Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14783 del 30/06/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 14783 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DE CHIARA CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MPS GESTIONE CREDITI BANCA S.P.A. (C.F. 92034880523),
facente parte del gruppo bancario MONTE DEI PASCHI DI
SIENA, non in proprio ma in nome e per conto della
BANCA ANTONVENETA S.P.A., in persona del dott. Carlo
Alberto Bassoli, responsabile dell’Ufficio Periferico
di Mantova di MPS Gestione Crediti Banca, elettivamente
domiciliata in Roma, Via degli Scipioni n. 288, presso

2014

lo studio dell’avv. Michela Reggio D’Aci, che la rappresenta e difende, unitamente agli avv.ti Antonio Ci-

Data pubblicazione: 30/06/2014

mino e Maria Dalla Serra, giusta procura a margine del
ricorso

ricorrente

FALLIMENTO LIBERTI S.P.A.

IN LIQUIDAZIONE

(C.F.

01935670263), in persona del Curatore dott. Tarcisio
Baggio, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Vescovio n. 21, presso lo studio dell’avv. Tommaso Manferoce, che lo rappresenta e difende, unitamente all’avv.
Renato Pastorelli, giusta mandato in calce al controricorso

controricorrente

avverso il decreto del Tribunale di Treviso depositato
il 28 novembre 2011 nel proc. n. 900-110/2011 R.G.;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 3 aprile 2014 dal Consigliere dott. Carlo
DE CHIARA;
udito per la ricorrente l’avv. Michela REGGI D’ACI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Luigi SALVATO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Banca Antonveneta s.p.a. propose opposizione allo
stato passivo del fallimento Liberti s.p.a. in liquida2

contro

zione (dichiarato 1’8 novembre 2010) per l’ammissione
di un credito di C 563.494,12, residuo del maggior credito di C 991.807,60 portato da decreto ingiuntivo non
opposto emesso dal Presidente del Tribunale di Padova

il 22 agosto 2007.
Il Tribunale di Treviso ha rigettato l’opposizione
sul rilievo, tra l’altro, dell’inopponibilità del decreto ingiuntivo al fallimento: il decreto ingiuntivo,
infatti, acquista efficacia di giudicato sostanziale
solo con la dichiarazione di esecutività ai sensi
dell’art. 647 c.p.c., ed è dunque opponibile alla massa
dei creditori concorsuali solo se munito di tale dichiarazione in data anteriore alla sentenza dichiarativa del fallimento; nella specie, invece, la dichiarazione di esecutività era stata apposta soltanto 1’11
marzo 2011.
MPS Gestione Crediti Banca s.p.a., quale mandataria con rappresentanza di Banca Antonveneta, ha quindi
proposto ricorso per cassazione per due motivi, cui il
fallimento ha resistito con controricorso.
Con relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. il
Consigliere relatore ha proposto il rigetto del ricorso. La relazione è stata comunicata al P.M. e notificata alle parti costituite, le quali hanno presentato me-

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il 14 agosto 2007 e notificato alla società debitrice

morie.
Il Collegio ha ritenuto di rimettere la causa alla
pubblica udienza, in vista della quale le parti hanno
presentato ulteriori memorie.

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia
violazione di norme di diritto e vizio di motivazione
per avere il Tribunale escluso l’opponibilità del decreto ingiuntivo al fallimento senza valutare le circostanze e gli elementi documentali allegati dalla ricorrente, da cui risultava che non era stata proposta opposizione al decreto da parte della società debitrice.
2. – Con il secondo motivo si denuncia violazione
di norme di diritto e vizio di motivazione per avere il
Tribunale escluso la predetta opponibilità in quanto il
decreto era stato dichiarato esecutivo successivamente
all’apertura del fallimento, nonostante fosse divenuto
definitivo già il 26 ottobre 2007, per effetto della
mancata opposizione nel termine di legge, e debba riconoscersi efficacia retroattiva alla dichiarazione di
esecutività, non potendosi più porre in discussione,
una volta decorso il termine per l’opposizione, il diritto sostanziale riconosciuto nel decreto.
3. – I due motivi, da trattare congiuntamente in
quanto connessi, non possono essere accolti.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

Questa Corte, con due recenti sentenze, la n. 1650
e la n. 2112 del 2014, ha chiarito che, in assenza di
opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia
di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in

ne, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c.
Tale funzione svolta dal giudice si differenzia dalla
verifica affidata al cancelliere dall’art. 124 o
dall’art. 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera
e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio, che si pone come ultimo atto del giudice
all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può
surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento
del passivo; con la conseguenza che il decreto ingiuntivo non munito del decreto di esecutorietà prima della
dichiarazione di fallimento del debitore, non essendo
passato in cosa giudicata formale e sostanziale non è
opponibile al fallimento stesso, neppure nell’ipotesi
in cui il decreto di cui all’art. 647 c.p.c. venga emesso successivamente, considerato che, intervenuto il
fallimento, ogni credito dev’essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’art. 52 legge fallim.
Tanto è stato affermato in continuità, peraltro,
con l’orientamento già espresso da Cass. 6085/2004,
6198/2009, 28553/2011, 122052012, rispetto al quale

