Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14782 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 05/07/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 05/07/2011), n.14782

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende,

– ricorrente –

contro

la s.r.l. TREND (a socio unico), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata, nel giudizio di appello, in

Ivrea al Corso Vercelli n. 332/P presso lo studio del dr. Marchetti

Gianni, che la difendeva in quel grado;

– intimata –

AVVERSO la sentenza n. 28/06/08 depositata il 9 luglio 2008 dalla

Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 gennaio 2011

dal dr. Michele D’ALONZO);

sentite le difese dell’Agenzia, perorate dall’avv. Lorenzo Dr ASCIA

(dell’Avvocatura Generale dello Stato);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. SEPE

Ennio Attilio, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla s.r.l. TREND (a socio unico), l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso che con avviso di accertamento e di irrogazione delle afferenti sanzioni l’Ufficio, sulla scorta di un “PVC … dove si accertava che MANITAL” (“Consorzio per i servizi integrati”, “avente ad oggetto, in forma societaria consortile, la gestione integrata di complessi immobiliari e attività connesse, a cui la TREND srl partecipava”) “non aveva utilizzato” (“sotto l’spetto fiscale”) “i metodi propri dei consorzi” (“in violazione della normativa dettata dal decreto istitutivo dell’IVA e dei principi dell’ordinamento civilistico”), aveva contestato a detta società “di non aver emesso fatture per i rapporti commerciali intrattenuti con il Consorzio” e riscontrato “la violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, commi 1 e 8, ed art. 5, comma 4, per omessa fatturazione IVA, omessa regolarizzazione e per dichiarazione infedele per l’anno 2001” -, in forza di tre motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 28/06/08 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (depositata il 9 luglio 2008) che aveva respinto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (67/14/06) della Commissione Tributaria Provinciale di Torino la quale aveva accolto il ricorso della contribuente.

Questa non svolgeva attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione Tributaria Regionale – premesso aver l’Ufficio (2) “contesta(to) la ricostruzione logico-giuridica della decisione” di primo grado perchè “contraria al contenuto del verbale della Polizia Tributaria” e per aver superato “elemento ritenuti fondamentali, quali: a) il rapporto tra Consorzio e consorziati; b) il ruolo di Manitalidea spa; c) l’effettiva esaustività della documentazione prodotta” nonchè (2) insistito “sulla qualificazione giuridica del Consorzio, contestando l’attività dell’altra società Manitalidea spa che ha svolto attività che secondo l’Ufficio erano proprie del Consorzio e sottolineando l’anomalo comportamento operativo del Consorzio, affermandone l’attività di lucro e l’operare non utilizzando gli strumenti pro-pri del Consorzio” – ha respinto il gravame osservando:

– “le argomentazioni dell’Ufficio sono … delle semplici petizioni di principio e partono dal presupposto che il Consorzio non poteva operare come ha operato, senza però dare alcun supporto di fatto e di diritto alle proprie asserzioni”) “l’analisi della documentazione prova, invece, l’assoluta regolarità del comportamento di Trend srl … nei suoi rapporti con il Consorzio e l’ininfluenza dei rapporti tra Consorzio Manital e Manitalidea spa”);

– poichè “l’accertamento a carico di Trend srl deriva da considerazioni sugli aspetti contabili del Consorzio Manital e, quindi, opera un rovesciamento a carico di Trend srl di costi e ricavi regolarmente contabilizzati e fatturati a terzi o da terzi fatturati a Manital”, “la premessa dell’accertamento è … in partenza apodittica, in quanto parte dal presupposto che la contabilità del Consorzio è irregolare e che, quindi, costi, ricavi e fatturazione debbano ricadere sul consorziato”; “purtroppo, nessuno degli argomenti utilizzati dall’Ufficio per sostenere l’irregolarità dei rapporti tra Manital e Trend srl tiene conto della natura esterna del Consorzio e della possibilità per lo stesso di agire in modo autonomo, nell’interesse dei consorziati in genere, senza rappresentarli, raccogliendo le commesse e subappaltandole ed operando, quindi, come un qualsivoglia imprenditore autonomo”.

