Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14781 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 05/07/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 05/07/2011), n.14781

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

la s.p.a. TELECONTROL VIGILANZA, con sede in (OMISSIS)) al Corso

(OMISSIS), in persona del (procuratore speciale del) legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla

Via Crescenzio n. 91;

presso lo studio dell’avv. LUCISANO Claudio che la rappresenta e

difende, insieme con gli avv. Natale MANGANO e Umberto GIARDINI (del

Foro di Torino) in forza della “procura speciale” rilasciata a

margine del controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 3/31/08 depositata il 26 febbraio 2008 dalla

Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 gennaio 2011

dal dr. Michele D’ALONZO);

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. Lorenzo Dr ASCIA

(dell’Avvocatura Generale dello Stato), per l’Agenzia, e dagli avv.

Claudio LUCISANO e Natale MANGANO, per la società;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. SEPE

Ennio Attilio, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla s.p.a. TELECONTROL VIGILANZA, l’AGENZIA delle ENTRATE- premesso che il suo Ufficio aveva notificato a detta società “avviso di accertamento e irrogazione sanzioni … emesso ai fini IVA e II.DD. per l’anno 1999 recante la seguente motivazione” (sintesi): “nel corso della verifica nei confronti della “MANITAL, Consorzio per i servizi Integrati “è emerso che esso ha adottato una procedura anomala (rispetto ad enti della stessa natura) di costi e dei ricavi nonchè della documentazione delle operazioni attive e passive ai fini IVA, determinando una omessa fatturazione ed una omessa regolarizzazione dei rapporti economici intervenuti con le consorziate”; “il Consorzio … ha operato come un’impresa commerciale con scopo di lucro anzichè quale ente associativo senza” (“sia lo Statuto sia l’attività effettivamente esercitata raffigura un consorzio operativo, con attività esterna, che agisce con mandato senza rappresentanza”); “è emerso inoltre che detto Consorzio acquisisce commesse che affida successivamente, in tutto od in parte, alle consorziate”; “il Consorzio in pratica fattura al committente il prezzo della commessa e riceve fattura, dalle sole consorziate cui sono affidati i lavori, per un importo inferiore di massima, del 25% rispetto al valore della medesima commessa”; dovendo si “i consorzi … intendere quali meri strumenti organizzativi dell’attività delle imprese consorziate”, “il consorzio non deve conseguire l’utile dell’opera, per poi dividerlo tra le imprese consorziate, ma deve restare estraneo al risultato (utile o perdita), che deve invece prodursi direttamente in capo alle imprese consorziate”;

“conseguentemente il consorzio deve: contabilizzare i costi costitutivi e di gestione fra i propri costi; contabilizzare i contributi periodici versati dalle imprese consorziate fra i propri ricavi nel conto economico, ad esclusione dei conferimenti di capitale che confluiscono nel fondo consortile dello Stato Patrimoniale; contabilizzare le somme provenienti dell’ente committente come debiti verso le imprese consorziate”; “inoltre, agendo il consorzio Manital sotto la forma di mandato senza rappresentanza, i terzi fornitori devono eseguire la fatturazione nei confronti del consorzio stesso”; “quest’ultimo provvede poi a ribaltare “pro quota” tra i consorziati gli oneri sostenuti, emettendo le relative fatture soggette ad IVA per prestazioni di servizi, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972″, art. 3; “inoltre, nell’ipotesi di operazioni attive, il consorzio stesso agendo solo per conto e non in nome dei singoli consorziati, deve, con normale fattura, assoggettare ad IVA i compensi corrisposti dai terzi”) “infine le imprese consorziate, all’atto della ripartizione dei compensi di loro pertinenza, devono a loro volta, fatturare con IVA al Consorzio”-, in forza di quattro motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 3/31/08 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (depositata il 26 febbraio 20 08) che aveva respinto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (40/16/06) della Commissione Tributaria Provinciale di Torino la quale aveva accolto il ricorso della contribuente.

