Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14799 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. II, 27/05/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 27/05/2021), n.14799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21688-2019 proposto da:

O.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TRIONFALE,

5637, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE FERABECOLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), COMM TERR RIC PROT INT MILANO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 14/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Milano, con decreto pubblicato il 14 giugno 2019, respingeva il ricorso proposto da O.A., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente aveva riferito di essere scappato dalla (OMISSIS) perchè un gruppo di persone facente parte di un cult denominato (OMISSIS) voleva costringerlo ad affiliarsi con minaccia di ucciderlo in caso di rifiuto. Egli aveva denunciato l’accaduto alla polizia che non si era attivata, chiedendogli dei soldi per ricevere la denuncia. In seguito, il richiedente era stato aggredito e percosso e, due mesi dopo tale aggressione, aveva lasciato la (OMISSIS). Anche i suoi familiari si stavano nascondendo dalla confraternita pur rimanendo nel villaggio di origine. In sede di udienza il ricorrente aveva confermato quanto detto in commissione e aveva dichiarato di seguire dei corsi per imparare l’italiano e di svolgere lavori di volontariato.

3. Il Tribunale reputava generica e intessuta di incoerenze e contraddizioni la narrazione effettuata dal richiedente e, dunque, non credibile. In particolare, egli non aveva dimostrato di aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda vista la genericità e vaghezza delle sue dichiarazioni soprattutto in ordine a coloro che volevano perseguitarlo. Di conseguenza il collegio giudicante rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso peraltro che dal racconto sulle circostanze che avevano indotto il ricorrente a lasciaire il paese, a prescindere dalla sua credibilità, non emergevano elementi tali da determinare uno stato di persecuzione idoneo al riconoscimento dello status di rifugiato.

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), c). Il richiedente non aveva allegato che in caso di rimpatrio poteva rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato e, sulla base delle fonti internazionali la (OMISSIS) non poteva ritenersi un paese soggetto ad una violenza generalizzata.

Infine, quanto alla richiesta di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, il Tribunale evidenziava che il ricorrente non aveva documentato alcun elemento relativo alla sua integrazione. Egli viveva nel centro di accoglienza di Milano e seguiva dei corsi per imparare l’italiano e per la formazione professionale. La mancanza di uno stabile inserimento nella realtà socio-lavorativa ed un’autonoma sistemazione alloggiativa, oltre al mancato apprendimento della nostra lingua, impedivano di ritenere sussistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non potendosi presumere il pericolo di compromissione dei diritti fondamentali in caso di rientro in (OMISSIS).

4. O.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

5. Il Ministero dell’interno non si è costituito.

6. In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato memoria illustrativa con la quale ha insistito nelle proprie richieste.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 14 e 35 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente lamenta che nonostante la mancanza in atti della videoregistrazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 non è stato sentito in sede di udienza di comparizione. A parere del ricorrente la rinnovazione del colloquio personale in mancanza della videoregistrazione, in ragione della peculiarità della materia, è l’unica interpretazione possibile del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11.

1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Nel provvedimento impugnato a pag. 3 si legge che il giudice designato non ha ritenuto di procedere ad una nuova audizione e a pag. 4 che in sede di udienza il ricorrente ha confermato quanto detto in commissione e ha dichiarato di vivere in accoglienza a Milano, di seguire dei corsi per imparare l’italiano, corsi di formazione professionale e di svolgere lavori di volontariato, di avere notizie della sua famiglia, ancor oggi minacciata in particolare del padre malato e ricoverato in ospedale. Il ricorrente non chiarisce a quali dichiarazioni il decreto impugnato si riferisce, e dunque, non si confronta con il provvedimento impugnato.

In ogni caso va osservato che questa Corte ha già statuito che nel giudizio d’impugnazione della decisione della Commissione territoriale, anche ove manchi la videoregistrazione del colloquio, vi sia solo l’obbligo del giudice di fissare l’udienza e non quello di procedere in ogni caso all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia sempre necessario rinnovare l’audizione dello straniero ogni qualvolta manchi la videoregistrazione (Cass. n. 5973/2019). Tale interpretazione è conforme agli artt. 12, 14, 31 e 46 della direttiva 2013/32/UE, secondo l’interpretazione che ne ha dato la Corte di Giustizia UE.