La stessa Commissione, poi, assunto che “le regole di comportamento contabile e fiscale devono trovare giustificazione e fondamento nei peculiari meccanismi di funzionamento dell’istituto consortile, come stabiliti dall’atto costitutivo e dai regolamenti attuativi ed organizzativi e non nei “desiderata” dell’Ufficio” (“atteso che il Consorzio opera con personalità giuridica ed è una società consortile per azioni caratterizzata da autonomia patrimoniale e da responsabilità limitata”), afferma:

– “dallo Statuto dell’ente e dal conseguente regolamento consortile per l’assegnazione ed esecuzione dei lavori … è desumibile (art. 3 reg.) che il Consorzio, che non ha fini di lucro, aveva un oggetto sociale molto ampio, composto da 25 punti eterogenei” (omissis l'”oggetto sociale”);

– “le modalità di esecuzione dei lavori, … contenute nel …

regolamento …, prevedevano la classificazione dei lavori, la regolamentazione dei rapporti con i committenti ed i criteri di ripartizione delle suddette commesse tra i vari consorziati, pur precisando che i rapporti con la committente erano sempre tenuti dal consorzio (cfr. art. 2) il quale assumeva in nome proprio sia l’esecuzione dei lavori che la prestazione dei servizi e l’esecuzione delle opere (cfr. comma 2, art. 1, reg.)”: “con ciò smentendo la tesi dell’Ufficio e la conseguente applicatività di essa”;

– “Manital informava i consorziati delle opportunità di effettuazioni lavori e raccoglieva le offerte dai soci interessati (art. 4 reg.), per procedere poi all’assegnazione dei lavori a suo insindacabile giudizio (art. 5 reg.)”;

– “il consorzio, non essendo ciò escluso dagli accordi consortili, aveva eseguito direttamente alcuni lavori, si era dotato di una regolare struttura produttiva”.

Per il giudice a quo, quindi:

“la concreta configurazione organizzativa del Consorzio non poteva che determinare la prassi contabile seguito dall’ente, che non appare censurabile” atteso che, “operando su mandato dei consorziati ma non il loro nome”, (1) “non poteva che fatturare direttamente agli enti committenti” e (2) “non poteva … che ricevere le fatture passive dai consorziati ai quali avesse eventualmente affidato lavori”;

– “il meccanismo individuato dall’art. 4 permetteva, inoltre, l’esistenza di una differenza tra Importi fatturati alla committente e importi fatturati da consorziati a Manital, creando così un margine operativo a copertura dei costi di struttura del Consorzio”:

“infatti il Consorzio partecipava all’appalto solamente dopo aver ricevuto offerte dalle proprie imprese, che potevano benissimo essere inferiori a quelle poi fatte dal Consorzio, svolgendo peraltro quest’ultimo tutta una serie di servizi a valore aggiunto” (“pratiche commerciali, … controlli di sicurezza, di coordinamento e direzione lavori …”) per cui “agli effetti pratici il singolo consorziato doveva fatturare al consorzio esclusivamente i lavori eseguiti, i cui corrispettivi assumevano rilevanza ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte dirette, secondo le ordinarie norme che reggono i tributi in parola”.

Secondo la Commissione Regionale, pertanto, “nel caso”, “non avendo l’amministrazione finanzia dato dimostrazione che Trend srl ha effettivamente ceduto beni o prestato servizi senza emissione di fattura nessuna censura alla società può essere mossa”; “così si può inoltre affermare per le operazioni attive del Consorzio nei confronti della consorziata Trend srl”: “nè può essere sostenuto che il consorzio sia un centro di imputazione di rapporti giuridici da ripartire per trasparenza, sotto specie di ricavi e costi, a tutti gli enti associati in relazione alla quota consortile sottoscritta” in quanto “tale impostazione esula dagli accordi e dalle intese che i consorziati hanno sottoscritto per regolare i reciproci rapporti tra loro sorti” e “non vi è stata dimostrazione da parte degli Enti accertatori che il Consorzio e le imprese consorziate (in numero notevole come è pacificamente emerso nel corso del processo) abbiano inteso, per comportamento concludente, perseguire lo scopo in parola” (“non vi è o non è provato alcun corrispettivo che non sia stato regolarmente coperto da fattura nei rapporti tra le parti”) per cui (“in sostanza”) “erroneamente l’ufficio ha ritenuto che, nonostante quanto sopra esposto, il contribuente avrebbe dovuto: (a) emettere fattura nei confronti del consorzio, pro quota, per il ribaltamento sui consorziati dei volumi di affari derivanti dai porgenti delle commesse; (b) emettere fattura nei confronti del consorzio non già per l’importo ricevuto bensì per quello maggiorato tenendo conto della maggiorazione applicata dal consorzio; (c) emettere autofattura, pro quota, per il ribaltamento dei costi specifici relativi alle commesse; (d) emettere fattura al consorzio in proporzione della quota consortile per il ribaltamento dei proventi per le commesse; (e) emettere autofattura per il ribaltamento dei costi specifici per le commesse cui la- ricorrente non ha partecipato; (f) emettere autofattura per i costi generici per le commesse, in proporzione ai lavori eseguiti; (g) emettere autofattura per le commesse eseguite direttamente al consorzio” “nè ancora ha alcuna importanza, diversamente da quanto prospettato dall’ufficio, ha la circostanza (pag. 10, 11, 12, 13) che alcune attività fossero dal Consorzio Manital delegate a Montaldea (Monitalidea) spa (assistenza gestionale, direzione lavori) sia perchè costi normalmente e regolarmente contabilizzati e fatturati, sia perchè operazioni del tutto neutre nei confronti di Trend srl, sia ancora perchè effettuate da soggetti dotati di autonomia patrimoniale e giuridica”.