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cui il giudice, dopo averne controllato la notificazio-

viene

solo

puntualizzata

la

fallacia

dell’argomentazione – presente in particolare in Cass.
6085/2004, richiamata da Cass. 6198/2009, citt. – basata sulla ritenuta sfasatura temporale tra giudicato

termine per proporre opposizione al decreto ingiuntivo,
e giudicato sostanziale, conseguente all’emissione del
decreto di esecutorietà, per riaffermare, invece, anche
con riguardo al procedimento monitorio, l’unitarietà
del fenomeno del giudicato e la coincidenza temporale
della formazione del giudicato formale e del giudicato
sostanziale.
3.1. – Alla tesi svolta nei due richiamati precedenti del 2014, cui il Collegio ritiene di aderire, la
ricorrente muove, con la seconda memoria, una serie di
critiche, per comprendere le quali è necessario ripercorrere, sia pure per sintesi, alcuni passaggi del ragionamento svolto in quei precedenti.
Affermata la coincidenza temporale fra giudicato
formale e giudicato sostanziale, i precedenti in esame
hanno individuato nella emissione del decreto di esecutorietà il momento di formazione del giudicato, sia
perché – ed è questa l’argomentazione principale del
ragionamento – il controllo dell’integrità del contraddittorio, che in esso si esprime, rappresenta un momen-

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formale, conseguente alla mera inutile scadenza del

to irrinuciabile a garanzia del diritto di difesa
dell’intimato, analogamente al controllo svolto nel
giudizio ordinario ai sensi degli artt. 164, 183 e 291
c.p.c., senza di che è “fuori sistema” parlare di giu-

si sostanzia il giudicato interno (che il giudice deve
dichiarare di fronte a un’opposizione proposta oltre il
termine – salva ovviamente, ricorrendone i presupposti,
l’ammissibilità dell’opposizione tardiva ai sensi
dell’art. 650 c.p.c. – senza che ciò nulla tolga al
fatto che il giudicato esterno si forma soltanto con il
decreto di cui all’art. 647); sia perché l’art. 647,
cit., prevede che, nel caso in cui non sia stata proposta opposizione nel termine, «il giudice deve ordinare
che sia rinnovata la notificazione, quando risulta o
appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza del decreto», il che conferma che il giudicato
non si forma alla scadenza del termine per
l’opposizione, bensì soltanto all’esito del controllo
del giudice sulla notificazione, onde coerentemente
l’art. 656 c.p.c. prevede che non già il decreto non
opposto, bensì «il decreto d’ingiunzione divenuto esecutivo a norma dell’articolo 647, può impugnarsi per
revocazione nei casi indicati nei numeri 1, 2, 5 e 6
dell’articolo 395».

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dicato e vi è spazio soltanto per le preclusioni in cui

Le critiche, cui sopra si è fatto cenno, mosse a
tale ragionamento dalla ricorrente possono sintetizzarsi come segue:
– ricondurre al giudicato interno il rilievo della

ne con l’affermata unitarietà del giudicato anche dal
punto di vista temporale;
– non si tratta di negare la necessità della verifica del contraddittorio mediante il decreto di cui
all’art. 647 c.p.c., bensì di ammettere che il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo regolarmente
notificato, in esso affermato, è avvenuto al momento
della scadenza dei termini per proporre l’opposizione;
né rileva il potere del giudice di disporre il rinnovo
della notifica, perché è ovvio che una notifica irregolare

non può

far

decorrere

il

termine per

l’opposizione; inoltre in dottrina si è negato che la
domanda di revocazione sia proponibile soltanto avverso
il decreto ingiuntivo munito di visto di esecutorietà,
dato che ciò condizionerebbe il diritto d’impugnazione
dell’intimato a un’iniziativa dell’intimante, il solo
legittimato a richiedere la dichiarazione di esecutorietà;
– nel caso di decreto ingiuntivo provvisoriamente
esecutivo, è irragionevole pretendere dal creditore,

