Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14790 del 19/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 19/07/2016, (ud. 21/06/2016, dep. 19/07/2016), n.14790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24247/2009 proposto da:

P.P., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ALESSANDRO TORLONIA 4B, presso lo STUDIO GARAU GIANLUCA E

ALLEGRO SABRINA, rappresentato e difeso da se medesimo unitamente

all’avvocato STEFANO DI FOGGIA, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 3308/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato PIANESE FRANCESCO PAOLO, con

delega avv. PIANESE P., che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in data 11 maggio 1998, l’avv. P.P. ha chiesto al Pretore del lavoro di Napoli e ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti del Ministero della giustizia per il pagamento dell’indennità giudiziaria di cui della L. n. 27 del 1981, art. 3, pari a Lire 26.400.000, alla quale assumeva di avere diritto, avendo svolto le funzioni di vice-procuratore onorario presso la Procura circondariale di Napoli. Il Ministero ha proposto opposizione, sostenendo che l’indennità spettava soltanto ai magistrati ordinari.

All’udienza del 12 luglio 1999, il giudice monocratico del Tribunale di Napoli, ritenendo che la causa dovesse essere trattata con il rito ordinario, ha assegnato termine di trenta giorni per la riassunzione dinanzi al Tribunale.

Con provvedimento del 29 novembre 1999, il giudice che aveva emesso il decreto ingiuntivo ha dichiarato, su eccezione del P., l’estinzione del giudizio e l’esecutività del decreto ingiuntivo ex art. 647 c.p.c., poichè il giudizio di opposizione non era stato riassunto nei termini.

Con successiva istanza in data l marzo 2000, il Ministero ha contestato la decisione che aveva disposto la riassunzione, osservando che il giudice unico si sarebbe dovuto limitare a rimettere gli atti al Presidente del Tribunale, a norma dell’art. 427 c.p.c., per l’assegnazione della causa a una sezione ordinaria, senza assegnare un termine per la riassunzione della causa, e ha chiesto l’accoglimento dell’opposizione, previa fissazione dell’udienza di trattazione.

Il Tribunale, con sentenza del 15 marzo 2001, ha ritenuto che il decreto ingiuntivo fosse divenuto definitivo e che il ricorso in riassunzione fosse quindi inammissibile, essendo il giudizio stato dichiarato estinto con provvedimento non impugnato.

Il gravame del Ministero è stato accolto dalla Corte d’appello di Napoli, con sentenza 16 settembre 2008.

La Corte ha ritenuto che il giudice del lavoro non avrebbe dovuto assegnare termine per la riassunzione della causa dinanzi al Tribunale, poichè, alla data del 12 luglio 1999, l’ufficio di Pretura già era stato soppresso ed era in funzione il Tribunale quale giudice unico in primo grado, ma avrebbe dovuto rimettere gli atti al Presidente del Tribunale per l’assegnazione della causa ad altra sezione dello stesso ufficio previa regolarizzazione fiscale degli atti, poichè tra giudice ordinario e del lavoro nello stesso ufficio giudiziario non prospettabile una questione di competenza; pertanto, il provvedimento che aveva ordinato la riassunzione della causa dinanzi ad altro giudice dello stesso ufficio era abnorme, il provvedimento di estinzione era illegittimo e, di conseguenza, si era determinata una situazione di quiescenza del processo, rispetto alla quale la prosecuzione operata dal Ministero era tempestiva e rituale, benchè effettuata con ricorso anzichè con comparsa ex art. 125 disp. att. c.p.c..

Nel merito, la Corte ha ritenuto infondata la domanda del P., richiamando l’indirizzo della giurisprudenza ordinaria e costituzionale secondo la quale la posizione dei magistrati che svolgono professionalmente e in via esclusiva le funzioni giurisdizionali non è equiparabile a quella dei magistrati onorari per i quali è previsto un compenso per un’attività svolta, di regola, in aggiunta ad altre attività e, pertanto, non deve essere riconosciuto il medesimo trattamento economico, senza che ciò comporti alcuna violazione del principio di uguaglianza.

Avverso questa sentenza il P. ricorre per cassazione sulla base di sei motivi. Il Ministero della giustizia non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 307, 308 e 178 c.p.c., per avere la sentenza impugnata omesso di considerare che il provvedimento di estinzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo (a causa della mancata riassunzione dinanzi al Tribunale) era divenuto intangibile perchè non impugnato con il reclamo, sicchè erroneamente era stato, di fatto, disapplicato ed il giudizio di opposizione non poteva essere riassunto o proseguito.

Vi è connesso il terzo motivo, il quale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 347, 653, 654 e 655 c.p.c., per avere revocato il decreto ingiuntivo benchè questo fosse divenuto definitivo e irrevocabile (essendo suscettibile solo di revocazione o opposizione di terzo), a seguito del decreto di esecutività emesso dal giudice dell’opposizione per la mancata riassunzione.

Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

Si deve premettere che il giudice del lavoro del Tribunale di Napoli, ritenendo che la causa fosse da trattare con rito ordinario, ha disposto la riassunzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo dinanzi al giudice monocratico dello stesso Tribunale e, in mancanza di tempestiva riassunzione, ha dichiarato estinto il giudizio ed esecutivo il decreto opposto. Successivamente, il medesimo giudice – sul presupposto che il giudizio di opposizione si fosse definitivamente estinto e che il decreto ingiuntivo avesse acquistato l’autorità del giudicato – ha dichiarato inammissibile il ricorso del Ministero che chiedeva di definire il giudizio di opposizione con pronuncia nel merito di rigetto della domanda del P..

Il gravame del Ministero è stato correttamente accolto dalla sentenza qui impugnata per le ragioni di rito di seguito precisate.

Il provvedimento che disponeva la riassunzione era illegittimo, essendo incontestabile che la ripartizione delle funzioni tra giudice del lavoro e altro magistrato del medesimo ufficio giudiziario non pone un problema di competenza in senso proprio, attenendo alla ripartizione degli affari all’interno del medesimo ufficio e, quindi, a una questione di rito, risolvibile a norma degli artt. 426 e 427 c.p.c. (v., tra le tante, Cass. n. 8905/2015, 24139/2014, 20494/2009, 4508/1999). E per effetto di quel provvedimento, nonostante si fosse definitivamente spogliato di ogni potere decisorio (trasmettendolo, seppure erroneamente, ad altro giudice), il medesimo giudice ha pronunciato l’estinzione del giudizio di opposizione e l’esecutorietà del decreto ingiuntivo con un provvedimento (del 29 novembre 1999) radicalmente nullo e in tal senso abnorme. Infatti, quando, a seguito di pronuncia dichiarativa dell’incompetenza del giudice adito, sia stata posta in essere un’attività processuale anche solo astrattamente riconducibile al modello della riassunzione (qual era, nel caso in esame, il ricorso del Ministero in data 1 marzo 2000), spetta al giudice ad quem stabilire se essa sia tempestiva e, in generale, se risponda ai requisiti di forma e contenuto necessari perchè si verifichi l’effetto della continuazione del processo e sia evitata l’estinzione (v. Cass. n. 11498/2010, 1968/1997). Nella fattispecie, spettava al giudice monocratico del Tribunale, adito dal Ministero con successivo ricorso, ai fini della decisione della causa nel merito, valutare la validità ed efficacia dell’atto di riassunzione, tenendo conto dell’illegittimità del provvedimento del 12 luglio 1999 che ne costituiva il fondamento. Pertanto, con la sentenza del 15 marzo 2001, il Tribunale ha errato laddove ha ritenuto di essere sfornito del potere di decidere sulla causa, sul presupposto che il giudizio si fosse estinto per effetto di un precedente provvedimento che era, tuttavia, nullo e improduttivo di qualsiasi effetto. Di conseguenza, correttamente la Corte d’appello ha ritenuto valida la successiva attività processuale compiuta dal Ministero, che aveva chiesto di decidere la causa nel merito, non rilevando che il provvedimento del 29 novembre 1999 di estinzione e concessione dell’esecutorietà non fosse stato impugnato, a norma dell’art. 308 c.p.c., trattandosi di un atto abnorme e, quindi, inefficace. Infondata è l’obiezione secondo cui il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo è suscettibile solo di revocazione (art. 656 c.p.c.) anche nel caso di estinzione del procedimento di opposizione, atteso che, nel caso in esame, non v’è stato alcun provvedimento efficace di estinzione o riconoscibile come tale.

Il secondo e il quarto motivo sono inammissibili, in quanto privi di momenti di sintesi adeguati ai vizi motivazionali denunciati, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.

Il quinto motivo è inammissibile, perchè non corredato nè da un quesito di diritto della denunciata violazione di legge nè da un momento di sintesi del denunciato vizio motivazionale.

Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3, in relazione della L. 6 febbraio 1984, n. 425, art. 1, per avere ritenuto infondata nel merito la pretesa di pagamento azionata in giudizio.

Il motivo è inammissibile, essendo il quesito di diritto formulato in modo del tutto astratto e quindi inadeguato, risolvendosi in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, senza indicare l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito (v., tra le tante, Cass. n. 21672/2013). Inoltre, il motivo è sfornito di una adeguata sintesi del vizio motivazionale denunciato.

In conclusione, il ricorso è rigettato. Non si deve provvedere sulle spese, non avendo il Ministero svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2016

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