2. L’Agenzia chiede di cassare la decisione per tre motivi.

A. Con il primo la ricorrente – premesso (a) che “ha proceduto ad accertare violazioni per l’IVA nei confronti della società consorziata sulla base di dati contabili aggregati del Consorzio per operazioni non fatturate ma assoggettabili a imposizione” e (b) che “la Guardia di Finanza ha appurato la lacunosità della contabilità di dettaglio della contribuente, verificando che i ricavi e i costi per le commesse eseguite dal Consorzio, di cui era partecipe la società, non erano stati formalmente ribaltati con fattura sull’impresa consorziata” – denunzia “violazione” del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis, comma 1, “nonchè” del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 5, e art. 55, commi 1 e 2, nn. 2) e 3), chiedendo (“quesito di diritto”);

“se alla … descritta fattispecie si applichi o no la norma giuridica, ricavata del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis, comma 1, nonchè dall’art. 54, comma 5, e art. 55, commi 1 e 2, nn. 2) e 3), del 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui l’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche nonchè dalle segnalazioni effettuati dalla Guardia di finanza risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, l’imposta o la maggiore imposta dovuta nonchè l’imposta o la maggiore imposta non versata ed è onere del contribuente dimostrare il diverso ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile che sono stati determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio quando dal verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha emesso le fatture per una parte rilevante delle operazioni ovvero non ha conservato, ha rifiutato di esibire o ha comunque sottratto all’ispezione, totalmente o per una parte rilevante, le fatture emesse e quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni o annotazioni accertate, ovvero le irregolarità formali dei registri e delle altre scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione, sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibile la contabilità del contribuente anzichè la diversa ed inesistente norma concretamente applicata dalla CTR, per la quale l’incompletezza della documentazione fornita agli accertatori non fa venir meno l’onere dell’Amministrazione di dimostrare il diverso ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile sulla base dei dati e delle notizie analiticamente raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio in base alla verifica fiscale dell’Amministrazione e non comporta che l’Amministrazione stessa possa limitarsi ad accertare l’imposta o la maggiore imposta dovuta nonchè l’imposta o la maggiore imposta non versata, con conseguente irrogazione di sanzioni, sulla base dei dati aggregati rinvenuti nella contabilità del Consorzio”.

B. Con la seconda doglianza l’Agenzia – premesso quanto già riportato nel precedente motivo – denunzia “violazione” del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, “in combinato disposto con gli artt. 2727 e 2729 c.c.” chiedendo “quesito di diritto”) “se alla presente fattispecie, in cui la CTR presuppone che V Agenzia avrebbe proceduto all’accertamento dell’IVA per presunzioni, si applichi o no la norma giuridica, ricavata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, in combinato disposto con gli artt. 2727 e 2729 c.c., secondo cui “ai fini dell’accertamento per l’IVA le omissioni e le inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordante, anzichè la diversa ed inesistente norma concretamente applicata dalla CTR, per la quale la prova presuntiva, ai fini dell’accertamento IVA, non è possibile in caso di omissione di fatturazione da parte della contribuente”.

