Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14802 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 27/05/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 27/05/2021), n.14802

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29264-2017 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

la DIREZIONE AFFARI LEGALI DI ROMA DI POSTE ITALIANE, presso lo

studio dall’avvocato ANTONIO SEBASTIANO CAMPISI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SERGIO GALASSI;

– ricorrente –

contro

G.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 110/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 16/06/2017 R.G.N. 736/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO.

 

Fatto

RILEVATO

che, con la sentenza n. 324/2015, resa il 30.6.2015, il Tribunale di Ancona ha revocato il decreto ingiuntivo emesso in favore di Poste Italiane S.p.A. – per la restituzione di somme corrisposte in esecuzione di una pronunzia, poi riformata dalla Corte di Appello di Ancona, con la quale era stata disposta, in favore di G.M., la conversione di un contratto di lavoro a termine in uno a tempo indeterminato, e la condanna della società datrice al pagamento della indennità omnicomprensiva di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, nella misura di otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria – per la somma di Euro 66.899,00; ed in parziale accoglimento della domanda della società, ha condannato la G. alla restituzione di Euro 45.468,36, corrispondenti alla somma netta effettivamente riscossa dalla lavoratrice;

che, con sentenza pubblicata il 16.6.2017, la Corte di Appello di Ancona, ha respinto il gravame interposto da Poste Italiane S.p.A., nei confronti della G., avverso la predetta pronunzia, riportandosi al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità e di merito nella materia;

che per la cassazione della sentenza Poste Italiane S.p.A. ha proposto ricorso articolando quattro motivi;

che G.M. è rimasta intimata;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 in correlazione alle circolari ed alle risoluzioni dell’amministrazione finanziaria”, ed in particolare, si lamenta che la Corte di merito si sia limitata a riportare, a fondamento della decisione impugnata, “un mero stralcio della sentenza n. 1464/2012 della Suprema Corte”, senza “un compiuto esame in ordine alla tassatività delle ipotesi di rimborso delle imposte non dovute ed alla legittimazione a richiederne la restituzione come interpretato dalla Corte di Cassazione che, invece, nello stabilire se il datore di lavoro nel procedere al recupero di somme indebitamente erogate ai propri dipendenti debba effettuarlo al lordo o al netto delle ritenute fiscali previdenziali ed assistenziali, ha svolto un’analisi più complessa ed articolata”; si deduce, inoltre, che la Corte di Appello avrebbe del tutto omesso di verificare, una volta accertato che il datore di lavoro Poste Italiane S.p.A. possa ripetere l’indebito, quale sia la norma che dia titolo al recupero e se la società Poste, quale sostituto di imposta, possa ricorrere alla procedura di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 per ottenere la restituzione delle ritenute a suo tempo operate, anche in considerazione del fatto che, poichè il D.P.R. n. 602, citato, art. 64, comma 1, definisce il sostituto di imposta come colui che “in forza di disposizione di legge è obbligato al pagamento d’imposte in luogo di altri…. ed anche a titolo d’acconto”, lo stesso presuppone che anche il lavoratore-sostituito debba ritenersi dall’origine, e non solo in relazione alla fase di riscossione, obbligato solidale di imposta e, quindi, anch’esso soggetto al potere di accertamento ed a tutti i conseguenti oneri: con la conseguenza che, a parere della società ricorrente, il datore di lavoro può pretendere dal lavoratore la restituzione delle somme indebitamente erogate al lordo delle ritenute di legge soltanto ove, come nel caso di specie, non abbia già effettuato la richiesta di restituzione dell’imposta non dovuta all’Amministrazione finanziaria; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. d-bis, (TUIR) “in correlazione alle circolari e risoluzioni dell’amministrazione finanziaria”, ed in particolare, si lamenta che la Corte di merito non abbia considerato il fatto che l’art. 10, comma 1, lett. d-bis D.P.R. n. 917, cit., consente al dipendente, nel periodo in cui la somma è restituita, di poter operare una corrispondente deduzione dal proprio imponibile pari all’importo lordo di ritenute corrisposto al datore di lavoro; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e si deduce che, comunque, “tale ultima norma dà la possibilità al soggetto che restituisce le somme di operare la deduzione fiscale anche negli anni futuri (quando, cioè, avrà un reddito), oppure di presentare un’istanza di rimborso in carta libera agli uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrate in un termine biennale, decorrente dalla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale sono state restituite le somme…”; 4), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., perchè “il giudice d’appello ha erroneamente interpretato la domanda d’appello come formulata da Poste Italiane diretta ad ottenere la differenza da corrispondere a Poste quale imponibile fiscale di Euro 73.093,53 come da relativi conteggi”, ed in quanto “non si comprende quale possa essere stato il difetto di gravame sul punto”;

