Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14786 del 19/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 19/07/2016, (ud. 14/06/2016, dep. 19/07/2016), n.14786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

FONDO NAZIONALE di GARANZIA, in persona del presidente, come da

poteri conferitigli dal comitato di gestione, rappresentato e difeso

dall’avv. Valerio Pescatore, elettivamente domiciliato presso lo

studio di questi in Roma, via L. Spallanzani n. 22, come da procura

a margine dell’atto;

– ricorrente –

contro

P.E., rappresentata e difesa dall’avv. Roberto Bottacchiari,

elettivamente domiciliata presso lo studio di questi in Roma, via

Oslavia n. 28, come da procura a margine dell’atto

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 86/2012 della Corte d’appello di

Roma, depositata il 10.1.2012, nel giudizio iscritto al n. 8112/2005

R.G., Rep. 170/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 14 giugno 2016 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro;

uditi per il ricorrente l’avv. V. Pescatore e per il resistente

l’avv. R. Bottacchiari;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

secondo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri.

Fatto

IL PROCESSO

Il Fondo nazionale di garanzia FONDO, istituito ai sensi del D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, art. 62, comma 1, impugna la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 86/2012, Rep. 170/12 che ebbe a respingere il suo appello interposto avverso la sentenza Trib. Roma n. 12989/2005 e così ribadendo – con un esplicito richiamo per relationem ad altra sentenza emessa su caso analogo dalla medesima corte, n. 3794/07 – che la misura dell’indennizzo prevista dal D.M. 30 settembre 1991, art. 5, comma 3, in favore dei clienti per i crediti vantati verso gli intermediari finanziari e in conseguenza della dichiarazione di fallimento o, se soggetti a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento, dell’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza ovvero della omologazione del concordato preventivo, doveva essere intesa quale pari al 25% dell’intero credito ammesso allo stato passivo.

Anche secondo la corte d’appello, doveva dunque ritenersi che per l’indennizzo spettante ai citati creditori-clienti il limite normativo predetto non trovava ostacolo quantitativo nelle eventuali ripartizioni di cui i medesimi soggetti avessero per ipotesi fruito, trattandosi di circostanze non incidenti sulla nozione di credito complessivo ammesso, cui aveva riguardo anche la circolare 19.7.1994, n. 1, punto 7, sulle modalità d’intervento del Fondo. Nè, aggiunge la sentenza, poteva ascriversi alcuna portata vincolante (e abdicativa del diritto) alle quietanze nel frattempo emesse dal creditore, in relazione alle comunicazioni del Fondo con cui questo aveva esplicitato i criteri di calcolo dell’indennizzo, contemplante in deduzione l’importo dei riparti.

Infine, la corte, pur aderendo alla tesi (fatta propria dal citato precedente) per cui la data di decorrenza della domanda era coincidente con il dies a quo per il computo degli interessi legali sul credito azionato ed altresì data di messa in mora del Fondo stesso, qualificava la questione siccome nuova e quindi la respingeva. Seguiva altresì la condanna alle spese a carico del Fondo soccombente.

Il ricorso è affidato a quattro motivi, cui resiste P.E. con controricorso. Il Fondo ha depositato memoria.

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 156 c.p.c., comma 2, art. 161 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., oltre che art. 111 Cost., comma 2, nonchè vizio di motivazione, avendo omesso la corte d’appello di dare conto, nell’impiego della tecnica di motivazione per relationem, delle ragioni della conferma della pronuncia richiamata e delle censure specificamente formulate dalla parte avverso la sentenza del tribunale, così da riferire effettivamente la nuova decisione alla specifica controversia attribuita al giudice, tanto più che appare essere stato omesso altro precedente difforme da quello utilizzato in rinvio.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione della L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 15, D.M. Tesoro 30 settembre 1991, art. 5, art. 12 preleggi, L. Fall., art. 52, avendo la sentenza impugnata assicurato un pagamento dell’indennizzo erroneamente computato sulla sua misura massima e senza considerami in diminuzione le quote di riparto effettivamente fruite nella procedura concorsuale dal creditore-cliente.

Con il torzo motivo, si deduce il vizio di motivazione sulla portata assicurata alle quietanze, con contestuali dichiarazioni di surroga, per come rese dalla creditrice, essendone stata trascurata la valenza liberatoria per il Fondo pagante.

Con il quarto motivo viene dedotta la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, della L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 15, D.M. Tesoro 30 settembre 1991, art. 5, comma 2, D.M. Tesoro 18 giusto 1998, art. 4, artt. 1219 e 1282 c.c., avendo omesso la sentenza di dare conto che la questione della decorrenza degli interessi, a far data dalla domanda al Fondo, era già stata posta in primo grado e pertanto non era affatto nuova.