C. Con il terzo (ultimo) motivo la ricorrente -“premesso” che: (1) essa (a) “aveva contestato violazioni per l’IVA alla … consorziata per operazioni esistenti, ma non fatturate nè autofatturate, desumibili dai dati contabili aggregati del Consorzio avente scopo soggettivamente non lucrativo, con conseguente maggior imponibile IVA” e (b) “aveva verificato che i ricavi e i costi per le commesse eseguite dal Consorzio con lo strumento del mandato senza rappresentanza delle consorziate non erano stati in realtà ribaltati sulla … consorziata, dato che il Consorzio, in veste di mandatario senza rappresentanza delle consorziate, percepiva dal committente un prezzo maggiore rispetto alla somma degli importi riversati dal Consorzio alla … consorziata”; (2) “la CTR era stata chiamata … a decidere sulla correttezza giuridica dei criteri seguiti dai verificatori per la ricostruzione dei costi e dei ricavi che dovevano essere ribaltati alla Consorziata e, in particolare, sulla conformità a legge della contabilità di Consorzio e consorziata, sulla procedura anomala di contabilizzazione dei costi e dei ricavi nonchè della documentazione attiva e passiva tra Consorzio e consorziata, e, da ultimo, sulla violazione della disciplina dell’IVA per effetto dell’utilizzo di criteri contabili difformi da quelli normativamente stabiliti, con un illegittimo effetto di compensazione tra operazioni attive e passive dei diversi soggetti coinvolti” – denunzia “violazione” del “combinato disposto degli artt. 1706, 1713 c.c., comma 1, artt. 1719, 1720 c.c., comma 1, degli artt. 1709, 2602, 2615 ter c.c. nonchè del principio generale dell’abuso del diritto desunto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 1, dall’art. 53 Cost. e dal principio di primazia del diritto comunitario in tema d’IVA, dell’art. 1241 c.c., dell’art. 1705 c.c. e dell’art. 3, comma 3, ultimo periodo, art. 6, comma 3, primo periodo, art. 13 commi 1 e 2, nonchè del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 1”, chiedendo (“quesito di diritto”) “se alla … descritta fattispecie si applichi o no la norma giuridica, ricavata dal combinato disposto degli artt. 1706, 1713, comma 1, artt. 1719, 1720 c.c., comma 1, degli artt. 1709, 2602, 2615 ter c.c., nonchè del principio generale dell’abuso del diritto desunto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 1, dall’art. 53 Cost. e dal principio di primazia del diritto comunitario in tema d’IVA, dell’art. 1241 c.c., dell’art. 1705 c.c. e degli art. 3, comma 3, ultimo periodo, art. 6, comma 3, primo periodo, art. 13, commi 1 e 2, nonchè del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui “nell’attività di una società consortile senza scopo di lucro soggettivo, che costituisca organizzazione comune di più imprenditori per lo svolgimento in comune di determinate fasi delle rispettive imprese attraverso lo strumento giuridico del mandato senza rappresentanza, il soggetto – consorzio e impresa consorziata – che effettua la cessione del bene e la prestazione del servizio deve emettere fattura per ciascuna operazione imponibile, incluse quelle per le quali è avvenuta compensazione tra una parte dei corrispettivi che sono stati corrisposti al consorzio/mandatario dal committente e che al mandante devono essere integralmente ribaltati dal consorzio/mandatario senza rappresentanza e il rimborso delle spese da quest’ultimo sostenute”, anzichè la diversa e inesistente norma concretamente applicata dalla CTR, per la quale nell’attività di un consorzio senza fine di lucro, operante attraverso lo strumento giuridico del mandato senza rappresentanza, per ciascuna operazione imponibile, il soggetto che effettua la cessione del bene e la prestazione del servizio, sia esso il consorzio o V impresa consorziata, non deve emettere fattura per la parte dei corrispettivi, che sono stati pagati al consorzio/mandatario dal committente e che materialmente non sono stati ribaltati dal consorzio al consorziato, ma che sono stati compensati col rimborso delle spese sostenute dal consorzio”.

3. il ricorso – i cui motivi, per la loro intima connessione, vanno esaminati congiuntamente – deve essere accolto perchè fondato.

