Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14800 del 14/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/06/2017, (ud. 16/03/2017, dep.14/06/2017),  n. 14800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni Consiglie – –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8135/2013 proposto da:

L.A., (OMISSIS), A.C. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 55, presso lo studio

dell’avvocato PAOLA PETRELLA TIRONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato CARLO TAGARIELLO;

– ricorrenti –

contro

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

SIRTORI 56, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO AMEDEO

MARINELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO ORLANDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 688/2012 della CORTE D’APPELLO DI LECCE

sezione distaccata di TARANTO, depositata il 14/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza in data 2 ottobre 2010 il Tribunale di Taranto, dichiarata cessata la materia del contendere relativamente alla pensilina sul cancello dello stabile delle parti in causa, accoglieva la domanda proposta da B.G. e condannava i convenuti A.C. e L.A. ad arretrare il terrazzino al secondo piano ed il balcone ai primo piano della loro unità immobiliare e di cui in atti, nonchè ad abbattere la pensilina architettonica di accesso alla medesima, a rimuovere un canale di scolo ed una cassetta di fornitura del gas, nonchè – infine – al pagamento della somma, equitativamente determinata, di Euro 2mila a titolo di risarcimento danni.

Avverso la suddetta decisione del Tribunale di prima istanza, di cui chiedevano la riforma, l’ A. e la L. interponevano appello resistito dal B..

L’adita Corte di Appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto, con sentenza n. 688/2012, rigettava il gravame, confermava l’impugnata decisione e condannava alla refusione delle spese del giudizio gli appellanti.

Quest’ultimi ricorrono oggi avverso la sentenza della Corte territoriale con atto affidato a tre ordini di motivi e resistito dalla parte intimata con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso si censurano, testualmente e quanto “alla maggiore estensione di mq. 2,25 del balcone del primo piano e del terrazzo del secondo….ed in particolare alla natura condominiale della rampa su cui si sono verificati tali sporti”, i vizi di carenza motivazionale ex art. 360 c.p.c., n. 5, la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 e la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117-1102 e 840 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo consta di una mescolanza e sovrapposizione di censure (promiscuamente n.ri 5, 4 e 3 dell’art. 360 c.p.c.) assolutamente eterogenee e non facilmente intellegibili.

In ogni caso le censure mosse appaiono basate su questioni risultanti nuove (poichè l’impugnata sentenza esamina solo la censura inerente la corretta applicazione dell’art. 840 c.c., fatta dal Giudice di prime cure) o che comunque come tali devono valutarsi non avendo le odierne parti ricorrenti, in violazione degli oneri loro imposti di autosufficienza del ricorso, nulla dedotto e riportato sulla eventuale pregressa proposizione delle medesime questioni. Peraltro la sentenza di secondo grado ha fatto corretta applicazione del dettato normativo ex art. 840 c.c. e del principio ermeneutico enunciato da questa Corte con la sentenza n. 12258/2002 (nè in ricorso vengono addotti validi motivi per mutare l’orientamento di cui alla citata decisione).

Alla stregua di tale principio, qui ribadito, l’immissione di sporti nello spazio aereo sovrastante il fondo del vicino è consentito solo in ipotesi (differenti da quella in esame) nelle quali quest’ultimo non abbia interesse ad escluderla.

Il motivo va, dunque, nel suo complesso rigettato

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione, in particolare, dell’art. 1226 c.c., nonchè di altre norme.

Il motivo riprende, quanto alla sola invocata norma dell’art. 1226 c.c. – il risultante secondo motivo di appello esaminato (e rigettato) dalla Corte distrettuale.

Nella sostanza la questione risollevata con l’odierna censura attiene al profilo della valutazione del danno compiuta dal C.T.U..

L’aspetto dei costi valutati dall’ausiliario del Giudice (e riguardanti canna fumaria, muro di divisione ed altro) costituisce profilo eminentemente di merito e, per giunta, la decisione gravata risulta aver dato conto, in proposito, della valutazione con congrua argomentazione immune da vizi logici denunciabili.

Appare, quindi di tutta evidenza che la doglianza qui in esame si risolve, quindi, nella censura degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte di merito nella ricostruzione degli elementi che caratterizzano la fattispecie e che sono stati correttamente considerati in quella sede.

Deve, al riguardo, ribadirsi il consolidato e condiviso principio che questa Corte ha già avuto modo di affermare che “il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal Giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte” (Cass. n. 9233/2006) e, quindi, in definitiva, ad “un’ inammissibile revisione del ragionamento decisorio”.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

3.- Con il terzo motivo del ricorso si prospetta il vizio di nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

La censura appare riguardare la questione del ripristino di una preesistente tubazione.

Così come posta la medesima questione risulta costituire questione nuova e, in dispregio dei noti oneri incombenti in virtù del principio di autosufficienza alla parte ricorrente manca del tutto in ricorso la pur dovuta indicazione di dove e quando sia stata svolta apposita domanda e non solo esposta tale questione della tubazione.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

4.- Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.

5.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento in favore delle parti controricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2017

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