Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14803 del 14/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/06/2017, (ud. 29/03/2017, dep.14/06/2017),  n. 14803

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.P.P., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato Maria Teresa Palmiero,

con domicilio eletto nello studio dell’Avvocato Giuseppe Gualtieri

in Roma, via Pieve di Cadore, n. 30;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE MOSE’ s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, C.L. e V.G., rappresentati e difesi, in

forza di procura speciale a margine del controricorso, dagli

Avvocati Francesco Montesano e Fabio Alberici, con domicilio eletto

nello studio di quest’ultimo in Roma, via delle Fornaci, n. 38;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 451/13 in data

29 gennaio 2013;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 29

marzo 2017 dal Consigliere Alberto Giusti;

uditi gli Avvocati Giuseppe Gualtieri, per delega dell’Avvocato Maria

Teresa Palmiero, e Fabio Alberici;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Del Core Sergio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – C.L. e V.G. convenivano in giudizio D.P.P. dinanzi al Tribunale di Como, sezione distaccata di Erba, al fine di far accertare e dichiarare la cessazione, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto dell’art. 1101 c.c., comma 2, e art. 1015 c.c., comma 1, del diritto di usufrutto concesso alla convenuta sull’unità immobiliare sita in (OMISSIS), di cui erano nudi proprietari, a causa del deterioramento del bene derivante dall’omessa manutenzione ordinaria. In via subordinata chiedevano la rimessione nel possesso dello stesso, previa compensazione tra le somme dovute alla convenuta in relazione al diritto di usufrutto e quelle da quest’ultima dovute a titolo di risarcimento dei danni causati nel corso del godimento dell’immobile e dovuti alla mancata ordinaria manutenzione del medesimo.

La convenuta si costituiva, resistendo, e proponeva domanda riconvenzionale volta alla condanna degli attori all’esecuzione dei lavori di straordinaria manutenzione posti a carico, ex lege, dei nudi proprietari.

Nel corso del giudizio la D.P. depositava ricorso ex art. 700 c.p.c., assumendo il pericolo di crollo del tetto dell’immobile. Il ricorso veniva accolto dal giudice istruttore e confermato in sede di reclamo. Ne seguiva un ricorso per l’attuazione degli obblighi di fare.

Si costituiva in giudizio l’Immobiliare Mosè s.r.l., quale nuova nuda proprietaria dell’immobile, in forza di atto pubblico di compravendita, la quale faceva proprie tutte le domande ed eccezioni già svolte in giudizio dai propri danti causa.

2. – L’adito Tribunale di Como, sezione distaccata di Erba, con sentenza depositata in data 1 settembre 2011, dichiarava la cessazione del diritto di usufrutto costituito dagli attori in favore della convenuta con atto del 13 settembre 1996 ai rogiti del notaio F.A. per abuso dell’usufruttuaria a norma dell’art. 1015 c.c., comma 1, condannava la convenuta al risarcimento dei danni subiti dagli attori, liquidati in complessivi Euro 6.647,80, rigettava la domanda riconvenzionale e condannava la convenuta alla rifusione delle spese sostenute dagli attori.

Il Tribunale rilevava, da un lato, che la mancata periodica revisione, sistemazione e sostituzione delle tegole aveva determinato il danneggiamento della sottostante orditura del tetto, come in effetti riscontrato nel corso delle operazioni peritali, e, dall’altro, che lo scivolamento delle tegole verso la gronda aveva lasciato esposta alle intemperie parte della struttura del tetto che in breve tempo si era rovinata irreparabilmente, imponendo l’integrale rifacimento della copertura. Affermava inoltre che la convenuta non aveva fornito alcuna dimostrazione di avere curato l’attività di ordinaria manutenzione nè aveva provato che il manto di copertura, all’epoca della costituzione del diritto di usufrutto, si trovasse già nelle condizioni in cui è stato trovato al momento dei due sopralluoghi eseguiti dal consulente tecnico d’ufficio.