A. In via preliminare va ribadito (Cass., trib., 28 ottobre 2009 n. 22790, la quale richiama “Cass. n. 8910/-2007”) che “il potere di organizzazione dell’impresa”, siccome “esercizio della libertà d’iniziativa economica” (art. 41 Cost.), consente (art. 2602 cod. civ. sostituito dalla L. 10 maggio 1976 n. 377, art. 1, per il cui comma 1 “con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”; art. 2615 ter cod. civ.:

“le società previste nei capi 3^ e seguenti del titolo 5^ possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602”);

che “un certo numero di società commerciali possa istituire, per mutuo accordo fra loro, un consorzio, dandogli la forma legale di società di capitali ed assegnandogli il compito di provvedere ad un certo ordine, concordato, di attività e di spese generali, genericamente utili all’intero gruppo ed a ciascuna consorziata, la cui gestione unitaria sia considerata economicamente vantaggiosa sotto gli aspetti dell’efficienza e della convenienza”.

Nella medesima decisione si è, altresì, rettamente statuito (2) che “… in materia tributaria, l’assunzione di obbligazioni consistenti, essenzialmente, nel demandare al consorzio, in esecuzione dei patti consortili, la gestione esclusiva di determinati affari d’interesse comune (…) e nel sopportarne la spesa pro quota, non spoglia l’impresa consorziata della propria soggettività giuridica e fiscale in ispecie” e (2) che “la parte di spesa affrontata da ciascuna società, in base al patto consortile, per assicurarsi i vantaggi derivanti dall’istituzione del consorzio, non ha in se stessa, indefettibilmente, la connotazione d’inerenza, ai sensi ed ai fini del cit. D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 5, essendo … ogni consorziata tenuta a dimostrare se, ed in quale misura, tale spesa sia stata effettivamente sostenuta dal consorzio e si riferisca (anche) ad attività o beni propri (inerenza), da cui siano derivati ricavi od altri proventi che abbiano concorso a formarne il reddito (Cass. n. 10257/2008)”: “in mancanza di tale dimostrazione, la spesa non sarà deducibile”.

Questa Corte – precisato che “la presenza di una società (consortile o meno) costituita nelle forme di una società di capitali (e, come tale, soggetto passivo d’imposta ai fini IRPEG: D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87) non esclude necessariamente la rìferibilità alle singole società sode delle attività poste in essere per il suo tramite”-, inoltre, ha chiarito (Cass., trib., 18 giugno 2008 n. 16410) che “i costi della società consortile … costituiscono costi propri delle consorziate quali spese affrontate dalle stesse consorziate per mezzo del consorzio” perchè la “società consortile …, per sua natura e funzione, oltre che per scopo, non ha un proprio interesse economico nè produce un reddito proprio”: “la società consortile”, infatti, “nei rapporti interni”, “è sempre e soltanto uno strumento operativo” per cui “le sue operazioni”, “nei confronti del fisco”, “sono operazioni proprie delle consociate che la hanno costituita”.

“Allo stesso modo” (è stato specificato) “la società consortile non affronta costi propri perchè tutti i costi, anche quelli per il mero funzionamento della società consortile, sono a carico delle società consociate”.

L'”adempimento dell’obbligo nascente dalla regolamentazione dei rapporti interni” – “che trova la sua fonte giuridica ed il suo fondamento nel contratto costitutivo della società consortile, assunto nello stesso da ciascuna impresa soda nei confronti della società, oltre che nei rapporti reciproci tra imprese sode, di fornire … alla società consortile le risorse finanziarie necessarie per l’esecuzione dei lavori” -, come noto, si ottiene, propriamente, con l'”operazione” detta di “riaddebito (o ribaltamento)”.

B. Dalla possibilità (“possono”), riconosciuta dal cit. art. 2615 ter cod. civ. (inserito dall’art. 4 della medesima legge n. 377 del 1976), per “le società previste nei capi 3^ e seguenti del titolo 5^” (quindi anche per una società di capitali quale il Consorzio MANITAL), di “assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602”, come già messo in luce nella sentenza 27 novembre 2003 n. 18113 (prima sezione), “sono derivate incertezze applicative ogni qual volta si è delineato un contrasto tra regole proprie del fenomeno consortile (ad esempio, in tema di recesso ed esclusione di un consorziato) e la disciplina corrispondente al tipo di società voluto dalla parti; contrasti non facilmente risolubili, soprattutto quando si tratti di società per azioni o a responsabilità limitata, per l’organizzazione ed il funzionamento delle quali è prevista dal codice una disciplina assai puntuale e spesso inderogabile”: in tale decisione si è affermato il principio secondo cui “se non può escludersi che a determinati affetti l’inserimento della causa consortile in una certa struttura societaria possa comportare un’implicita deroga ad alcune disposizioni altrimenti applicabili a quel particolare tipo di società, quando l’applicazione di quelle disposizioni si rivelasse incompatibile con aspetti essenziali del fenomeno consortile, di certo non si può ammettere che ne vengano stravolti i connotati fondamentali del tipo societario prescelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale”.

