Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14780 del 18/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 18/06/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 18/06/2010), n.14780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29611-2006 proposto da:

C.M., C.L., (eredi di

C.F.), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. P.

DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato CIALDINI CRISTINA

MARIA, rappresentati e difesi dall’avvocato STEFANELLI LIVIO, giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

CA.MA., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.

PIERLUIGI DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato FABIO

FRANCESCO FRANCO, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANELLI

TIZIANA, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3/2006 del TRIBUNALE di BRINDISI, depositata

il 14/07/2006 R.G.N. 118/92;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Brindisi con sentenza 14 luglio 2006, in accoglimento dell’appello proposto da Ca.Ma. nei confronti di C.F., dichiarava che il debito residuo di Ca.

M. a favore di C.F. ammontava alla data del 31/10/2004 ad Euro 8.316,92 comprensivo d’interessi e rivalutazione,oltre le spese della procedura esecutiva.

I giudici di secondo grado, rigettata l’eccezione di giudicato perchè nessuna sentenza risultava emessa tra le parti con oggetto la opposizione alla esecuzione immobiliare in quanto quelle richiamate riguardavano l’opposizione agli atti esecutivi, ritenevano avente valore di giudicato esterno, ai fini della opposizione all’esecuzione trattata, quella del giudice del lavoro che aveva condannato il datore di lavoro – Ca.Ma. come modificata in appello, al pagamento in favore del lavoratore – C.F.- di somme di danaro. Detti giudici, qualificato il ricorso introduttivo del giudizio come opposizione all’esecuzione in quanto la Ca.

aveva chiesto la quantificazione del credito residuo sostenendo che a seguito dei versamenti effettuati nel corso del giudizio di esecuzione nessuna somma fosse dovuta, rilevavano che erroneamente il Pretore aveva dichiarato la nullità del ricorso di primo grado per genericità in quanto risultava dalla lettura dell’atto sia il petitum che la causa petendi della opposizione. Tutto ciò premesso i giudici di appello sulla base della espletata consulenza tecnico- contabile pervenivano alla determinazione del debito residuio della Ca..

Avverso tale sentenza C.M. e c.m., quali eredi di C.F., ricorrono in cassazione sulla base di otto censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso Ca.Ma. che deposita memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima censura i ricorrenti, deducendo violazione degli artt. 329, 342 e 346 c.p.c. e art. 2909 c.c. nonchè vizio di motivazione, pongono, ex art. 366 bis c.p.c. così come introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il relativo quesito di diritto.

La censura è inammissibile.

Invero, secondo conforme giurisprudenza di legittimità è inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366-bis c.p.c. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione) giacchè si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma collocazione (V. Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e Cass. 23 luglio 2008 n. 20355 cui adde, nello stesso senso, Cass. 29 febbraio 2008 n. 5471).

Nella specie vi è appunto la contemporanea deduzione di violazione di legge e vizi di motivazione.

Del resto, pur volendo accedere all’orientamento meno restrittivo che, senza tener conto dei contrari specifici precedenti, ha ritenuto l’ammissibilità del ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, qualora lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (Cass. S.U. 31 marzo 2009 n. 7770), difetta nella specie la formulazione della richiamata pluralità di quesiti nel senso innanzi precisato.

Peraltro il quesito di diritto alla stregua della sua formulazione risulta generico essendosi i ricorrenti limitati a riprodurre il contenuto del precetto di legge, così come interpretato dalla giurisprudenza di. questa Corte, senza indicare la fattispecie concreta su cui detto principio dovrebbe trovare applicazione.

La giurisprudenza di questa Corte è, difatti, univocamente orientata nel ritenere che il quesito di cui trattasi è inadeguato, con conseguente inammissibilità dei relativi motivi di ricorso, quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759), nè può desumersi il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420).

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione dell’art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4, art. 156 c.p.c., art. 164 c.p.c., n. 5 e vizio di motivazione, articolano il connesso quesito di diritto.

Anche questo motivo per la contemporanea deduzione di violazione di legge e vizio di motivazione è inammissibile. Difetta, anche in questo caso la pluralità di quesiti.

Inoltre, il quesito in esame per come formulato non consente di cogliere la diversa regula iuris posta a base della sentenza impugnata e il diverso principio che il ricorrente assume corretto (Cass. 30 settembre 2008 n. 24339 e 17 luglio 2008 n. 19769) Con la terza censura i ricorrenti, allegando violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 414 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, art. 420 c.p.c., comma 1, artt. 164 e 156 c.p.c. e vizio di motivazione, articolano il relativo quesito di diritto.

Anche questo motivo è inammissibile per contemporanea formulazione di censure attinenti alla violazione di legge e vizi di motivazione.

Manca, altresì la formulazione di una pluralità di quesiti.

Vi è, per di più, genericità del quesito di diritto, in quanto detto quesito, ancora una volta,prescinde dalla concreta fattispecie e dalla ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata (Cfr.

Cass. SU 30 settembre 2008 n. 24339 e Cass. 19 febbraio 2009 n. 4044).

Con il quinto motivo i ricorrenti, sostenendo violazione dell’art. 100 c.p.c. e vizio di motivazione, articolano il questo di diritto.

Il motivo, come i precedenti, è inammissibile trovando nel suo contesto formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione che non hanno riscontro nella redazione di specifici quesiti.

Con la quinta censura i ricorrenti, denunciando violazione dell’art. 2909 cc e vizio di motivazione, formulano il quesito di diritto.

Anche questa censura non è esaminabile.

A tanto vi osta, anche in questo caso, non solo la mescolanza, priva di specifici relativi quesiti, di censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ma altresì la mancanza, nel quesito redatto, del riferimento alla concreta fattispecie e, soprattutto, alla ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata.

Nè, e vale la pena di ribadirlo, il quesito può essere integrato con le argomentazioni illustrative del motivo.

Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art. 2909 c.c. e vizio di motivazione in ordine alla inesistenza di giudicato formatosi in opposizione ex art. 617 c.p.c..

Il motivo, come i precedenti, è inammissibile essendovi mescolanza di censure attinenti alla violazione di legge ed al vizio di motivazione, che non trovano riscontro nella formulazione di separati quesiti.

Con il settimo e l’ottavo motivo i ricorrenti, denunciando rispettivamente violazione degli artt. 512, 569, 487 e 100 c.p.c. nonchè vizio di motivazione e violazione degli artt. 113, 112, 2909 e 429 c.p.c. e vizio di motivazione, formulano il quesito di diritto.

Ancora una volta i motivi contenendo la contemporanea censura di violazione di legge e vizio di motivazione senza la proposizione di appositi quesiti sono inammissibili.

Il ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00, oltre Euro 2.000,00 per onorario ed oltre spese, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2010

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