3. – La Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 29 gennaio 2013, ha rigettato l’appello proposto dalla D.P., ponendo a suo carico le spese del grado.

La Corte distrettuale ha affermato che risultano provati l’assoluta assenza di manutenzione e lo stato di degrado dell’immobile, mentre non è stato dimostrato uno stato di pregresso degrado dello stesso all’atto della costituzione del diritto di usufrutto.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, notificata il 5 marzo 2013, la D.P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 marzo 2013, sulla base di otto motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente prospetta violazione o falsa applicazione degli artt. 1015, 1005 e 1004 c.c.; con il secondo mezzo censura omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla necessità di opere di straordinaria manutenzione dell’immobile per cui è causa, alle risultanze delle c.t.u. e al contenuto del provvedimento ex art. 700 c.p.c. emesso dal giudice del Tribunale di Como in corso di causa su istanza della D.P.; il terzo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla prova fornita dagli appellati. Ad avviso della ricorrente, la c.t.u. svolta in sede di ricorso d’urgenza e quella esperita nella sede di merito dimostrerebbero la sussistenza di un degrado delle strutture ed in modo particolare del tetto che vanno ben oltre l’onere di ordinaria manutenzione, ed afferiscono alla mancata realizzazione di interventi di ristrutturazione e manutenzione straordinaria, che competevano ai nudi proprietari. La Corte d’appello avrebbe mancato di considerare il fatto che le medesime opere per le quali erano stati condannati i nudi proprietari ex art. 700 c.p.c., cui era stato contestato di non averle eseguite a tutela della stabilità stessa della struttura di copertura dell’immobile, non potevano poi in modo illogico, in esito ad una nuova perizia che nulla aveva apportato di dissimile rispetto all’istruttoria esperita in via d’urgenza, essere ritenute frutto di una omissione della D.P..

Con il quarto motivo la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1015, 1005 e 1004 c.c., mentre con il quinto mezzo si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla presenza nell’immobile per cui è causa di impianti non adeguati alle normative in materia di sicurezza.

1.1. – I primi cinque motivi – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono infondati.

Ai sensi dell’art. 1004 c.c. sono a carico dell’usufruttuario gli oneri relativi sia alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa, sia alle riparazioni straordinarie rese necessarie dall’inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione su di lui incombenti.

In base ai principi che disciplinano l’onere della prova, il nudo proprietario che chieda la decadenza dell’usufruttuario dal suo diritto adducendo che si sia verificata una delle ipotesi previste dall’art. 1015 c.c. (come l’abuso del diritto consistente nella mancanza di ordinarie riparazioni che lasci andare in perimento l’immobile), deve limitarsi a dimostrare la sussistenza di tali condizioni al momento della proposizione della domanda, esaurendosi con questa prova l’onere posto a suo carico. Pertanto l’usufruttuario, il quale affermi che la mancanza di manutenzione preesisteva alla costituzione del suo diritto, propone un’eccezione che, essendo diretta a paralizzare la pretesa fatta valere in giudizio, deve essere da lui provata (Cass., Sez. 2, 4 aprile 1963, n. 847; Cass., Sez. 2, 11 agosto 1998, n. 7886).

Nella specie la Corte d’appello si è uniformata a questo principio, avendo ritenuto che era integrata l’ipotesi della decadenza del diritto d’usufrutto perchè, mentre gli attori aveva provato lo stato di grave deterioramento dell’unità immobiliare al momento della proposizione della domanda, la convenuta non aveva dimostrato che tale deterioramento preesistesse alla costituzione di tale diritto.

In particolare, dalla c.t.u. la Corte d’appello ha desunto che l’immobile “non è mai stato oggetto di un minimo di intervento manutentivo, anche il più semplice ed ovvio”, individuando, anche sulla scorta della documentazione fotografica, “tutta una serie di interventi edilizi, ricadenti nell’ordinaria manutenzione, e necessari a prevenire il deterioramento dell’immobile” e dando atto “dell’assenza di regolare manutenzione del tetto e del manto di copertura”.