Siffatta affermazione, tenuto conto della natura pubblicistica (fiscale) dell’oggetto della controversia, va condivisa (e, perciò, ribadita) nei limiti in cui “i connotati … del tipo societario prescelto”, ritenuti “fondamentali”, non finiscano per eliminare od anche solo per eludere, nella sostanza, la “causa consortile” (od “aspetti essenziali del fenomeno consortile”) atteso che il volontario inserimento della “causa consortile” nella struttura societaria adottata, da parte dei consorziati, introduce necessariamente comunque una autolimitazione, almeno interna, delle disposizioni applicabili al “particolare tipo di società” prescelto:

quella “consortile” (nel senso indicato dall’art. 2602 cod. civ.), infatti, costituisce non solo “scopo” (come pure “oggetto”) della convezione negoziale, ma vera e propria “causa” giuridica del “contratto”, ovverosia il “requisito” (richiesto dall’art. 1325 cod. civ.) la cui non rispondenza (originaria o sopravvenuta) alla concreta realtà effettiva può assumere rilievo, in particolare, ai sensi del successivo art. 1344 (“si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”) se tesa a violare norme tributarie, attesa l’imperatività propria di queste.

C. Con le sentenze 23 dicembre 2008 nn. 30055, 30056 e 30057 – i cui principi sono stati condivisi da questa sezione nelle decisioni 9 dicembre 2009 n. 25726 e 13 gennaio 2011 nn. 686-690, tra le molte -, infatti, le sezioni unite di questa Corte dichiaratamente aderendo “all’indirizzo di recente affermatosi nella giurisprudenza della sezione tributaria (…, da ultimo, Cass. 10257/08, 25374/08)”) hanno confermato l'”esistenza”, nel vigente ordinamento fiscale, di un “generale principio antielusivo” la cui “fonte”, “in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano”), condivisibilmente osservando che “i principi di capacità contributiva … e di progressività dell’imposizione” di cui all’art. 53 Cost. ” costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi” per cui “non può non” (quindi deve) “ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”: “nè”, si è aggiunto, “siffatto principio può in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali”.

Nelle medesime decisioni, inoltre, si è precisato che ” il tema relativo all’esistenza, validità e opponibilità all’amministrazione del negozio” da cui deriva, nella sostanza, la pretesa fiscale “è acquisito al processo per effetto dell’allegazione da parte del contribuente” e che da tanto discende la “sicura rilevabilità d’ufficio delle eventuali cause di invalidità o di inopponibilità all’amministrazione del contratto stesso” (“sempre che, ovviamente, ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto o (nel giudizio di legittimità) dalla necessità di indagini di fatto”.

D. Per il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 13, comma 1 (il cui disposto è richiamato, sia pure indirettamente, dal giudice a quo con la dichiarata condivisione del “concetto … espresso in sede penale” che si rifà alla norma), ancora, “la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dati ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”; il secondo comma dello stesso articolo precisa che “agli effetti del comma 1 i corrispettivi sono costituiti … b) per i passaggi di beni dal committente al commissionario o dal commissionario al committente, di cui al numero 3) del art. 2, comma 2, rispettivamente dal prezzo di vendita pattuito dal commissionario, diminuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto pattuito dal commissionario, aumentato della provvigione; per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatali senza rappresentanza, di cui al terzo periodo dell’art. 3, comma 3, rispettivamente dal prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario, diminuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario, aumentato della provvigione”.

