Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14786 del 18/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 18/06/2010, (ud. 27/05/2010, dep. 18/06/2010), n.14786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 235-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

B.L., M.R., MU.CI., M.

V., MA.BA., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

ALBERICO UN. 33, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO, che

li rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1850/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 15/12/2005 R.G.N. 1242/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/05/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 76/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Vercelli, per quanto riguarda le odierne intimate ( Mu.Ci., Ma.Ba., Ma.Va., Mu.Ro. e B.L.) dichiarava la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro (per Mu. della proroga del contratto) con conseguente sussistenza di rapporto a tempo indeterminato e con condanna della società al ripristino del rapporto e al pagamento delle retribuzioni.

La società Poste Italiane proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto delle avverse domande.

Le lavoratrici appellate si costituivano resistendo al gravame e, tra le altre, la Mu., proponeva appello incidentale, chiedendo l’accoglimento integrale della domanda.

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza depositata il 15-12-2005, respingeva l’appello principale della società, ed in accoglimento dell’appello incidentale dichiarava, tra l’altro, la nullità del termine apposto al contratto stipulato con la Mu. il (OMISSIS), con conseguente costituzione di un rapporto a tempo indeterminato dal fin 2-3-1998. Confermava nel resto la pronuncia di primo grado e condannava la società al pagamento delle spese in favore delle appellate.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso nei confronti della Mu., della Ma.Ba., della Ma.Va., della M. e della B., con due motivi.

Le intimate hanno resistito con controricorso.

Infine sono stati depositate copie di verbali di conciliazione in sede sindacale conclusi con la Ma.Ba., con la M. V. e con la M., rispettivamente in data 6-2-2009, 6-2- 2009 e 25-2-2009 e le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il ricorso va dichiarato inammissibile nei confronti di Ma.Ba., Ma.Va. e M.R..

Dai verbali di conciliazione prodotti in copia risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

Osserva il Collegio che i suddetti verbali di conciliazione si palesano idonei a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso nei confronti delle dette lavoratrici in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278, Cass. 13-7-2009 n. 16341). Ricorrono, inoltre, giusti motivi, considerato l’accordo intervenuto, per compensare le spese del giudizio di cassazione tra la società e le dette lavoratrici.

Con riferimento, quindi, alle restanti intimate ( Mu. e B.) la società, con il primo motivo denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 1362 e seguenti c.c. e vizi di motivazione, in sostanza lamenta che la impugnata sentenza si fonda sull’erroneo “pregiudizio” che l’art. 23 citato “non consentirebbe all’autonomia collettiva di costruire fattispecie legittimanti assunzioni a termine collegate a situazioni (oggettive o soggettive) tipicamente aziendali e che non siano direttamente collegate ad occasioni precarie di lavoro”.

La ricorrente deduce, infatti, che l’art. 8 del ccnl del 1994, così come integrato dall’accordo 25-9-97, subordinava la sua applicazione unicamente all’esistenza di un processo di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali dell’azienda, per cui l’interpretazione di tale accordo compiuta dalla Corte torinese risulta viziata, “oltre che dall’erronea lettura della L. n. 56 del 1987, art. 23 che ha condizionato, viziandola irrimediabilmente, anche la successiva esegesi della disciplina contrattuale, anche dall’autonoma e concorrente violazione delle regole ermeneutiche legali di cui all’art. 1362 e ss. c.c. (ed in particolare del criterio letterale e de comportamento delle parti posteriore alla stipulazione)”. La ricorrente sostiene, poi, che le “intese attuative” dell’accordo 25-9-97 non potevano comunque essere interpretate “quali condizioni di efficacia delle singole assunzioni (sul piano temporale)” essendo la volontà delle parti ancorata “esclusivamente al processo di ristrutturazione”.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, art. 1362 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, deducendo che la mancanza di una qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalità di fatto del rapporto consentiva certamente di ritenere perfezionata anche nella vicenda dedotta in giudizio la detta risoluzione.