Questa, nel proprio controricorso, instava per il rigetto dell’impugnazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione Tributaria Regionale- premessi i “rilievi sulla metodica della rilevazione contabile dei costi e ricavi” formulati dalla “G.d.F. nei confronti della Manital Consorzio per i servizi integrati” (“coinvolgendo anche il socio ricorrente”): (a) “operatività del consorzio”: “fattura del 100% del valore della commessa al committente”) “fattura del 75% del valore della commessa dal commissionario”; “differenza del 25% residuo a favore del consorzio, utilizzato per le esigenze di gestione”; (b) “operatività corretta secondo la G.d.F.”: “fattura del 100% del valore della commessa al committente”; “fattura del 100% del valore della commessa dal commissionario”; “fattura a copertura dei costi di gestione al commissionario”; esposto che: (1) secondo l’Ufficio “l’importo relativo al 25% risulta di L. 20.000.000( 000) somma che appariva esagerata per coprire i costi gestionali del consorzio stesso anche perchè, come poi ammesso dallo stesso ricorrente, il consorzio non ha mai eseguito direttamente o indirettamente commesse, implicito quindi che tale margine dovesse essere considerato, una volta dedotti i costi di funzionamento del consorzio quale utile”, per cui “il consorzio avrebbe dovuto inserire in rendiconto solo i costi gestionali che devono essere coperti dai contributi periodici versati dalle consorziate” mentre “gli importi incassati dai committenti erano invece da considerarsi debiti verso le consorziate e quindi dovevano essere semplicemente riversati ad esse” (mentre, “in tal modo”, “gli importi incassati per il pagamento delle commesse realizzate non transitavano nel rendiconto del consorzio e non determinavano utili o perdite d’esercizio”); 2) “la contribuente” aveva addotto (2a) “di non aver partecipato ad alcuna commessa” e (2b) “di non essere a conoscenza degli importi che sarebbero stati di propria competenza per i quali l’Ufficio ha contestato l’accertamento”-ha disatteso il gravame osservando:

– “l’errata operatività del Consorzio non autorizza, senza ulteriori riscontri di supporti contabili, quali versamenti delle differenze ai vari soci del consorzio, e quindi incassi effettuati dagli stessi evidenziati dai vari conti bancari, a imputare la mancanza di fatturazione al contribuente”;

“il contribuente non ha partecipato ad alcuna commessa e non era a conoscenza degli importi da attribuire a seguito della ripartizione”.

2. L’Agenzia chiede di cassare la decisione per quattro motivi.

A. Nel primo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2602 e ss. c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, degli artt. 1241 e ss. c.c.”, racchiudendo la doglianza nel “quesito” (ex art. 366 bis c.p.c.) “se sia errata, per violazione dell’art. 2602 c.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, la sentenza del giudice tributario che annulli un atto con cui l’Amministrazione Finanziaria rilevi il mancato versamento dell’IVA dovuta da parte di una impresa partecipante a un consorzio, qualora la sentenza escluda, a dispetto della natura mutualistica del consorzio e di quanto previsto dallo statuto consortile, e a prescindere dalla titolarità del consorzio di una autonoma organizzazione con la quale esegua anche in proprio alcune commesse (assegnandone altre alle consorziate), che il consorzio avesse un obbligo di ribaltare sulle consorziate (con conseguente fatturazione e autofatturazione per ciascuna consorziata, tra cui l’odierna intimata) tutti i costi generali di gestione e i costi specifici relativi alle singole commesse, e che la mancata fatturazione di tale ribaltamento, come anche del ribaltamento degli utili (mai distribuiti alle consorziate), postulando un ribaltamento di costi e utili realizzato in maniera occulta con il meccanismo della compensazione, costituisca violazione degli obblighi di fatturazione e autofatturazione, ed evasione dell’imposta sul valore aggiunto”.

B. L’Agenzia- esposto di aver “contestato violazioni per l’IVA 1999 nei confronti della società consorziata, in presenza di elementi” (“i dati contabili aggregati del Consorzio”) “che consentivano di stabilire l’esistenza di operazioni che avrebbero dovuto essere assoggettate ad imposizione e che, invece, non sono state fatturate e che, in proposito, la Guardia di Finanza ha appurato la lacunosità della contabilità della Contribuente, soprattutto con riguardo ai ricavi e ai costi derivanti dall’esecuzione delle commesse miste, verificando che i ricavi e i costi per le commesse eseguite dal Consorzio, di cui era partecipe la società, non erano stati ribaltati sull’impresa consorziata”-, di poi (secondo motivo), denunzia “violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, comma 1, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, e art. 55, commi 1 e 2, nn. 2) e 3),”, sintetizzata nel “quesito” “se alla …

