Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14801 del 19/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 19/07/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 19/07/2016), n.14801

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11506/2015 proposto da:

COMUNE MASCALUCIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA NIZZA, 45, presso lo studio dell’avvocato

LUCIANO MARIANI, rappresentato e difeso dall’avvocato SERENA

GIUSEPPA CANTALE AEO, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.M.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

DARDANELLI 46, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO SPINELLA,

rappresentata e difesa dall’avvocato SIMONE MARCHESE, giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1593/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del

27/01/2014, depositata il 26/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

E’ stata depositata la seguente relazione ex art. 380 bis c.p.c.:

“1. In riforma della sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Lecce ha accolto la domanda di risarcimento di danni conseguenti a sinistro stradale proposta da F.M.E. nei confronti del Comune di Mascalucia, ritenendo integrata un’ipotesi di responsabilità ex art. 2051 c.c., dell’ente per la presenza di una buca stradale che aveva causato la caduta della F. dal proprio motoveicolo.

2. Il Comune ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. (primo motivo), la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (secondo) e l’omesso esame di un fatto decisivo (terzo).

Il ricorrente si duole che la Corte abbia applicato il paradigma di cui all’art. 2051 c.c., anzichè quello generale dell’art. 2043 c.c., in una situazione di “insidia visibile e agevolmente evitabile”, tanto più che la F. risiedeva proprio nella strada in cui era avvenuto il sinistro; lamenta, inoltre, che non sia stata considerata la circostanza che la strada in questione si trovava in una zona residenziale esterna al “nucleo centrale abitativo del comune” e che non sussisteva pertanto la possibilità di un controllo continuo da parte dell’ente.

3. Il ricorso va disatteso.

3.1. E’ corretta e conforme ai consolidati orientamenti di legittimità l’affermazione secondo cui l’ente proprietario della strada risponde per i danni causati dalla intrinseca pericolosità di essa ai sensi dell’art. 2051 c.c., con la sola eccezione delle ipotesi in cui una custodia non sia concretamente configurabile, laddove, per la notevole estensione del bene demaniale o per le sue modalità d’uso, non sia possibile un continuo e efficace controllo idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo o a consentirne la tempestiva rimozione (cfr., ex multis, Cass. n. 24617/2007 e Cass. n. 9546/2010).

3.2. Nello specifico, la Corte ha esaminato la situazione della strada (ricadente in zona residenziale, ancorchè non centrale) ed ha motivatamente concluso nel senso dell’esistenza della possibilità della custodia.

3.3. Essendo pacifico il nesso causale fra la presenza dell’ampia buca nel manto stradale e la caduta della F., la Corte ha poi escluso, con apprezzamento motivato (e non sindacabile in sede di legittimità) che la condotta della danneggiata avesse presentato connotati di imprudenza e disattenzione tali da integrare il caso fortuito e da elidere la responsabilità del custode.

4. Si propone pertanto il rigetto del ricorso, con condanna alle spese di lite).

A seguito della discussione del ricorso in Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 4.100,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2016

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