Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14806 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/07/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 10/07/2020), n.14806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21793-2014 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SIRTE 43,

presso lo studio dell’avvocato ALBERTO DE CAROLIS, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INARCASSA – Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli

Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BARBERINI 47, presso lo studio dell’avvocato ANGELO PANDOLFO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5667/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/07/2014 R.G.N. 1542/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/02/2020 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALBERTO DE CAROLIS;

udito l’Avvocato LUCANTONI SILVIA per delega verbale Avvocato ANGELO

PANDOLFO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda proposta da G.F. volta a sentir dichiarare l’illegittimità del provvedimento d’iscrizione d’ufficio operata da Inarcassa per gli anni dal 2002 al 2007 e, conseguentemente, la non debenza dei relativi contributi, oltre a interessi e sanzioni, ed aveva accolto la domanda riconvenzionale svolta dalla Cassa e condannato il ricorrente al pagamento di Euro 31.498,85 a titolo di contributi soggettivi, di maternità e sanzioni e al versamento del contributo integrativo sulla sorte di Euro 2.492,31.

2. I contributi riguardavano il periodo in cui l’ing. G.F., iscritto all’albo degli ingegneri dal 1959 al marzo 2007, pensionato INPDAI dal 1993 e titolare di partita IVA dal 19.5.1994, aveva svolto attività professionale a favore della società Risorse per Roma s.p.a., società di ingegneria riconducibile al Comune di Roma che svolge attività di progettazione, direzione lavori, anche attinenti alla sicurezza dei cantieri, espropriazioni, studi di fattibilità.

3. La Corte riteneva che fosse corretta l’iscrizione ad Inarcassa in quanto l’attività svolta nel periodo in questione, quale risultante dai contratti di collaborazione, era obiettivamente riconducibile alla professionalità dell’ingegnere, benchè non necessariamente riservata per legge alla professione medesima, e che la continuità risultava dalla molteplicità degli incarichi ricevuti nell’arco temporale, dall’entità del reddito percepito e dal volume d’affari.

4. Per la cassazione della sentenza G.F. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui Inarcassa ha resistito con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Come primo il motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ovvero sull’esistenza dei requisiti della continuità e dello svolgimento di attività di ingegnere per l’iscrizione d’ufficio ad Inarcassa. Lamenta che la Corte territoriale non abbia adeguatamente accertato tali circostanze e non abbia ammesso le prove testimoniali che in proposito erano state articolate, avvalendosi del contenuto dei contratti, meramente indicativo dei compiti affidati.

6. Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha operato l’accertamento fattuale che il ricorrente assume pretermesso, desumendo l’attività svolta dai contratti di collaborazione stipulati con Risorse per Roma Spa, che il G. – secondo quanto riferisce – non aveva negato di avere svolto; ha inoltre desunto la continuità dalla molteplicità degli incarichi ricevuti nell’arco temporale, dall’entità del reddito percepito e dal volume di affari.

7. Il motivo, nella parte in cui critica l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito, è inammissibile in quanto si colloca al di fuori dei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che configura un vizio specifico denunciabile per cassazione, costituito dall’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (e cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. S.0 07/04/2014, n. 8053 e 8054).

8. Nè decisive in senso contrario sarebbero state le circostanze fattuali oggetto delle prove testimoniali dedotte, la cui capitolazione è stata ritrascritta a pg. 3 del ricorso, che non attengono al contenuto delle attività effettivamente svolte dall’ing. G..

9. Sotto il profilo della denunciata violazione di legge, i cui contorni non risultano peraltro illustrati nel corpo del motivo, basta qui rilevare che la Corte territoriale si è attenuta al principio, già affermato da questa Corte e cui occorre dare continuità, secondo il quale l’imponibile contributivo in tema di previdenza di ingegneri e architetti va determinato alla stregua dell’oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività concreta, ancorchè questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando che le cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull’esercizio dell’attività. La limitazione dell’imponibile contributivo ai soli redditi da attività professionali tipiche non trova difatti fondamento nella L. n. 1395 del 1923, art. 7 nè nel R.D. n. 2537 del 1925, artt. 51,52 e 53 che riguardano soltanto la ripartizione di competenze tra ingegneri e architetti, mentre la L. n. 6 del 1981, art. 21 stabilisce unicamente che l’iscrizione alla Cassa è obbligatoria per tutti gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità (Cass. 01/08/2018, n. 20389, Cass. 08/05/2017, n. 11161, Cass. 29/08/2012, n. 14684).

10. Si è dunque chiarito che “nel concetto in questione deve ritenersi compreso, oltre all’espletamento delle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti negli appositi albi) anche l’esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia un “nesso” con l’attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell’esercizio dell’attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipo logicamente propria della sua professione”, evidenziandosi come tale interpretazione, valida per tutte le categorie professionali – e che si traduce nell’esclusione della sussistenza dell’obbligo contributivo solamente nel caso in cui non sia, in concreto, ravvisabile un intreccio tra tipo di attività e conoscenze tipiche del professionista – sia stata suggerita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 402 del 1991, resa a proposito del contributo integrativo dovuto dagli avvocati e procuratori iscritti alla Cassa di previdenza ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 11, comma 1 e nella quale si è esplicitamente affermato che il prelievo contributivo in parola è collegato all’esercizio professionale e che per tale deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per loro intrinseca connessione, ai contenuti dell’attività propria della libera professione.

11. Come secondo motivo il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla liquidazione delle spese processuali e lamenta di essere stato condannato al pagamento delle spese di lite, malgrado la controvertibilità della questione avente ad oggetto la debenza del contributo integrativo.

12. Il motivo è infondato.

In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (v. ex aliis Cass. n. 8421 del 31/03/2017).

13. Segue coerente il rigetto del ricorso.

14. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

15. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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