1. Il primo motivo è per un profilo infondato e per altro inammissibile, essendosi – quanto alla prima censura – la scelta della motivazione per relationem, per come attuata e per quanto pedissequa trascrizione di altro precedente del medesimo Ufficio, strutturata con esplicito richiamo d’identità sia all’altezza della fattispecie sia con riguardo ai motivi d’appello: il testo così permette di dare evidenza sufficiente al passaggio logico-argomentativo, volto ad economia processuale e ad assicurare la ragionevole durata del processo, per cui il precedente richiamato avrebbe dovuto esaurire il dato storico dell’orientamento, già maturato presso lo stesso giudicante di secondo grado e persuasivo ai fini della rinnovata trattazione della questione così riproposta. Nè la sbrigatività del riferimento alla sentenza n. 3794/2007fa invero intendere che in tanto la corte d’appello romana abbia esercitato siffatto potere di rinvio per relationem in quanto quel precedente costituisse non il mero punto di riferimento scelto tra le pronunce da condividere e ribadire per i principi di diritto affermati, bensì l’indirizzo consolidato della stessa sua giurisprudenza, ivi evidenziata solo quale esempio idoneo ad attagliarsi al nuovo caso: per un verso, invero, la selezione e della sentenza e dei suoi argomenti giuridici è risultata funzionale alla descrittività della motivazione e, per altro verso, non può dirsi sussistente una relazione biunivoca tra adozione del modello motivazionale per relationem e censimento di univocità dell’orientamento dell’Ufficio giudiziario medesimo, ben potendosi anche individuare un singolo precedente condiviso.

L’aver invece ignorato – come contestato dal Fondo – la sussistenza di altre e opposte pronunce in tema (come la sentenza 2705/2011), non costituisce pertanto un limite in sè per l’utilizzo della citata metodologia argomentativa, ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nè inerisce a questione tematizzabile a livello di vizio di motivazione, rivelando piuttosto e semmai un mero errore di diritto, cioè sull’interpretazione degli istituti di cui il giudicante ha fatto applicazione nel ricostruire la fattispecie concreta. Va così ribadito il principio per cui è legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame, purchè il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Deve viceversa essere cassata la sola sentenza d’appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 15483/2008, 18625/2010, 11138/2011). Parimenti, la motivazione della sentenza per relationem è ammissibile, purchè il rinvio venga operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione, nella fattispecie ampiamente fattibile, essendo necessario che si dia conto delle argomentazioni delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio (Cass. 7347/2012), non potendo ricorrere alcun difetto di esaustività nel modo con cui le ragioni della decisione debbono risultare (Cass. s.u. 642/2015).

2. 11 secondo motivo è fondato, contraddicendo la decisione qui impugnata il principio, reso da questa Corte proprio sul precedente che fu oggetto di rinvio da parte del giudice di merito, per cui in tema di investimenti mobiliari, l’indennizzo dovuto, ai sensi del D.M. 30 settembre 1991, art. 5 (nel testo applicabile ratione temporis), dal Fondo nazionale di Garanzia in favore dei clienti di una società d’intermediazione mobiliare fallita, che siano stati ammessi al passivo, va quantificato decurtando dal massimale previsto l’importo già percepito per effetto dei piani di riparto eseguiti in corso di procedura, rispondendo la suddetta interpretazione, teleologica, della norma all’esigenza di assicurare il coordinamento del comma 3, relativo ai criteri di calcolo, con il successivo comma 5, che prevede la surroga del Fondo nei diritti degli investitori; nonchè di evitare gli effetti distorsivi, conseguenti ad una interpretazione meramente letterale, che, consentendo la sommatoria dell’intero massimale a quanto già conseguito in sede di riparto, avvantaggerebbe i creditori delle procedure più capienti e, nell’ambito della stessa procedura, il creditore meno tempestivo, che si sia rivolto al Fondo solo a seguito dei riparti (Cass. 7992/2014). Tale interpretazione, cui il Collegio aderisce, è la sola che può assicurare neutralità normativa, su insolvenze differenti o anche sulla medesima insolvenza concorsualizzata, a fattori esterni al credito d’indennizzo, quali la circostanza fattuale del riparto avvenuto prima o dopo l’intervento del Fondo, la cui stessa previsione istituzionale corrisponde alla promozione di un principio di solidarietà che va declinato secondo tutele uniformi, così rispettandosi il suo buon funzionamento. Nel giudizio di rinvio la corte d’appello dovrà pertanto ricalcolare la spettanza dell’indennizzo sulla base del credito ammesso al passivo ma nella misura che, non eccedendo il citato massimale (che opera come obbligazione di garanzia per il Fondo), ne scomputi le quote di riparto nel frattempo ricevute dal creditore-cliente nella procedura concorsuale.

I restanti motivi appaiono assorbiti, conseguendone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, anche per la liquidazione delle spese del grado.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, dichiara assorbiti i restanti, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente procedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2016

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