Il primo motivo va, in sostanza, accolto nei confronti della Mu., mentre non può essere accolto nei confronti della B., anche se la motivazione della sentenza merita di essere in parte corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., come più volte affermato da questa Corte in casi analoghi di ricorsi avverso sentenze dello stesso tenore (v. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7-1-2009 n. 41, Cass. 12-11-2008 n. 27030, Cass. 19-11-2008 n. 27470).

In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”. (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8- 2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’alt. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1- 10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi legittimo il termine apposto al contratto stipulato con la Mu., per il periodo 2-3-1998/30-4-1998, per “esigenze eccezionali … ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’accordo 25-9- 97 e successivi, che rientra, anche temporalmente, nella previsione collettiva, che legittima la apposizione del termine L. n. 56 del 1987, ex art. 23. Del resto la Corte di merito, in effetti, ha deciso in violazione del principio di diritto sopra richiamato; alla base della motivazione della decisione è l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali; la sentenza, quindi, si muove pur sempre nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1; ciò in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte.

Parimenti legittima è, poi, la proroga del detto contratto fino al 30-5-1998, ai sensi di quanto previsto dall’accordo del 27-4-1998 (richiamato in ricorso), in base alla giurisprudenza costatata questa Corte, fondata sul riconoscimento in sede collettiva della sussistenza delle esigenze contingenti ed imprevedibili, connesse con i ritardi che hanno inciso negativamente sul programma di ristrutturazione (v. fra le altre Cass. 24-9-2007 n. 19696).

Tanto basta per accogliere il ricorso nei confronti della Mu.

(restando assorbito, con riferimento alla stessa, il secondo motivo), così cassandosi, in relazione alla medesima, la impugnata sentenza.

Inoltre, riguardando la domanda introduttiva della Mu.

soltanto il detto contratto con la citata proroga (come si evince, tra l’altro, anche dalla lettura del controricorso) e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, sul punto, può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda stessa.

Per quanto riguarda, poi, le spese tra la società e la Mu., le incertezze, all’epoca non ancora superate dai principi dettati da questa Corte di legittimità, costituiscono giusto motivo di compensazione per i gradi di merito, mentre, in ragione della soccombenza, ormai definita da tali principi, va emessa condanna a carico della Mu. per il giudizio di cassazione.

In base agli stessi principi, sopra richiamati, va, poi, confermata la illegittimità del termine apposto al contratto concluso, con la medesima causale, con la B., per il periodo 13-10-2000/31-1- 2001, in quanto concluso dopo il 30-4-1998, così in parte correggendosi la motivazione dell’impugnata sentenza.

Nei confronti della B. va, inoltre, respinto anche il secondo motivo.

Sul punto la impugnata sentenza ha affermato che “il mero trascorrere del tempo non è, di per sè, elemento sintomatico della volontà del lavoratore di rinunciare all’azione di nullità del termine ed al conseguente ripristino del rapporto di lavoro” e che la società ”avrebbe dovuto dedurre, e provare, un comportamento delle lavoratoci che costituisse chiara ed univoca manifestazione, rivolta nei confronti della stessa società, della volontà di rinunciare alla ricostituzione del rapporto di lavoro”.

Tale decisione è conforme ai principi più volte affermati da questa Corte in materia, in base ai quali “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9- 2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11-12-2001 n. 15621).

Peraltro, come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070).

Il ricorso va così respinto nei confronti della B. e la società va condannata al pagamento delle spese nei confronti della stessa.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti della Ma.Ba., della Ma.Va. e della M. R. è compensa le spese tra la società e le dette lavoratrici;

accoglie il ricorso nei confronti della Mu., cassa la impugnata sentenza in relazione alla stessa e, decidendo nel merito, rigetta la domanda introduttiva della Mu., compensa le spese dei giudizi di merito tra quest’ultima e la società e condanna la Mu. al pagamento in favore di Poste Italiane s.p.a. delle spese di legittimità, liquidate in Euro 88,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA; rigetta il ricorso nei confronti della B. e condanna la società al pagamento in suo favore delle spese, liquidate in Euro 17,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 27 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2010

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