descritta fattispecie si applichi o meno la norma giuridica, ricavata dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis, comma 1, nonchè dall’art. 54, comma 5, e art. 55, commi 1 e 2 nn. 2) e 3), del 26.10.1972, n. 633, secondo cui l’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche nonchè dalle segnalazioni effettuate dalla Guardia di finanza risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, l’imposta o la maggiore imposta dovuta nonchè l’imposta o la maggiore imposta non versata ed è onere del contribuente dimostrare il diverso ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile che sono stati determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio quando dal verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha emesso le fatture per una parte rilevante delle operazioni ovvero non ha conservato, ha rifiutato di esibire o ha comunque sottratto all’ispezione, totalmente o per una parte rilevante, le fatture emesse e quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni o annotazioni accertate, ovvero le irregolarità formali dei registri e delle altre scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione, sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibile la contabilità del contribuente; e ciò anzichè la diversa ed inesistente norma concretamente applicata dalla CTR, per la quale, anche di fronte all’incompletezza della documentazione fornita agli accertatori dell’Amministrazione, è onere dell’Amministrazione dimostrare il diverso ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile che sono stati determinati sulla base dei dati e delle notizie analiticamente raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio in base alla verifica fiscale”.

C. Nella terza censura l’ente impositore lamenta che la “motivazione” della sentenza impugnata “è insufficiente” in ordine al “fatto” (“decisivo e controverso”) “se il consorzio Manital, nelle commesse eseguite dalle consorziate, abbia applicato il ricarico medio del 25% per il 1999 rispetto al prezzo delle singole prestazioni effettuate dalle consorziate, e se tale ricarico medio costituisse una forma di compensazione con il mancato ribaltamento dei costi specifici e generali di gestione affrontati dal consorzio nell’esercizio della sua attività” perchè “la CTR stigmatizza la mancata allegazione di prove, da parte dell’Ufficio, circa pretesi versamenti degli utili conseguiti dalle commesse, che il Consorzio avrebbe effettuato in favore delle consorziate” ma “ne fare ciò, tuttavìa, non esplicita alcun argomento logico che consenta di rendere quell’affermazione compatibile col dato di fatto, allegato dalla Guardia di Finanza e ripreso dall’Ufficio, del ricarico del 25% riscontrabile matematicamente dal raffronto tra le fatturazioni del Consorzio verso i committenti e quelle delle consorziate verso il Consorzio”.

D. Nel quarto (ultimo) l’Agenzia denunzia ulteriore “insufficiente motivazione” quanto al “fatto decisivo della controversia” secondo cui “la Manital operava un ribaltamento “occulto” dei costi di gestione sulla base di un accordo tacito che vedeva le consorziate (tra cui l’… intimata) percepire (e fatturare) una somma inferiore rispetto a quanto loro spettante si a per le commesse eseguite sia in generale per la partecipazione al consorzio” esponendo le seguenti “ragioni per cui la motivazione è insufficiente”:

“la motivazione si limita a stigmatizzare gli insufficienti riscontri di supporti contabili a suo avviso necessari per provare il versamento di utili dal Consorzio alla società consorziata, e a menzionare la mancata partecipazione della Telecontrol Vigilanza a commesse per l’anno 1999, entrambi elementi che in nessun modo incidono sull’assenza di finalità di lucro e sull’obbligo conseguente in capo al Consorzio di ribaltare utili e costi sui consorziati: ciò non basta a spiegare le ragioni per cui sia da escludere che il ribaltamento (in ogni caso non vietato dallo Statuto) venisse comunque effettuato in via occulta, attraverso lo strumento della compensazione, non spiegando, la motivazione, a che titolo il consorzio Manital applicasse un ricarico su quanto corrisposto alle consorziate per commesse eseguite dalle consorziate, rispetto alle quali fungeva da mero intermediario con il committente;

non chiarendo, ancora, la motivatone, se, considerata la sua natura di mero mandatario senza rappresentanza senza scopo di lucro, il ricarico incamerato da parte del consorzio spettasse in realtà alle consorziate che avevano prestato la loro attività per la esecuzione della commessa; nè precisando la motivazione se i costi per le commesse eseguite direttamente dal consorzio venissero ribaltati sulle consorziate mediante l’incameramento degli utili realizzati con le stesse, a loro volta non ribaltati sulle consorziate”.

