Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14784 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 05/07/2011, (ud. 22/03/2011, dep. 05/07/2011), n.14784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNARDI Sergio – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

U.B.R., U.B.A., U.B.

O., elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI GIUOCHI ISTMICI 28

presso lo studio dell’avvocato ARENA GIACOMO, rappresentati e difesi

dall’avvocato URZI’ BRANCATI ANTONIO, giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 144/2004 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

MESSINA, depositata il 15/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I sigg. A., O. e U.B.R. impugnavano davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Messina un avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni emesso dall’Ufficio Concessioni e bollo di Messina in relazione ad una dichiarazione integrativa di denuncia di successione presentata per la successione all’avvocato Luigi Urzì Brancati (apertasi il 16.6.83), avente ad oggetto crediti professionali del de cuius verso lo IACP di Messina.

I contribuenti lamentavano come l’Ufficio, nel determinare l’imposta sul valore globale dell’asse, non avesse tenuto conto della diversa tariffa approvata con la L. n. 880 del 1986, art. 1 (che aveva sostituito la tariffa di cui al D.P.R. n. 637 del 1972 con una tassazione più favorevole). Affermava al riguardo che tale tariffa, sebbene entrata in vigore dopo l’apertura della successione al sig. L.U.B., era tuttavia applicabile ai crediti professionali di costui che – non inseriti nell’originaria denuncia di successione in quanto non conosciuti nè conoscibili – erano stati conteggiati e liquidati dallo IACP (e quindi riscossi dagli eredi e, conseguentemente, fatti oggetto di denuncia integrativa) solo in epoca successiva all’introduzione della nuova più favorevole tariffa.

Inoltre i contribuenti deducevano che il valore dei suddetti crediti doveva ritenersi compreso nella maggiorazione ex lege del 10% del dichiarato.

La Commissione Tributaria Provinciale di Messina respingeva il ricorso. La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, adita dai contribuenti con l’appello, confermava la sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale ricorrono per cassazione sigg. A., O. e U.B.R., nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, sulla scorta dei seguenti tre motivi:

1) Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 637 del 1972, art. 11. La Commissione Tributaria Regionale avrebbe violato la norma richiamata ritenendo compresi nell’attivo ereditario crediti che al momento dell’apertura della successione non erano esigibili e che sono stati conteggiati e liquidati agli eredi solo in epoca successiva alla dichiarazione di apertura della successione.

2) Art. 360 c.p.c., n. 3 e 5 – Violazione del D.P.R. n. 637 del 1972, art. 8, comma 2; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisive della controversia; omessa pronuncia su un motivo di appello. La Commissione Tributaria Regionale avrebbe omesso di pronunciarsi sul punto decisivo della controversia, dedotto dai contribuenti fin dal primo grado e ribadito in secondo grado, rappresentato dal fatto che l’Ufficio aveva già applicato la maggiorazione del 10% sull’asse ereditario in relazione alla prima dichiarazione di successione, cosicchè i cespiti denunciati con le dichiarazioni integrative avrebbero dovuto essere tassati solo per la parte eventualmente eccedente detta maggiorazione.

3) Insufficienza della motivazione e contrarietà della sentenza ad altra decisione resa dalla stessa Commissione Tributaria Regionale su identica questione. La Commissione Tributaria Regionale avrebbe errato, secondo i ricorrenti, nel discostarsi da quanto essa stessa aveva deciso, su identica questione, con la sentenza 126/26/04 del 25.11.04, depositata l’11.2.04.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate si sono costituiti nel giudizio di cassazione depositando controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 22.3.011, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente si rileva la carenza di legittimazione a contraddire del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Quest’ultimo non è stato parte del giudizio di secondo grado (a cui ha partecipato solo l’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate), cosicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente giudizio. Il ricorso nei confronti del Ministero va quindi rigettato per essere quest’ultimo carente di legittimazione passiva.

Quanto al ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate, si osserva quanto segue.