L’analisi della norma evidenzia che “per i passaggi di beni dal committente al commissionario o dal commissionario al committente” “d; cui al numero 3) del art. 2, comma 2”) e “per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza” la “provvigione” spettante al mandatario – il quale quando “agisce in nome proprio ma nell’interesse di altro soggetto” (“mandatario senza rappresentanza”), giusta anche l'”art. 6, quarto paragrafo, direttiva CEE 77-388 del 17 maggio 1977″, deve essere considerato (Cass., trib., 27 agosto 2001 n. 11267) quale “operatore in proprio” – costituisce sempre una componente da aggiungere o da sottrarre, a seconda del caso, al “prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario” e/o al “prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario”: discende che per la norma il “prezzo” (“di vendita”; “di acquisto”; “di fornitura del servizio”; “di acquisto del servizio”) eventualmente pattuito dal mandatario con il committente va considerato integralmente come “prezzo” dell’operazione economica, con la necessaria conseguenza logica che nessuna parte di questo può andare mai a beneficio e/o a danno del “mandatario”.

Il rilievo importa l’ulteriore corollario per il quale, come intuitivo, la “provvigione” del mandatario (quando effettivamente dovuta), a fini fiscali, acquista giuridica evidenza solo se ha una sua univoca e chiara rappresentazione, prima contabile e poi fiscale, come tale, nelle scritture del mandatario e del mandante.

Peraltro e comunque di “provvigione” e, correlativamente, di applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, può parlarsi solo in ipotesi di avvenuta corresponsione di una “provvigione”: è ben vero, infatti, che per l’art. 1709 cod. civ. “il mandato si presume oneroso”, ma è anche vero (Cass., 2^, 16 aprile 1987 n. 3774) che tale presunzione, siccome iuris tantum (Cass., 2^, 27 maggio 1982 n. 3233), può bene essere vinta dal complessivo comportamento della parti: comunque, attesa la posizione di terzo dell’erario, si deve sempre allegare e provare che vi è stata richiesta ed effettiva corresponsione di una provvigione al Consorzio, almeno da parte della impresa consorziata interessata dall’esecuzione di opere acquisite dallo stesso.

E. I principi richiamati (che vanno ribaditi perchè non contrastati da argomentazioni contrarie) e le osservazioni che precedono rendono evidente – attese (1) la necessità di salvaguardare, per la sua assoluta preminenza, il perseguimento dello scopo mutualistico proprio della pattuita “causaconsortile” e (2) l’assenza di qualsivoglia finalità lucrativa propria del Consorzio di cui all’art. 2602 cod. civ..

(a) l’erroneità (in diritto, giusta il principio richiamato al punto A secondo cui le “operazioni” della “società consortile”, “nei confronti del fisco”, “sono operazioni proprie delle consociate che la hanno costituita”, sicchè tale “società”, per sua natura, scopo e funzione, deve in defettibilmente operare, nei rapporti con le imprese consorziate, per “trasparenza”) (al) della tesi (sostenuta dal Consorzio e recepita dai giudici del merito) della legittimità dell’emissione, da parte della consorziata esecutrice della commessa, di “fatture di valore inferiore rispetto a quella della commessa fatturata dal Consorzio al committente onde coprire con la differenza i costi di gestione propri nonchè il funzionamento della organizzazione consortile” e, di implicito (ma necessario converso, essendosi al medesimo punto A ribadito che “la società consortile non affronta costi propri perchè tutti i costi, anche quelli per il mero funzionamento della società consortile, sono a carico delle società consociate”), (a2) della (tesi della) insindacabilità della scelta del Presidente del Consorzio di non addebitare costi dell’ente alle imprese consorziate, nonchè (b) l’illegittimità (con gli afferenti riflessi fiscali per tutte le parti coinvolte ed interessate) dell’omesso integrale ribaltamento economico (b1) dell’operazione eseguite da una o più imprese consorziate e, parimenti, (b2) dei componenti positivi e negativi (b2a) delle operazioni economiche eseguite in proprio dal Consorzio e (b2b) di quelle affidate all’esecuzione di terzi.

Il Consorzio (quale la MANITAL) nato dallo specifico contratto per le finalità (“organizzazione comune per la disciplina o per Io svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”) previste dall’art. 2602 cod. civ., invero, diversamente da quanto affermato (richiamando il “concetto” che assume espresso “in sede penale”) dalla Commissione Tributaria Regionale, non può e non deve avere (se vuole mantenere la qualità, soprattutto a fini fiscali) nessun “vantaggio economico … per sè” (cfr., supra, ancora sub A: “la società consortile …, per sua natura e funzione, oltre che per scopo, non ha un proprio interesse economico”) perchè tali vantaggi (come gli eventuali svantaggi) appartengono (in aderenza alla convenuta finalità negoziale) unicamente, sempre e solo, alle “imprese” consorziate.