3. La società, dal suo canto, espone il seguente “funzionamento del consorzio”:

– “l’oggetto istituzionale del consorzio è amplissimo”; “l’art. 3 dello statuto elenca venticinque categorie di attività assai eterogenee vantaggiose per la generalità delle imprese consorziate”;

– “l’art. 3, comma 2, chiarendo la funzione tipicamente consortile dell’ente, prevede … che il Consorzio può svolgere ” in nome proprio o, se del caso, a nome dei consorziati, ma sempre nel loro interesse”, i seguenti compiti” (omissis);

– “il Consorzio, … allo scopo di attuare i fini statutari …, promuove, organizza e distribuisce tra i consorziati le commesse acquisite da terzi, nei confronti dei quali assume la qualità e la natura di contraente in proprio, senza spendere il nome dei consorziati”; “le commesse acquisite vengono assegnate per la loro esecuzione a quei consorziati che sono prescelti secondo i criteri fissati dal regolamento”;

– “il Consorzio, tuttavia, ha eseguito, in alcuni casi, direttamente, in anni precedenti a quelli accertati, anche lavori di manutenzione edile, avvalendosi di un suo proprio apparato aziendale, progressivamente dismesso a favore delle imprese consorziate e, infine, dopo la sua costituzione, a Manitalidea s.p.a., subentrata di fatto al Consorzio nello svolgimento dei predetti lavori”;

– “in alcuni casi, il Consorzio ha altresì assegnato a terzi non consorziati, parte delle commesse che i consorziati medesimi non potevano svolgere per mancanza del possesso dei requisiti”;

– “per l’assegnazione e l’esecuzione dei lavori ai fini di una corretta selezione e distribuzione delle commesse tra i consorziati è vincolante l’art. 1 del regolamento approvato dall’assemblea consortile nell’adunanza del 4 luglio 1997, … che … dispone:

“ogni attività produttiva svolta dal Consorzio Manital…, tramite le imprese consorziate assegnatane …, per conto di Enti pubblici o privati in generale o di singoli privati … potrà riguardare sia la prestazione di servizi che l’esecuzione di opere” (omissis);

– “il Consorzio, considerata la sua rilevanza esterna, agisce autonomamente stipulando contratti d’appalto in proprio e scegliendo successivamente, in base al regolamento, le imprese consorziate alle quali affidare l’esecuzione dell’opera commessa dal terzo” (“l’art. 5 del regolamento fissa i canoni per l’assegnazione dei lavori alle imprese affidatarie”);

– “i rapporti del Consorzio con le committenti e con le imprese consorziate assegnatarie dei lavori riflettono, sia sotto il profilo fiscale, sia sotto quello civilistico, una perfetta concordanza con la realtà effettiva della fattispecie”: “il Consorzio emette fatture nei riguardi del committente al momento del pagamento dei compensi negozialmente stabiliti”? “successivamente l’impresa assegnataria, con modalità assolutamente identiche, provvede ad assoggettare ad IVA le somme ricevute dal Consorzio a titolo di corrispettivo, secondo gli accordi specificamente conclusi”; “il rapporto tra il Consorzio e le imprese assegnatarìe, è regolato da specifiche intese (trasfuso in un atto scritto regolante il rapporto che sorge dall’affidamento dei lavori); in tale contesto l’impresa assegnataria dei lavori è controparte contrattuale del consorzio che ha esaurito, con l’assegnazione, la funzione solidaristica risultando nella fase successiva controparte contrattuale e non un mero coordinatore di attività (rapporto endoconsortile)”; “tale rapporto è documentato negli atti costituivi e regolamentari (art. 3, lett. e) che attribuiscono al Consorzio il compito non solo di “organizzare, coordinare, disciplinare il flusso delle commesse, l’esecuzione dei lavori, dei servizi e in genere l’attività d’impresa dei consorziati”, curando i rapporti con i committenti, ma anche di “assegnare le prestazioni oggetto dei lavori ai consorziati …, secondo le rispettive esperienze professionali e la ripartizione tra gli stessi convenuti””; “ulteriore riprova è contenuta nell’art. 7, comma 5, laddove è stabilito che “i soci direttori” (… che coadiuvano il Consorzio nel compimento dei suoi doveri istituzionali) “devono inoltre garantire che le attività intraprese dai singoli siano accuratamente rispettose delle procedure e delle metodologie prescritte in modo che ogni attività intrapresa costituisce elemento di promozione per le altre”; “anche il settimo comma costituisce una palese affermazione dei rapporti descritti disponendo che “nell’affidamento delle quote di lavori acquisiti dal Consorzio …

il Consorzio è altresì impegnato a garantire: a favore di ogni singolo consorziato: che sia garantita la sua attività nel Comune dove è la sua sede operativa; a favore degli altri o di tutti i consorziati: che l’attività garantita ai singoli consorziati, di cui al precedente sub a), non pregiudichi l’interesse generale del Consorzio …”;

