Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14790 del 14/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 14/06/2017, (ud. 22/02/2017, dep.14/06/2017),  n. 14790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10632/2012 proposto da:

L.G.G. (OMISSIS), L.G.C. (OMISSIS),

L.G.M. (OMISSIS), L.G.A. (OMISSIS), G.C.

(OMISSIS), LA.GA.GI. (OMISSIS), L.G.S. (OMISSIS),

L.G.V. (OMISSIS), LA.GA.AN. (OMISSIS),

L.G.M.A. (OMISSIS), quali eredi di L.G.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA NUMITORE 15, presso lo studio dell’avvocato

NICOLA WALTER DI PERNA, che li rappresenta e difende e

successivamente rappresentati e difesi dall’avv. CARDILLI Raffaele;

– ricorrenti –

contro

M.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.

CASELLA 43, presso lo studio dell’avvocato GHERARDO UGOLINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LEONARDO W. IANNELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 261/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 08/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/02/2017 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

per difetto di autosufficienza.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione del 29/7/2003 L.G.M. conveniva in giudizio M.R. e ne chiedeva la condanna a eliminare o chiudere una finestra, costituente veduta o luce che si apriva sul muro contiguo al terrazzo di proprietà di esso attore in quanto realizzata in violazione delle distanze legali; allegava documentazione fotografica.

Era espletata CTU.

Precisando le conclusioni il convenuto chiedeva il rigetto della domanda in quanto infondata in fatto e in diritto.

Con sentenza del 9/2/2006 il Tribunale di Foggia ordinava l’eliminazione dell’illegittima apertura.

M.R.proponeva appello; L.G. ne chiedeva il rigetto.

Il processo, interrotto per la morte dell’appellante L.G., era riassunto dai suoi eredi.

La Corte di Appello di Bari con sentenza depositata in data 8 Marzo 2012, riformando la sentenza del Tribunale rigettava la domanda degli eredi L.G. (nominativamente indicati nell’intestazione e nel dispositivo della sentenza).

La Corte di appello rilevava che nel giudizio di primo grado L.G. non aveva chiesto l’ammissione del documento (il titolo di proprietà) e che in nessun momento del giudizio di primo grado L.G. aveva chiesto l’ammissione del documento.

La Corte di Appello rilevava che la difesa della stessa parte appellata aveva affermato che il documento era stato inserito dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni e cioè al momento di depositare nuovamente il proprio fascicolo.

La Corte di Appello, dopo questa precisazione rilevava che un documento non può essere prodotto in ogni tempo e senza un provvedimento giudiziale di ammissione e aggiungeva di avere verificato il fascicolo di parte appellata e di avere constatato che il documento era assente nel fascicolo degli eredi L.G. e non era indicato nell’indice dei documenti redatto dal difensore, che pure recava due timbri di cancelleria: l’uno del 7/10/2009 e l’altro del 10/11/2011.

Gli appellati eredi L.G., già parti nel processo di appello, hanno proposto ricorso affidato a due motivi.

Lo M. ha resistito con controricorso e ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la falsa ed erronea applicazione e l’omessa percezione dei documenti versati in atti, nonchè la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere, la Corte di Appello, affermato che nel fascicolo di parte appellata non vi erano documenti decisivi ai fini della controversia invece presenti; nell’esposizione del motivo deducono, poi, la nullità della sentenza sotto il profilo della motivazione perchè il Giudice di appello ha omesso, a loro dire, di tenere conto del documento che certificava la proprietà del L.G., prodotto in primo grado e contenuto nel fascicolo di parte attrice e che il convenuto ben avrebbe potuto contestare il deposito dell’atto di proprietà, rilevandolo nelle memorie di replica.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l’insufficiente e contraddittoria motivazione sostenendo che la decisione della Corte di appello è viziata (a loro dire) da un duplice errore di fatto: il primo consistente nell’avere dichiarato l’inesistenza di un documento che essendo stato prodotto era esistente nel giudizio; il secondo nell’omesso esame di quel documento dal quale emergeva con assoluta chiarezza ed evidenza la piena legittimazione attiva dell’appellato.

3. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto con entrambi il ricorrenti si dolgono della mancata considerazione del titolo di proprietà da parte del Giudice di appello, assumendo che il documento era invece esistente e non era contestato; con il primo motivo è altresì censurata anche l’affermazione della Corte di merito secondo la quale il documento non può essere prodotto in ogni tempo senza contraddittorio e senza un provvedimento di ammissione; con il secondo motivo i ricorrenti aggiungono che il mancato rinvenimento del documento comporta per il giudice l’obbligo di dispone la ricerca ed eventualmente l’attività ricostruttiva del suo contenuto.

4. I motivi sono inammissibili laddove i ricorrenti non deducono un errore della Corte di Appello in ordine alla valutazione del materiale probatorio (rilevabile come vizio di motivazione o come violazione dell’art. 115 c.p.c., laddove si censuri che il Giudice non ha tenuto conto di una prova legale), ma un errore di percezione o una materiale svista (come chiaramente espresso nel secondo motivo), il che comporta che il mezzo impugnatorio è la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte che qui si condivide, la parte ha l’onere di impugnare la sentenza con la revocazione ordinaria, e non col ricorso per cassazione, ove l’errore dipenda da una falsa percezione della realtà ovvero da una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo, che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (cfr. Cass. 14/11/2016 n. 23173 Ord.; Cass. 28/9/2016 n. 19174).

L’affermazione contenuta nella sentenza circa l’inesistenza nei fascicoli processuali (d’ufficio o di parte) di un documento che, invece, risulti esservi incontestabilmente inserito, non si concreta in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 4 e non di ricorso per Cassazione (Cass. 15/5/2007 n. 11196).

Il motivo è altresì privo di autosufficienza in quanto i ricorrenti non hanno prodotto con il ricorso, nè trascritto in ricorso, l’atto dal quale dovrebbe risultare il titolo di proprietà così precludendo a questa Corte la valutazione dell’atto, semplicemente menzionato.

I ricorrenti censurano inoltre la motivazione della Corte di appello, secondo la quale un documento non può essere prodotto in ogni tempo senza contraddittorio e senza un provvedimento di ammissione.

A tale riguardo va osservato che si tratta di una motivazione aggiuntiva non rilevante alla luce della motivazione con la quale la Corte di appello ha rilevato:

– che dalla verifica del fascicolo di parte appellata “emerge ictu oculi che l’allegazione non fu mai effettuata, neppure nella maniera irrituale rivendicata nella comparsa di costituzione”;

– che l’atto, materialmente assente nel fascicolo degli eredi L.G., non è neppure indicato nell’indice dei documenti redatto dal difensore, che pure reca due timbri di cancelleria l’uno del 7/10/2009 e l’altro del 10/11/2011.

Per completezza di motivazione va comunque osservato che la predetta censura è infondata in quanto ai sensi dell’art. 87 disp. att. c.p.c., al fine di realizzare la tutela del contraddittorio, i documenti prodotti dopo la costituzione in giudizio vanno depositati in cancelleria con la comunicazione del loro elenco alle altre parti oppure, se esibiti in udienza, devono essere elencati nel relativo verbale, sottoscritto dal cancelliere. Tuttavia la finalità si deve ritenere conseguita e l’eventuale irritualità della produzione risulta sanata quando il giudice di primo grado abbia tenuto conto dei documenti irritualmente prodotti, fondando su di essi la decisione e la parte che lamenta l’irritualità della produzione abbia censurato la decisione, dimostrando – così – di avere avuto conoscenza dei documenti (Cass. 20/1/2004 n. 771), ma nella fattispecie, la Corte di appello ha rilevato (pag. 2 della sentenza) che il Giudice del primo grado ha solo presunto la proprietà per il fatto che L.G. domiciliava nell’immobile oggetto della domanda, così ritenendo che il documento non fosse a disposizione neppure del Giudice del primo grado e controparte non ha contestato l’irritualità di tale ipotetica produzione, ma ha contestato appunto la mancanza del titolo di proprietà.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano inoltre il vizio della motivazione della sentenza di appello osservando che dalla motivazione della Corte di appello non è dato comprendere perchè non ha disposto la ricerca del documento o la sua ricostruzione. Tale ulteriore censura non attinge la ratio decidendi secondo la quale l’atto era materialmente assente nel fascicolo degli eredi L.G.; questi ultimi, semmai, avrebbero avuto l’onere di richiederne la ricerca o la ricostruzione (cfr. Cass. 15/5/2007 n. 11196).

5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato; le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare a M.R. le spese di questo giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 per compensi oltre 15% per spese generali, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2017

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