale non costituiva finalità legittima in relazione al D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 3, comma 3.

15. Il motivo non è fondato.

Con consolidato e condiviso indirizzo questa Corte ha affermato che la risoluzione unilaterale da parte di una Pubblica amministrazione dei rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato in applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, non contrasta con l’art. 6 della direttiva 2000/78/CE, attuata dal D.Lgs. n. 216 del 2003, come interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, in quanto tale direttiva consente agli Stati membri di prevedere, nell’ambito del diritto nazionale, differenze di trattamento dei lavoratori fondate sull’età purchè siano “oggettivamente e ragionevolmente” giustificate da una finalità legittima quale è la politica del lavoro e del relativo mercato o della formazione professionale e sempre che i mezzi per il raggiungimento di tale scopo siano necessari e appropriati, come si verifica nella specie (vedi, per tutte: Cass. n. 22023 del 2015; Cass. n. 11859 del 2015, Cass., n. 19864 del 2018), anche in ragione delle considerazioni svolte nella trattazione del primo motivo di ricorso. Peraltro, in una prospettiva di salvaguardia della posizione del lavoratore, il legislatore ha fatto riferimento, quale condizione per il recesso unilaterale non all’età dello stesso, ma al raggiungimento della anzianità massima contributiva di quaranta anni.

16. Il ricorso va rigettato.

17. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

18. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00, per esborsi, Euro 5.500,00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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