– “il regolamento del Consorzio ha appunto la finalità di disciplinare l’assegnazione ed il compimento dei lavori potendosi ravvedere, peraltro, nel negozio tra Consorzio ed impresa affidataria un’ intesa in tutto simile, nella sostanza, ad un contratto d’opera distinto dall’appalto affidato al Consorzio, anche se a questo casualmente connesso”;

– “in perfetta congruenza con il quadro descritto, che contempla due eventi negoziali simmetrici, ma del tutto separati (l’uno con il committente, l’altro con l’affidataria) , dei quali è parte, su versanti opposti, il Consorzio, il corrispettivo, nei due casi, non è lo stesso e non lo può neppure essere”: “il rapporto che si instaura con l’impresa consorziata, infatti, fissa il prezzo che il Consorzio si impegna a corrispondere e consente, da un lato, di assicurare alla controparte negoziale (ossia al consorziato esecutore dei lavori) un guadagno giusto e dall’altro lato, garantisce al Consorzio stesso un sostegno finanziario sufficiente a coprire le spese per lo svolgimento delle funzioni istituzionali e concludere in pareggio i conti dell’ente medesimo”; “il compenso extraconsortile rappresentato dal corrispettivo del committente e quello inferiore che intercorre tra Consorzio e consorziato, rappresentano due negozi contestuali ma assolutamente distinti” (“in tal modo il Consorzio, con la ricerca del committente con il quale stipula il contratto, soddisfa i fini di solidarietà”; “successivamente, regola il suo rapporto con l’impresa consorziata scelta, impegnandosi a corrispondere un prezzo, che consente per un verso all’impresa consorziata di ottenere un giusto compenso e per altro verso garantisce al Consorzio un sostegno finanziario sufficiente a coprire i costi relativi all’attività istituzionale”).

Per la contribuente “la situazione è stata oggetto di equivoco da parte della Guardia di Finanza” non avendo questa recepito “la realtà effettiva del Consorzio ignorando la disciplina statutaria e regolamentare e conseguentemente gli aspetti contabili e fiscali che ne discendono”.

4. Il ricorso dell’Agenzia- i cui motivi, per la loro intima connessione, vanno esaminati congiuntamente- deve essere accolto.

A. In via preliminare va ribadito (Cass., trib., 28 ottobre 2009 n. 22790, la quale richiama “Cass. n. 8910/-2007”) che “il potere di organizzazione dell’impresa”, siccome “esercizio della libertà d’iniziativa economica” (art. 41 Cost.), consente (art. 2602 cod. civ. sostituito dalla L. 10 maggio 1976, n. 377, art. 1, per il cui comma 1 “con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono una organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”; art. 2615 ter cod. civ.:

“le società previste nei capi 3^ e seguenti del titolo 5^ possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602”) che “un certo numero di società commerciali possa istituire, per mutuo accordo fra loro, un consorzio, dandogli la forma legale di società di capitali ed assegnandogli il compito di provvedere ad un certo ordine, concordato, di attività e di spese generali, genericamente utili all’intero gruppo ed a ciascuna consorziata, la cui gestione unitaria sia considerata economicamente vantaggiosa sotto gli aspetti dell’efficienza e della convenienza”.

Nella medesima decisione si è, altresì, rettamente statuito (1) che “…in materia tributaria, l’assunzione di obbligazioni consistenti, essenzialmente, nel demandare al consorzio, in esecuzione dei patti consortili, la gestione esclusiva di determinati affari d’interesse comune (…) e nel sopportarne la spesa pro quota, non spoglia l’impresa consorziata della propria soggettività giuridica e fiscale in ispecie” e (2) che “la parte di spesa affrontata da ciascuna società, in base al patto consortile, per assicurarsi i vantaggi derivanti dall’istituzione del consorzio, non ha in se stessa, indefettibilmente, la connotazione d’inerenza, ai sensi ed ai fini del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 5, cit. T.U.I.R., essendo … ogni consorziata tenuta a dimostrare se, ed in quale misura, tale spesa sia stata effettivamente sostenuta dal consorzio e si riferisca (anche) ad attività o beni propri (inerenza), da cui siano derivati ricavi od altri proventi che abbiano concorso a formarne il reddito (Cass. n. 10257/2008)”: “in mancanza di tale dimostrazione, la spesa non sarà deducibile”.