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eventuale tardività dell’opposizione è in contraddizio-

cui la provvisoria esecutività sia stata concessa in
ragione dell’urgenza derivante dall’instabilità finanziaria del debitore e dal pericolo di sottrazione di
beni, l’adempimento di una ulteriore formalità che può

tribunali, tempi tanto lunghi da frustrare, in caso di
sopravvenuto fallimento del debitore, la tutela offerta
dal provvedimento;
– irragionevole è anche la disparità del trattamento riservato al creditore munito di decreto ingiuntivo privo di visto di esecutorietà, che ha l’onere di
dimostrare il proprio credito nella verifica fallimentare, rispetto al creditore munito di sentenza favorevole non passata in giudicato, il quale può insinuarsi
al passivo con riserva ai sensi dell’art. 96 legge fallim., tanto più nei casi di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, in cui il sopraggiungere del fallimento del debitore pone nel nulla l’esecuzione forzata che sia stata già iniziata o l’ipoteca giudiziale
che sia stata iscritta ai sensi dell’art. 655 c.p.c., e
considerato altresì che la verifica della regolarità
del contraddittorio, in cui si sostanzia il decreto di
esecutorietà, viene condotta dal giudice in assenza
delle parti e non si vede perché non possa essere com-

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comportare in concreto, dati i carichi di lavoro dei

piuta anche durante la procedura fallimentare e fare
stato nell’ambito della stessa;
– in base a quanto sopra esposto s’imporrebbe, comunque, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia

to sul funzionamento dell’Unione, al fine di accertare
se la ritenuta inopponibilità al fallimento del debitore del decreto ingiuntivo privo di decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. emesso prima della dichiarazione del fallimento, sia compatibile con il principio
di uguaglianza e con il diritto a un ricorso effettivo
proclamati, rispettivamente, dagli artt. 20 e 47 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
3.2. – Tali critiche non possono essere condivise.
Nessuna di esse, invero, si dà carico della considerazione – centrale, come si è detto, nel ragionamento
svolto da questa Corte nei due richiamati precedenti
del 2014 – che la verifica della regolarità del contraddittorio, in cui pacificamente si sostanzia il decreto di cui all’art. 647 c.p.c., fa parte del processo
monitorio, che perciò prima di essa non può dirsi concluso, e dunque non può dirsi formato il giudicato,
mentre una eventuale efficacia retroattiva di tale verifica, anticipata cioè alla scadenza del termine per

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dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 del Tratta-

proporre opposizione, necessiterebbe di una previsione
di legge in realtà mancante.
A ciò si aggiunga, per completezza, quanto al dettaglio dei rilievi sollevati dalla ricorrente che:

dicato esterno sia formale che sostanziale, onde non vi
è contraddizione nell’affermarne una diversa disciplina;
– il potere del giudice di ordinare la rinnovazione della notifica del decreto ingiuntivo, ai sensi del
richiamato art. 647, non è limitato ai casi si irregolarità della notifica stessa e si ritiene in dottrina
che sussista anche tutte le volte in cui il giudice dubiti che l’intimato non abbia avuto, senza sua colpa,
conoscenza dell’ingiunzione: il che impedisce di considerare quale mera conseguenza logica della irrituale
notifica il mancato prodursi del giudicato prima
dell’accertamento di esecutorietà di cui trattasi;
– il condizionamento dell’impugnazione del decreto
ingiuntivo per revocazione, da parte dell’intimato,
all’iniziativa dell’intimante ai sensi dell’art. 647
c.p.c., è un falso argomento, atteso che in mancanza
del passaggio in giudicato non sussisterebbe alcun interesse dell’intimato stesso a proporre l’impugnazione;

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– il giudicato interno è nozione distinta dal giu-

- nessuna irragionevole disparità è configurabile
rispetto al trattamento riservato al creditore munito
di sentenza favorevole non passata in giudicato, considerata la sostanziale differenza delle fattispecie, po-

za di verifica della regolarità contraddittorio da parte del giudice è stata già soddisfatta nel processo,
ciò che invece non non può dirsi quanto al procedimento
monitorio prima che sia compiuto l’accertamento di cui
all’art. 647, cit.; e tanto basta a giustificare anche
la perdita delle utilità per l’intimante connesse alla
provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo richiamate dalla ricorrente;
– né si pone la necessità del rinvio pregiudiziale
alla Corte di giustizia dell’Unione europea, invocato
infine nella memoria, dato che l’art. 51 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione stabilisce che le
disposizioni della stessa «si applicano … agli Stati
membri esclusivamente nell’attuazione del diritto
dell’Unione» e, secondo la Corte di giustizia, ciò si
verifica esclusivamente allorché la normativa nazionale
si colloca nell’ambito del diritto dell’Unione (CGUE 26
febbraio 2013, C-617/10, che richiama la costante pregressa giurisprudenza della medesima Corte, anche anteriore alla Carta dei diritti), al quale è invece estra-

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sto che nel caso della sentenza la fondamentale esigen-

nea, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente,
la materia fallimentare.
4. – Il ricorso va in conclusione respinto, con
condanna della ricorrente alle spese processuali, li-

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in C 15.200,00, di
cui C 15.000,00 per compensi di avvocato, oltre spese
generali, pari al 15 % dei compensi, e accessori di
legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3
aprile 2014.

quidate come in dispositivo.

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