Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14809 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 27/05/2021, (ud. 14/01/2021, dep. 27/05/2021), n.14809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20452-2015 proposto da:

I.R.c.c.S. – AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA “SAN MARTINO” – IST –

ISTITUTO NAZIONALE PER LA RICERCA SUL CANCRO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI S. COSTANZA 46, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANCINI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMILIANO ALOI;

– ricorrente –

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, quale

successore ex lege dell’I.N.P.D.A.P., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARLA D’ALOISIO, ANTONINO

SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE;

– Z.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIEGI 35B,

presso lo studio dell’avvocato GABRIELE DI PAOLO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato CARLO PAOLESSI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1186/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 23/02/2015 R.G.N. 49/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 1186 del 2014, decidendo in sede di rinvio da Cass. n. 23611 del 2013, e per quanto in questa sede rileva, ha accolto la domanda svolta da Z.A., con il ricorso in riassunzione innanzi al giudice del rinvio, per gli interessi e la rivalutazione sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno per erronea collocazione in pensione, per fatto addebitabile alla PA consistente, secondo i principi affermati nella sentenza rescindente di questa Corte, nella ricostruzione della carriera e nel pagamento delle retribuzioni che avrebbe percepito se fosse rimasta ininterrottamente in servizio;

2 la Corte di merito accoglieva la domanda per interessi e rivalutazione sul presupposto del giudicato formatosi sulla debenza degli oneri accessori e sul loro cumulo, come riconosciuto dal giudice di primo grado, con statuizione avverso la quale l’azienda ospedaliera non aveva interposto gravame;

3. ricorre avverso tale sentenza l’IRCCS Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino Istituto Nazionale per la Ricerca sul cancro, con ricorso affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, Z.A., ulteriormente illustrato con memoria;

4. l’INPS ha depositato controricorso adesivo alle censure svolta dalla parte ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

5. deducendo violazione dell’art. 2909 c.c., art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 112 c.p.c., della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, e L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36 l’Azienda Ospedaliera assume, con i primi due motivi di ricorso, che la Corte d’appello non avrebbe dovuto accogliere la domanda sugli accessori perchè la sentenza d’appello, poi impugnata innanzi alla Corte di cassazione, nel riformare la decisione di primo grado, non ne aveva più riconosciuto la debenza e la parte privata, nel proporre ricorso per cassazione, non aveva investito, filo tempore, la Corte di legittimità della questione;

6. i motivi sono da accogliere;

7. a mente dell’art. 336 c.p.c., con la pubblicazione della sentenza di riforma in appello, senza neanche necessità del passaggio in giudicato della sentenza di riforma, si produce la caducazione immediata della sentenza riformata, le cui statuizioni vengono sostituite automaticamente da quelle della sentenza di riforma (v., fra le tante, Cass. n. 28918 del 2018 ed ivi ulteriori riferimenti);

8. non si è formato, pertanto, alcun giudicato sulla debenza degli accessori, come assume la sentenza impugnata;

9. travolta anche la sentenza di appello e decisa, con la sentenza rescindente di questa Corte, n. 23611 del 2013, solo la sorte capitale, neanche la statuizione relativa alla non debenza degli accessori, affermata dalla Corte di merito, poteva separatamente passare in cosa giudicata, non costituendo di per sè capo autonomo della sentenza suscettibile di formare giudicato parziale per intervenuta acquiescenza ex art. 329 c.p.c. cpv., dovendo intendersi come tale soltanto quella statuizione idonea a conservare la propria efficacia precettiva anche ove vengano meno le altre, indubbio che la statuizione, affermativa o negativa, sugli accessori (interessi e rivalutazione monetaria) non possa sopravvivere senza quella avente ad oggetto il credito principale (si rinvia alla motivazione di Cass. n. 19312 del 2016 ed ivi ulteriori precedenti);

10. non formatosi alcun giudicato affermativo o negativo sugli accessori del capitale riconosciuto dalla sentenza rescindente, la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare, anche d’ufficio, nella specie, la previsione generale dell’art. 429 c.p.c., comma 3, e la regola limitativa, applicabile nella materia de qua, per cui il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi, previsto dalla L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36, per gli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale spettanti ai dipendenti pubblici in attività di servizio o in quiescenza, si applica anche ai crediti risarcitori, atteso che con l’ampia locuzione “crediti di lavoro” il codice di rito ha inteso riferirsi a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli strettamente retributivi (v., fra le altre, Cass. n. 13624 del 2020);

11. va ricordato che in tema di accessori dei crediti di lavoro, la L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36, ha introdotto il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria e interessi il cui diritto alla percezione non sia maturato entro il 31 dicembre 1994;

12. tale norma è stata oggetto dell’intervento della Corte costituzionale, sentenza n. 459 del 2000, che, con pronuncia di accoglimento, ha affermato che il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi non trova applicazione per i crediti retributivi dei dipendenti privati, ancorchè maturati dopo il 31 dicembre 1994 e che tale divieto continua invece ad avere applicazione per i dipendenti di enti pubblici non economici, per i quali ricorrono, ancorchè i rapporti di lavoro risultino privatizzati, le ragioni di contenimento della spesa pubblica, in coerenza con la ratio decidendi prospettata dal Giudice delle leggi, le ragioni di contenimento della spesa pubblica non riferibili, all’evidenza, ai crediti di lavoro derivanti da rapporti di diritto privato;

13. rimane assorbito il terzo motivo di censura;

14. la sentenza impugna va, pertanto, cassata con rinvio, in relazione ai motivi accolto, e il giudice designato in dispositivo dovrà calcolare, sulla somma capitale corrispondente alle differenze retributive maturate fino al 31 dicembre 1994, il cumulo tra rivalutazione monetaria e interessi e, sulla somma capitale corrispondente alle differenze retributive maturate dal 1 gennaio 1995, i soli interessi legali oltre all’eventuale differenza tra il tasso di interesse legale e il tasso di rivalutazione (se maggiore);

15. al giudice del rinvio è demandata anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo e secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

 

 

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