Questa Corte – precisato che “la presenza di una società (consortile o meno) costituita nelle forme di una società di capitali (e, come tale, soggetto passivo d’imposta ai fini IRPEG: D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87) non esclude necessariamente la riferibilità alle singole società sode delle attività poste in essere per il suo tramite”-, inoltre, ha chiarito (Cass., trib., 18 giugno 2008 n. 16410) che “i costi della società consortile … costituiscono costi propri delle consorziate quali spese affrontate dalle stesse consorziate per mezzo del consorzio” perchè la “società consortile …, per sua natura e funzione, oltre che per scopo, non ha un proprio interesse economico nè produce un reddito proprio” : “la società consortile”, infatti, “nei rapporti interni”, “è sempre e soltanto uno strumento operativo” per cui “le sue operazioni”, “nei confronti del fisco”, “sono operazioni proprie delle consociate che la hanno costituita”.

“Allo stesso modo” (è stato specificato) “la società consortile non affronta costi propri perchè tutti i costi, anche quelli per il mero funzionamento della società consortile, sono a carico delle società consociate”.

L'”adempimento dell’obbligo nascente dalla regolamentazione dei rapporti interni”- “che trova la sua fonte giuridica ed il suo fondamento nel contratto costitutivo della società consortile, assunto nello stesso da ciascuna impresa soda nei confronti della società, oltre che nei rapporti reciproci tra imprese sode, di fornire … alla società consortile le risorse finanziarie necessarie per l’esecuzione dei lavori”-, come noto, si ottiene, propriamente, con l'”operazione” detta di “riaddebito (o ribaltamento)”.

B. Dalla possibilità (“possono”) , riconosciuta dal cit. art. 2615 ter cod. civ. (inserito dalla citata L. n. 377 del 1976, art. 4), per “le società previste nei capi 3^ e seguenti del titolo 5^” (quindi anche per una società di capitali quale il Consorzio MANITAL) , di “assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’articolo 2602”, come già messo in luce nella sentenza 27 novembre 2003 n. 18113 (prima sezione) , “sono derivate incertezze applicative ogni qua volta si è delineato un contrasto tra regole proprie del fenomeno consortile (ad esempio, in tema di recesso ed esclusione di un consorziato) e la disciplina corrispondente al tipo di società voluto dalla parti; contrasti non facilmente risolubili, soprattutto quando si tratti di società per azioni o a responsabilità limitata, per l’organizzazione ed il funzionamento delle quali è prevista dal codice una disciplina assai puntuale e spesso inderogabile”: in tale decisione si è affermato il principio secondo cui “se non può escludersi che a determinati affetti l’inserimento della causa consortile in una certa struttura societaria possa comportare un’implicita deroga ad alcune disposizioni altrimenti applicabili a quel particolare tipo di società, quando l’applicazione di quelle disposizioni si rivelasse incompatibile con aspetti essenziali del fenomeno consortile, di certo non si può ammettere che ne vengano stravolti i connotati fondamentali del tipo societario prescelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale”.

Siffatta affermazione, tenuto conto della natura pubblicistica (fiscale) dell’oggetto della controversia, va condivisa (e, perciò, ribadita) nei limiti in cui “i connotati… del tipo societario prescelto”r ritenuti “fondamentali”, non finiscano per eliminare od anche solo per eludere, nella sostanza, la “causa consortile” (od “aspetti essenziali del fenomeno consortile”) atteso che il volontario inserimento della “causaconsortile” nella struttura societaria adottata, da parte dei consorziati, introduce necessariamente comunque una autolimitazione, almeno interna, delle disposizioni applicabili al “particolare tipo di società” prescelto:

quella “consortile” (nel senso indicato dall’art. 2602 cod. civ.), infatti, costituisce non solo “scopo” (come pure “oggetto”) della convezione negoziale, ma vera e propria “causa” giuridica del “contratto”, ovverosia il “requisito” (richiesto dall’art. 1325 cod. civ.) la cui non rispondenza (originaria o sopravvenuta) alla concreta realtà effettiva può assumere rilievo, in particolare, ai sensi del successivo art. 1344 (” si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”) se tesa a violare norme tributarie, attesa l’imperatività propria di queste.

