Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14808 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 05/07/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 05/07/2011), n.14808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10 presso lo studio

dell’avvocato GHIA, rappresentato e difeso dall’avvocato AMATUCCI

ANDREA, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 164/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 19/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato AMATUCCI FABRIZIO per delega Avv.

AMATUCCI ANDREA, che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato DE BELLIS GIANNI, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Napoli, con due motivi, impugna con ricorso per cassazione la sentenza n. 164/20/05 della CTR della Campania In data 21.6.2005, con cui veniva rigettato il suo appello avverso quella di primo grado, con la quale erano stati respinti i ricorsi in opposizione contro gli avvisi di accertamento in rettifica delle dichiarazioni relative all’Iva per gli anni 1987 e 1991, per i quali l’ufficio non riconosceva la detrazione sulle operazioni passive. La CTR osservava che per le medesime l’ente doveva considerarsi consumatore finale, mentre per quelle inerenti ad attività commerciale, esso già aveva ricevuto le somme versate a tale titolo, e quindi non poteva vantare alcuna pretesa, configurandosi altrimenti un doppio beneficio a scapito dell’agenzia.

Il Ministero dell’economia e l’agenzia delle entrate resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 e art. 19 e art. 4, par. 5 6^ direttiva CEE n. 77/388, con riferimento all’art. 360, n. 3 del codice di rito, in quanto la commissione tributaria regionale non avrebbe considerato che le varie tipologie di attività dell’ente pubblico non sono connotate dal carattere dell’autoritatività, ma diverse si inquadrano nell’ambito del settore commerciale, come la gestione dei servizi cimiteriali; della rete fognaria; degli impianti sportivi e dei servizi inerenti alla metropolitana, per i quali è soggetto attivo d’imposta, con la conseguenza che la detrazione andava riconosciuta.

Il motivo è infondato. Infatti si trattava di beni, quelli acquistati dal contribuente, che potevano godere del beneficio fiscale soltanto se a loro volta trasferiti a terzi, atteso che non potevano essere portati in deduzione, essendo destinati ad attività esenti, sicchè in definitiva esso ne era il consumatore finale.

Invero in tema di IVA, l’esenzione prevista dall’art. 13, parte B), lett. c), della 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia CE con ordinanza del 6 luglio 2006, in cause C-18/05 e C- 155/05, si applica esclusivamente alla rivendita di beni acquistati per l’esercizio di un’attività esente, ove gli stessi non abbiano formato oggetto di un diritto a detrazione, e non giustifica pertanto il rimborso dell’imposta versata per l’acquisto di beni o servizi destinati in modo esclusivo all’esercizio di un’attività esentata, ancorchè esclusi dal diritto a detrazione, non essendo quello relativo al rimborso desumibile neppure della sentenza 25 giugno 1997, in causa C-45/95, con cui la Corte si è limitata ad accertare l’inadempimento della Repubblica Italiana, agli obblighi derivanti dalla medesima disposizione, senza avallare un’interpretazione diversa da quella successivamente fornita con la predetta ordinanza (V. pure Cass. Sez. U, Sentenza n. 27207 del 23/12/2009, Sent. n. 9107 del 2009). Inoltre va osservato che ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 ed in conformità all’art. 17 della 6^ direttiva del Consiglio CEE del 17 maggio 1997, (come costantemente interpretata dalla giurisprudenza della Corte Europea) immediatamente applicabile nell’ordinamento interno già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 9 febbraio 1997, n. 313, non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata “a monte” per l’acquisto o l’importazione di beni, o per conseguire la prestazione di servizi afferenti al successivo compimento di operazioni esenti o comunque non soggette ad imposta, atteso che in base alla normativa citata, ai fini della detrazione non è sufficiente che le dette operazioni attengano all’oggetto dell’impresa, essendo necessario che esse siano, a loro volta, assoggettabili all’IVA (V. pure Cass. Sentenza n. 18222 del 29/08/2007).

2) Col secondo motivo il ricorrente denunzia violazione di norma di legge, giacchè la detraibilità dell’Iva sarebbe legittima anche nei casi di contributi finanziari erogati al Comune e comprensivi d’imposta.

La censura, che peraltro è inammissibile, perchè formulata non correttamente, poichè non sono stati indicati gli artt. 112 e 360 c.p.c., n. 4, tuttavia rimane in parte assorbita da quanto testo enunciato, anche comunque – solo “ad abundantiam” – non appare superfluo rilevare che non ha pregio, atteso che con i contributi ricevuti dallo Stato il Comune aveva anche percepito le somme pagate per Iva, e quindi l’erogante non poteva subire un doppio svantaggio, come esattamente osservato dal giudice di appello. Peraltro in generale in tema di imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione di quello d’impresa, l’indetraibilità dell’IVA imputabile ad operazioni esenti poste in essere nell’ambito dell’attività propria del contribuente, prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, art. 19, non si traduce in una doppia imposizione dell’IVA, in quanto l’imposta non ammessa in detrazione è comunque deducibile dal reddito imponibile, rappresentando pur sempre un costo collegato ad operazioni che producono un ricavo (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 22243 del 21/10/2009, n. 9107 del 2009).

Quindi anche in rapporto a tali corrette valutazioni giuridiche, le doglianze del contribuente non riescono ad intaccare quelle del giudice del gravame, onde queste vanno complessivamente condivise, con il conseguente rigetto del ricorso.

Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al rimborso delle spese a favore dei controricorrenti, e che liquida in Euro 32.000,00 (trentaduemila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito;

alle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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