F. In linea generale, ancora, va osservato che, a fini fiscali, la misura del ribaltamento, come naturale, deve considerare non solo le peculiarità del tipo societario adottato e, conseguentemente, le afferenti previsioni statutarie, ma anche tenuto conto della indefettibilità della “connotazione di inerenza” richiamata al n. (2) del punto A la sua legittimità fiscale alla luce del principio di “inerenza” alla consorziata della operazione ribaltata, dovendosi, peraltro, ritenere (giusta le osservazioni che precedono) sempre sussistente tale requisito in ipotesi di operazioni economiche eseguite o direttamente dal Consorzio o con l’ausilio di imprese terze, essendo queste ultime evidentemente (sempre per lo scopo mutualistico perseguito) inerenti a tutte le consorziate, anche in considerazione del corrispondente obbligo legale di ognuno di sopportare i costi gestionali del Consorzio.

G. La (ormai incontestabile, essendo ritenuta corretta anche dalla contribuente) riconduzione di tutta l’attività economica e giuridica svolta dal Consorzio in esecuzione dello “scopo consortile” ad un rapporto di “mandato senza rappresentanza”, conferito in via generale da ciascuna impresa consorziata, importa – in base al principio (Cass., 1^, 8 maggio 2009 n. 10590, la quale richiama la “giurisprudenza consolidata di legittimità, a far tempo da Cass. 18 aprile 1957 n. 1331; 28 luglio 1958 n. 2724 – cui più recentemente hanno fatto riscontro Cass. 28 luglio 1988 n. 2724; 29 maggio 1993 n. 6024; 28 settembre 1994 n. 7899; 14 ottobre 1995 n. 10.768; 23 giugno 1998 n. 6246; 27 novembre 1999 n. 13.261; 1 aprile 2003 n. 4886; 27 luglio 2004 n. 14.094”) secondo cui nel “nel rapporto fiduciario concorrono due negozi, il patto di fiducia e il mandato senza rappresentanza, l’uno dispositivo e l’altro, conseguente, di natura obbligatoria, distinti ma collegati funzionalmente, ognuno dei quali produce gli effetti suoi propri; collegamento in forza del quale il primo, di carattere esterno, determina il trasferimento di diritti ovvero la insorgenza di situazioni giuridiche in capo al fiduciario, mentre il secondo, di carattere interno, crea a carico di quest’ultimo l’obbligo di ritrasferire al fiduciante o al terzo il diritto” – che la eventuale mancata conoscenza (1) da parte dell’impresa consorziata esecutrice dei lavori dell’effettivo importo pattuito dal Consorzio con il committente esterno e (2) da parte di tutti i consorziati dell’ammontare complessivo delle commesse eseguite dal Consorzio mediante proprie strutture o con l’affidamento a imprese terze estranee al Consorzio, come (3) delle eventuali diverse e/o maggiori spese generali gestionali (in particolare quanto all’applicazione della norma del “art. 6, comma quartultimo dello statuto consortile” per il quale “le spese generali vengano ripartite in capo ai consorziati solo nel caso in cui il presidente ne decida la ripartizione stessa, previa convocazione dell’assemblea”), afferisce unicamente all’esatto adempimento del mandato da parte del mandatario (id est, la società consortile) e, quindi, relega la questione ai rapporti “interni” tra consorzio ed imprese consorziate perchè queste, tenuto conto della ineludibilità del più volte richiamato principio di “inerenza” nei confronti del fisco rispondono sempre e comunque di tutta l’attività economica ricon-ducibile a ciascuna.

H. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata perchè affetta dai vizi evidenziati e la causa va rinviata a sezione della Commissione Tributaria Regionale diversa da quella che ha pronunciato la decisione annullata affinchè la stessa (1) rinnovi l’esame dell’appello facendo applicazione degli enunciati principi in ordine al obbligo del Consorzio costituito per gli scopi previsti dall’art. 2602 cod. civ. di ribaltare sulle imprese consorziate – secondo i criteri di leggi (specie quanto all'”inerenza”) o quelli legittimamente fissati dallo statuto, se non elusivi (nel senso precisato al punto C.) delle norme fiscali – tutte le operazioni economiche da esso conseguite, che siano realizzate da una o più imprese consorziate oppure con strutture proprie o con impiego di imprese terze, e (2) provveda anche a regolare tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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