che i primi tre motivi – da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione – non sono fondati; al riguardo, è da premettere che la Corte di merito è pervenuta alla decisione oggetto del presente giudizio conformandosi agli ormai consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità – del tutto condivisi da questo Collegio che non ravvisa ragioni per discostarsene (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 29758/2019; 23519/2019; 15755/2019; 6942/2019; 12933/2018; 12933/2018; 1464/2012) -, alla stregua dei quali, qualora le ritenute fiscali non siano state versate direttamente ai lavoratori, il datore di lavoro non può pretenderne la ripetizione da parte dei dipendenti, perchè appunto da questi non percepiti. Ed invero, il D.P.R. n. 602 del 1973, all’art. 38, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 143 del 2005, prevede che “Il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare all’Intendente di Finanza nella cui circoscrizione ha sede il concessionario presso cui è stato eseguito il versamento, istanza di rimborso entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento…. L’istanza di cui al comma 1 può essere presentata anche dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata”; e ciò, in quanto (cfr., tra le altre, Cass. nn. 9756/2019; 21699/2011) l’azione di restituzione e riduzione in pristino, proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento, si collega ad una esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza e, dunque, a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti: e, pertanto, ad un pagamento non dovuto;

che, fatte queste premesse – ed altresì ribadito che il rimborso di quanto indebitamente versato può essere richiesto all’Amministrazione finanziaria sia dal soggetto che ha effettuato il versamento (c.d. “sostituto di imposta”), sia da colui che ha percepito le somme assoggettate a ritenuta (c.d. “sostituito”), ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 (cfr., tra le molte, Cass. nn. 440/2019; 31503/2018; 239/2006) -, si osserva che, nella fattispecie, è pacifico che le ritenute fiscali non siano state versate direttamente alla G.; per la qual cosa, la società datrice, a prescindere da ogni altra considerazione, non avrebbe potuto ripeterle nei confronti della stessa, perchè, appunto, dalla stessa non percepite;

che, pertanto, Poste Italiane S.p.A. non può pretendere somme al lordo delle ritenute fiscali, poichè le stesse non sono mai entrate nella sfera patrimoniale della lavoratrice (cfr., ex multis, Cass. nn. 13530/2019; 19459/2018; 2135/2018; 1464/2012, cit.; negli stessi termini, v. pure, Cons. Stato, Sez. VI, n. 1164/2009, con riguardo al rapporto di pubblico impiego), come condivisibilmente argomentato dai giudici di seconda istanza;

che il quarto motivo non è meritevole di accoglimento; ed invero, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità la violazione dell’art. 112 codice di rito – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 – sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda o la pronunzia su una domanda non proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn. 13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008): ipotesi, queste, che non sembrano emergere dalla denunzia della parte ricorrente, che lamenta una non meglio specificata “erronea interpretazione della domanda d’appello come formulata da Poste Italiane e precisata nelle note conclusionali depositate telematicamente il 7.3.2017, diretta ad ottenere la differenza da corrispondere a Poste quale imponibile fiscale di Euro 73.093,53 come da relativi conteggi”; peraltro, al riguardo, la Corte di merito (v. pag. 4 della sentenza impugnata) ha condivisibilmente osservato che “il primo giudice, con l’ausilio del CTU, ha effettuato i calcoli tenendo conto di quanto statuito nella sentenza n. 974/2012 del giudice di appello del precedente giudizio, non impugnata e, quindi, passata in cosa giudicata. Ebbene, in detta statuizione è stabilito che gli interessi e la rivalutazione monetaria sono dovuti “dalla scadenza del termine apposto al contratto di lavoro al saldo”, per cui, stante l’irrevocabilità della stessa, il calcolo è stato correttamente effettuato nel suo rispetto”;

che, per le considerazioni innanzi svolte, i motivi non sono idonei ad incidere la sentenza oggetto del giudizio di legittimità relativamente alle censure sollevate e, pertanto, il ricorso va respinto;

che nulla va disposto in ordine alle spese del giudizio di legittimità, poichè la G. non ha svolto attività difensiva;

che, avuto riguardo, infine, alla conclusione del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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