Il primo motivo, con cui si censura la pretesa violazione del D.P.R. n. 637 del 1972, art. 11, è infondato. Il D.P.R. n. 637 del 1972, art. 11, prevede infatti che i crediti del de cuius restino esclusi dall’attivo ereditario solo qualora ricorra una delle ipotesi (a nessuna delle quali è riferibile la fattispecie da cui sorge il presente giudizio) previste dai nn. 6, 7 o 8 dell’articolo citato, vale a dire se si tratti di “crediti contestati giudizialmente alla data di apertura della successione, sino a quando la loro sussistenza non sia riconosciuta con provvedimento giurisdizionale o transazione”, o di “crediti che il contribuente dichiari di dubbia esigibilità qualora il contribuente stesso abbia notificato ai debitori l’invito ad assolvere, per suo conto, l’imposta dovuta sui crediti stessi prima del loro pagamento” o, infine, di “crediti dichiarati inesigibili o di dubbia esigibilità se vengono ceduti allo Stato”. Il D.P.R. n. 637 del 1972, art. 11, dunque, a differenza di quanto argomentato nel ricorso, non esclude dall’attivo ereditario (ai fini della determinazione della base imponibile e, in ultima analisi, dell’imposta dovuta, secondo le disposizioni del D.P.R. n. 637 del 1972, artt. 6 e 7 e in base alla tariffa vigente al momento dell’apertura della successione) i crediti del de cuìus sprovvisti delle caratteristiche di certezza, liquidità ed esigibilità; ma esclude soltanto i crediti del de cuius giudizialmente contestati (sino a quando l’esistenza non ne sia stata accertata giudizialmente o transattivamente), quelli (di dubbia esigibilità) in relazione ai quali l’erede abbia invitato il debitore ad assolvere per suo conto l’imposta gravante sul credito e quelli ceduti allo Stato.

Col secondo motivo di ricorso i contribuenti lamentano che la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe considerato che, poichè l’Ufficio aveva già applicato la maggiorazione del 10% sull’asse ereditario sulla prima dichiarazione di successione, le dichiarazioni integrative successive avrebbero dovuto dar luogo a maggior imposta solo per la parte eventualmente eccedente tale maggiorazione. Taglie doglianza si articola in tre distinte censure:

– una di violazione di legge e, in particolare, del D.P.R. n. 637 del 1972, art. 8, comma 2;

una di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;

una di omessa pronuncia su un motivo di appello.

La prima censura è infondata, perchè il D.P.R. n. 637 del 1972, art. 8, comma 2, nel testo, applicabile alla fattispecie, anteriore alla modifica recata dalla L. n. 880 del 1986 (vedi Cass. 4766/98:

Con riguardo alle successioni apertesi in epoca antecedente al primo luglio 1986 trova applicazione il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 8, comma 2, nella originaria formulazione e non come modificato dalla L. 17 dicembre 1986, n. 880, art. 5) recita: “nell’attivo si considerano compresi danaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore complessivo netto dell’asse ereditario, anche se dichiarati o indicati in inventario per un importo minore.

“I crediti pecuniari la cui liquidazione sopravvenga dopo l’apertura della successione non costituiscono nè danaro, nè gioielli nè mobilia e, pertanto, il loro importo non può ritenersi compreso nella quota dell’asse ereditario costituita da danaro, gioielli o mobilia, che si presume ex lege di valore pari al 10% del valore netto dell’asse dichiarato. Al contrario, il valore di detti crediti, lungi dal considerarsi assorbito nell’importo della quota di asse ereditario presunta D.P.R. n. 637 del 1972, ex art. 8, comma 2, concorre a formare la base di calcolo per la quantificazione di tale quota (vedi Cass. 1518/1996: “In tema d’imposta sulle successioni, anche i crediti giudizialmente contestati alla data di apertura della successione, quando la loro sussistenza sia riconosciuta con provvedimento giurisdizionale o transazione, concorrono a formare l’attivo ereditario e vanno perciò computati ai fini del calcolo della maggiorazione del 10 per cento, di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 8, comma 2”).

La seconda censura è inammissibile, perchè il punto su cui i ricorrenti lamentano l’omissione della motivazione da parte del giudice di merito – ossia il fatto che l’Ufficio aveva già applicato la maggiorazione del 10% sull’asse ereditario in relazione alla prima dichiarazione di successione – è privo della caratteristica della decisività, alla stregua del contenuto precettivo del D.P.R. n. 637 del 1972, art. 8, comma 2, come sopra delineato.

La terza censura è infondata, perchè la sentenza gravata da conto dell’argomento dei contribuenti secondo cui i crediti del loro dante cause sarebbero stati già compresi nella maggiorazione del 10% dell’asse ereditario applicata in sede di prima denuncia di successione (righi 26-31 dello “svolgimento del processo”) e, implicitamente, lo rigetta, giudicando corretta la decisione di primo grado. In proposito va ribadito il costante orientamento di questa Corte secondo cui ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale prete rmissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; il vizio di omessa pronuncia, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto, pur in assenza di una specifica argomentazione. (Cass. 10636/07, 10696/07, 5351/07).

Il terzo motivo di ricorso, relativo al contrasto tra la sentenza gravata ed altra precedentemente resa su identica questione dalla stessa Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, è inammissibile, in quanto non risulta riconducibile ad alcuna delle ipotesi di previste dal dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

Il ricorso va quindi in definitiva rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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