C. Con le sentenze 23 dicembre 2008 nn. 30055, 30056 e 30057- i cui principi sono stati condivisi da questa sezione nelle decisioni 9 dicembre 2009 n. 25726 e 13 gennaio 2011 nn. 686-690, tra le molte-, infatti, le sezioni unite di questa Corte dichiaratamente aderendo “all’indirizzo di recente affermatosi nella giurisprudenza della sezione tributaria (…, da ultimo, Cass. 10257/08, 25374/08)” hanno confermato l'”esistenza”, nel vigente ordinamento fiscale, di un “generale principio antielusivo” la cui “fonte”, “in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano” , condivisibilmente osservando che “i principi di capacità contributiva … e di progressività dell’imposizione” di cui all’art. 53 Cost. “costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi” per cui “non può non” (quindi deve) “ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dell’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”: “nè”, si è aggiunto, “siffatto principio può in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali”.

Nelle medesime decisioni, inoltre, si è precisato che “il tema relativo all’esistenza, validità e opponibilità all’amministrazione del negozio” da cui deriva, nella sostanza, la pretesa fiscale “è acquisito al processo per effetto dell’allegazione da parte del contribuente” e che da tanto discende la “sicura rilevabilità d’ufficio delle eventuali cause di invalidità o di inopponibilità all’amministrazione del contratto stesso” “sempre che, ovviamente, ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto o (nel giudizio di legittimità) dalla necessità di indagini di fatto”.

D. I principi richiamati (che vanno ribaditi perchè non contrastati da argomentazioni contrarie) e le osservazioni che precedono rendono evidente- attese (1) la necessità di salvaguardare, per la sua assoluta preminenza, il perseguimento dello scopo mutualistico proprio della pattuita “causa consortile” e (2) l’assenza di qualsivoglia finalità lucrativa propria del Consorzio di cui all’art. 2602 cod. civ.-.

(a) l’erroneità (in diritto, giusta il principio richiamato al punto A secondo cui le “operazioni” della “società consortile”, “nei confronti del fisco”, “sono operazioni proprie delle consociate che la hanno costituita”, sicchè tale “società”, per sua natura, scopo e funzione, deve in defettibilmente operare, nei rapporti con le imprese consorziate, per “trasparenza”) (a1) della tesi della legittimità dell’emissione, da parte della consorziata esecutrice della commessa, di “fatture di valore inferiore rispetto a quella della commessa fatturata dal Consorzio al committente onde coprire con la differenza i costi di gestione propri nonchè il funzionamento della organizzazione consortile” e, di implicito (ma necessario converso, essendosi al medesimo punto A ribadito che “la società consortile non affronta costi propri perchè tutti i costi, anche quelli per il mero funzionamento della società consortile, sono a carico delle società consociate”), (a2) della (tesi della) insindacabilità della scelta del Presidente del Consorzio di non addebitare costi dell’ente alle imprese consorziate, nonchè (b) l’illegittimità (con gli afferenti riflessi fiscali per tutte le parti coinvolte ed interessate) dell’omesso integrale ribaltamento economico b1) dell’operazione eseguite da una o più imprese consorziate e, parimenti, b2) dei componenti positivi e negativi (b2a) delle operazioni economiche eseguite in proprio dal Consorzio e (b2b) di quelle affidate all’esecuzione di terzi.

Il Consorzio (quale la MANITAL) nato dallo specifico contratto per le finalità (“organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”) previste dall’art. 2602 cod. civ., invero, non può e non deve avere (se vuole mantenere la qualità, soprattutto a fini fiscali) nessun “vantaggio economico … per sè” (cfr., supra, ancora sub A: “la società consortile …, per sua natura e funzione, oltre che per scopo, non ha un proprio interesse economico”) perchè tali vantaggi (come gli eventuali svantaggi) appartengono (in aderenza alla convenuta finalità negoziale) unicamente, sempre e solo, alle “imprese” consorziate.