Su questa base, la Corte di Milano, nel confermare la sentenza del Tribunale, è giunta alla conclusione secondo cui risulta provata l’assoluta assenza di manutenzione del bene da parte dell’usufruttuaria, con conseguente grave degrado dell’immobile, a causa, in particolare, della rovina integrale del manto di copertura per la mancata revisione, sistemazione e sostituzione delle tegole.

I motivi, nel contestare che l’usufruttuaria sia venuta meno agli oneri relativi alla manutenzione ordinaria dell’immobile, finiscono con il sottoporre alla Corte, nella sostanza, profili relativi al merito della valutazione delle prove, che sono insindacabili in sede di legittimità, quando – come nel caso di specie – risulta che i giudici di merito hanno esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la loro decisione, sicchè deve escludersi tanto la “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, quanto la “motivazione apparente”, o il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, figure queste – manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo della esistenza della motivazione – che circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c. operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori – ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053).

2. – Il sesto mezzo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1002 c.c., perchè dalla mancata esecuzione dell’inventario la Corte d’appello avrebbe tratto una impropria inversione dell’onere probatorio tra le parti. Si censura che la Corte d’appello abbia ritenuto che l’usufruttuaria avrebbe dovuto condurre l’inventario al fine di dimostrare che le opere di straordinaria amministrazione fossero conseguenti ad uno stato di degrado preesistente al sorgere dell’usufrutto e comunque a lei addebitabile. La Corte di Milano non avrebbe considerato che l’immobile fu costruito nel 1973 e che venne consegnato all’usufruttuaria nel 1996.

2.1. – Il motivo è infondato, perchè correttamente la Corte d’appello ha rilevato che la dispensa dell’usufruttuario dall’inventario vale a garantirgli la possibilità di conseguire immediatamente il possesso, ma ciò non esclude che – una volta che il nudo proprietario abbia dimostrato, nel proporre la domanda di cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario, la sussistenza delle condizione di perimento dell’immobile per la mancanza di ordinarie riparazioni – incombe sull’usufruttuario convenuto la prova che il difetto di manutenzione preesisteva alla costituzione dell’usufrutto.

3. – Il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1006 c.c. Erroneamente la Corte d’appello avrebbe addebitato alla usufruttuaria la colpevole omissione di sollecito nei confronti della proprietà affinchè venissero eseguiti i lavori di restauro necessari alla conservazione dell’immobile. Ad avviso della ricorrente, l’art. 1006 c.c. non impone all’usufruttuario un simile onere, prevedendo soltanto in capo a lui la facoltà – e non l’obbligo – di eseguire le eventuali opere di straordinaria manutenzione non prontamente poste in essere dal nudo proprietario.

3.1. – Il motivo è inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi. La Corte d’appello non fonda la propria statuizione sull’art. 1006 c.c., che menziona esclusivamente là dove, a pag. 7, descrive la posizione difensiva dell’appellante. Il giudice del merito, piuttosto, ha rilevato, con congrua motivazione, che la D.P. pur sostenendo che lo stato di degrado preesisteva alla costituzione del diritto di usufrutto e dipendeva, comunque, dalla mancata realizzazione di interventi di manutenzione straordinaria – non ha fornito alcuna prova in proposito.

4. – Con l’ottavo motivo la ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alle opere di manutenzione straordinaria del tetto ed altri lavori eseguiti dalla D.P. e al disinteresse dei nudi proprietari nella manutenzione straordinaria dell’immobile, benchè informati dalla D.P. delle condizioni della casa e della necessità del loro intervento.

4.1. – La censura è inammissibile perchè si risolve, in realtà, nella non consentita richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati dalla Corte di merito.

5. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

6. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Dichiara – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2017

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