E’ stato di recente ulteriormente chiarito che – anche alla luce di autorevoli decisioni comunitarie e alla necessità di leggere il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis in conformità al disposto dell’art. 46, par. 3, della direttiva 2013/32/UE, nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia UE – ove il ricorso contro il provvedimento di diniego di protezione contenga motivi o elementi di fatto nuovi (sempre che risultino sufficientemente circostanziati e rilevanti), il giudice, se richiesto, non può sottrarsi all’audizione del richiedente, trattandosi di strumento essenziale per verificare, anche in relazione a tali nuove allegazioni, la coerenza e la plausibilità del racconto, quali presupposti per attivare il dovere di cooperazione istruttoria (Cass. n. 27073 del 2019). Da ultimo questa Corte ha nuovamente esaminato la questione della necessità dell’audizione in caso di mancanza di videoregistrazione del colloquio innanzi alla Commissione Territoriale. Si è ritenuto che sia doverosa una nuova audizione del richiedente in sede giurisdizionale non solo quando il giudice ritenga indispensabile richiedere chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente (verosimilmente evidenziate nel decreto di rigetto della Commissione Territoriale e poste a fondamento del giudizio di inattendibilità del racconto), ma anche quando quest’ultimo ne faccia apposita istanza nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti (Cass. n. 21584 del 2020). In tale occasione si è precisato che è, in ogni caso, escluso che il giudice debba disporre una nuova audizione del richiedente (salvo che lo stesso giudice non lo ritenga necessario) in difetto di un’istanza di quest’ultimo contenuta nel ricorso, o comunque allorquando tale eventuale richiesta sia stata formulata in termini generici. La valutazione in ordine alla natura circostanziata o solo generica dell’istanza di audizione del richiedente, eventualmente contenuta nel ricorso, è demandata in via esclusiva al giudice di merito, la cui motivazione deve essere strettamente correlata alla specificità dell’istanza ed è sindacabile in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato alla luce dei parametri della sentenza delle SS.UU n. 8053/2014. Peraltro, ove il giudice di merito ometta di pronunciarsi sull’istanza di audizione formulata dal richiedente, tale omissione è parimenti censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 13716 del 05/07/2016; conf. Cass. 24830/2017; Cass. 6715/2013)”. Infine, il giudice non deve provvedere all’audizione del richiedente nei casi in cui la domanda venga ritenuta dallo stesso manifestamente infondata o inammissibile per ragioni diverse dal giudizio formulato sulla base di incongruenze che, alla luce di quanto sopra evidenziato, possano o debbano essere chiarite attraverso l’audizione del richiedente.

Richiamati i principi in materia e venendo al caso di specie, deve evidenziarsi che il Tribunale ha ritenuto che la difesa del ricorrente non avesse introdotto temi di indagini ulteriori, nè allegato fatti nuovi. Le circostanze indicate in ricorso confermano il giudizio di genericità e ripetitività formulato dal Tribunale. Peraltro, il racconto, oltre a essere stato ritenuto inattendibile è stato giudicato anche inidoneo a rappresentare una condizione di persecuzione.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La censura attiene alla omessa valutazione del fatto che la polizia (OMISSIS) non avesse fatto nulla per ricercare e punire i responsabili della persecuzione del richiedente. Su tale aspetto il decreto impugnato non conterrebbe alcuna motivazione anche tenuto conto del dilagare del fenomeno della corruzione in (OMISSIS) come risulta dalle fonti internazionali.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il Tribunale di Milano non avrebbe assolto l’onere di cooperazione istruttoria nell’accertamento dei fatti rilevanti al fine del riconoscimento della protezione internazionale. A parere del ricorrente sarebbe incontestabile la situazione di violenza indiscriminata esistente in (OMISSIS) e l’impotenza delle autorità statuale a fronte di detta situazione. In proposito il ricorrente cita un articolo on-line dal titolo migrazione geopolitica nel caos (OMISSIS) il più pericoloso dei paesi africani, e un altro articolo dal titolo (OMISSIS) tra conflitti e povertà in alto numero di emigranti. Infine, il ricorrente evidenzia che sul sito del ministero degli esteri (OMISSIS) si evidenzia l’attuale situazione di precarietà e di insicurezza del paese con rischi di episodi di violenza o di rapimento con finalità terroristica.

4. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono inammissibili.

Quanto all’omesso esame del rifiuto della polizia a ricevere la denuncia, la censura non si confronta con la sentenza impugnata che ha ritenuto non credibile il racconto sotto ogni aspetto, compreso quello del comportamento della polizia. Il motivo, pertanto, è del tutto generico e non offre alcun elemento per rivalutare la credibilità del racconto del richiedente o la valutazione circa la situazione del paese di origine. Deve dunque ribadirsi che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c),. Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549). Come si è detto il Tribunale ha tenuto conto dell’asserito rifiuto da parte della polizia di ricevere la denuncia e, dunque, nessun omesso fatto decisivo si è verificato.

Il Tribunale, inoltre, ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate (EASO del 26 novembre 2018 e altre) dalle quali ha tratto la convinzione che il paese di origine del ricorrente non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c. Il ricorrente contrappone alle fonti citate dal Tribunale altre non privilegiate quali articoli di stampa e il sito (OMISSIS) del Ministero.

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019).

5. In conclusione il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese non avendo svolto attività difensiva il Ministero intimato.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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