E. In linea generale, ancora, va osservato che, a fini fiscali, la misura del ribaltamento, come naturale, deve considerare non solo le peculiarità del tipo societario adottato e, conseguentemente, le afferenti previsioni statutarie, ma anche tenuto conto della indefettibilità della “connotazione di inerenza” richiamata al n. (2) del punto A la sua legittimità fiscale alla luce del principio di “inerenza” alla consorziata della operazione ribaltata, dovendosi, peraltro, ritenere (giusta le osservazioni che precedono) sempre sussistente tale requisito in ipotesi di operazioni economiche eseguite o direttamente dal Consorzio o con l’ausilio di imprese terze, essendo queste ultime evidentemente (sempre per lo scopo mutualistico perseguito) inerenti a tutte le consorziate, anche in considerazione del corrispondente obbligo legale di ognuno di sopportare i costi gestionali del Consorzio.

F. La (ormai incontestabile, essendo ritenuta corretta anche dalla contribuente) riconduzione di tutta l’attività economica e giuridica svolta dal Consorzio in esecuzione dello “scopo consortile” ad un rapporto di “mandato senza rappresentanza”, conferito in via generale da ciascuna impresa consorziata, importa – in base al principio (Cass., 1^, 8 maggio 2009 n. 10590, la quale richiama la “giurisprudenza consolidata di legittimità, a far tempo da Cass. 18 aprile 1957”. 1331; 28 luglio 1958 n. 2724 – cui più recentemente hanno fatto riscontro Cass. 28 luglio 1988 n. 2724; 29 maggio 1993 n. 6024; 28 settembre 1994 n. 7899; 14 ottobre 1995 n. 10.768; 23 giugno 1998 n. 6246; 27 novembre 1999 n. 13.261; 1 aprile 2003 n. 4886; 27 luglio 2004 n. 14.094″) secondo cui nel “nel rapporto fiduciario concorrono due negozi, il patto di fiducia e il mandato senza rappresentanza, l’uno dispositivo e l’altro, conseguente, di natura obbligatoria, distinti ma collegati funzionalmente, ognuno dei quali produce gli effetti suoi propri; collegamento in forza del quale il primo, di carattere esterno, determina il trasferimento di diritti ovvero la insorgenza di situazioni giuridiche in capo al fiduciario, mentre il secondo, di carattere interno, crea a carico di quest’ultimo l’obbligo di ritrasferire al fiduciante o al terzo il diritto”- che la eventuale mancata conoscenza (2) da parte dell’impresa consorziata esecutrice dei lavori dell’effettivo importo pattuito dal Consorzio con il committente esterno e (2) da parte di tutti i consorziati dell’ammontare complessivo delle commesse eseguite dal Consorzio mediante proprie strutture o con l’affidamento a imprese terze estranee al Consorzio, come (3) delle eventuali diverse e/o maggiori spese generali gestionali (in particolare quanto all’applicazione della norma del “art. 6, comma quartultimo, dello statuto consortile” per il quale “le spese generali vengano ripartite in capo ai consorziati solo nel caso in cui il presidente ne decida la ripartizione stessa, previa convocazione dell’assemblea”), afferisce unicamente all’esatto adempimento del mandato da parte del mandatario (id est, la società consortile) e, quindi, relega la questione ai rapporti “interni” tra consorzio ed imprese consorziate perchè queste, tenuto conto della ineludibilità del più volte richiamato principio di “inerenza”, nei confronti del fisco rispondono sempre e comunque di tutta l’attività economica riconducibile a ciascuna.

G. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata perchè affetta dai vizi evidenziati e la causa va rinviata a sezione della Commissione Tributaria Regionale diversa da quella che ha pronunciato la decisione annullata affinchè la stessa- tenuto conto dell'(ormai) irreversibile (perchè non contestato dalla ricorrente) accertamento fattuale concernente la mancata partecipazione della contribuente “ad alcuna commessa”, contenuto nella sentenza impugnata (1) rinnovi l’esame dell’appello facendo applicazione degli enunciati principi in ordine al obbligo del Consorzio costituito per gli scopi previsti dall’art. 2602 cod. civ. di ribaltare sulle imprese consorziate- secondo i criteri di leggi (specie quanto all'”inerenza”) o quelli legittimamente fissati dallo statuto, se non elusivi (nel senso precisato al punto C.) delle norme fiscali – tutte le operazioni economiche da esso conseguite, che siano realizzate con strutture proprie o con impiego di imprese terze, e (2) provveda anche a regolare tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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