Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14776 del 19/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 19/07/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 19/07/2016), n.14776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 71237-2011 proposto da:

T.N., C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso Io CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati PAOLA DI CIOCCIO e DANTE

ANGIOLELLI, giusta atto di costituzione del 28/4/2016;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ D’ANNUNZIO” DI CHIETI, P.I. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1332/2010 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 19/11/2010 r.g.n. 223/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito l’Avvocato CIOCCIO PAOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dcht.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del prime motivo e

accoglimento del secondo motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata in data 19 novembre 2010 la Corte d’appello di L’Aquila, confermando la sentenza del Tribunale di Chieti, respingeva le domande di T.N. (esperta e collaboratrice linguistica presso la Facoltà di lingue e letterature straniere presso l’Università degli studi G. D’Annunzio di Chieti dal 1998 al 2004) volte, in via principale, all’accertamento della natura subordinata ed a tempo indeterminato dell’intero rapporto con conseguente condanna alla differenze retributive e, in via subordinata, alla condanna dell’Università agli importi economici differenziali ai sensi dell’art. 2126 c.c.. A motivo della sentenza, la Corte territoriale rilevava che la L. n. 236 del 1995, in base alla quale la T. era stata assunta con diversi contratti a tempo determinato, imponeva il concorso Pubblico ai fini dell’assunzione nonchè richiedeva il possesso di un valido titolo accademico per l’abilitazione all’incarico di esperto linguistico (di cui era sfornita la lavoratrice).

La lavoratrice ricorre per cassazione con tre motivi. L’Università è rimasta intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione della L. n. 236 del 1995, art. 4, nonchè vizio di motivazione. La ricorrente rileva che il giudice di merito ha erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie, pur qualificata di natura privatistica, la disciplina che regola il pubblico impiego (in particolare, il divieto di trasformazione del contratto a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36), con conseguente necessità dell’espletamento di un pubblico concorso per l’assunzione a tempo indeterminato. Diversamente, della L. n. 236, art. 4, richiede, più semplicemente, una selezione pubblica, delegando alle Università le modalità di espletamento. Inoltre, la Corte territoriale ha erroneamente rilevato la mancanza di un titolo accademico equipollente, applicando la L. n. 63 del 2004, alla T. nonostante la stessa avesse stipulato il primo contratto a tempo determinato in periodo precedente l’entrata in vigore di detta normativa, specificamente nell’anno accademico 1998/1999, e quindi essendo sufficiente esclusivamente un titolo “adeguato alle funzioni da svolgere” come previsto dalla citata L. n. 236, art. 4.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, della L. n. 56 del 1987, art. 23, D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 4 e 5, L. n. 244 del 2007, dell’art. 51 del CCNL comparto personale Università 1996/1997 nonchè del successivo CCNL 2002/2005 nonchè vizio di motivazione, per avere, la Corte territoriale, escluso la conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato in applicazione della legislazione vigente in materia di contratti a termine nonostante fosse pacificamente emersa la stabile e permanente esigenza didattica dell’Università.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto inapplicabile la disposizione nonostante l’illegittimità dei contratti a tempo determinato stipulati tra le parti in assenza di una esigenza straordinaria e temporale.

4. I primi due motivi, che per la stretta connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

del D.L. n. 120 del 1995, art. 4 (convertito con modificazioni nella L. n. 236 del 1995) stabilisce che dal 1 gennaio 1994 le Università provvedono alle esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche, anche mediante apposite strutture d’ateneo, istituite secondo i propri ordinamenti (comma 1) all’assunzione, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, di collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere e di idonea qualificazione e competenza, con contratto di lavoro subordinato dl diritto privato a tempo indeterminato ovvero, per esigenze temporanee, a tempo determinato (comma 2). La disposizione prevede quindi che l’assunzione avvenga per selezione pubblica, le cui modalità sono disciplinate dalle Università secondo i rispettivi ordinamenti (comma 3).

Questa disposizione speciale, che non è tout court assoggettabile alla medesima disciplina dei rapporti di pubblico impiego (principio ricavabile dalla pronuncia delle Sezioni Unite 15 aprile 2010, n. 8985), prevede dei vincoli di regime, pure nella riconosciuta possibilità di instaurazione di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e soltanto eccezionalmente, per esigenze temporanee, a tempo determinato. Tali vincoli sono costituiti dalla “compatibilità con le risorse disponibili nei propri bilanci” e dalla previsione per l’assunzione di una “selezione pubblica” con “modalità disciplinate dalle Università secondo i rispettivi ordinamenti”.

Come già affermato da questa Corte, appare indubbio che essi configurino una disciplina peculiarmente propria delle istituzioni universitarie, che, se non perfettamente omologabile a quella del pubblico impiego, neppure può esserlo a quella del rapporto di lavoro subordinato, come declinato nel regime dell’autonomia privata (con specifico riferimento, per quanto qui interessa, alla disciplina prevista dalla L. n. 230 del 1962, art. 2, prima, e dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, poi, cfr. Cass. 15 ottobre 2014, n. 21831).

Il vincolo di bilancio è, infatti, alla base della facoltà (“possono assumere”) per le Università di instaurare i rapporti di lavoro subordinato (a tempo indeterminato o eccezionalmente, per esigenze temporanee, a tempo determinato) in questione e ha trovato recente riscontro nella differenziazione dalla posizione dei dipendenti privati di quella dei lettori di lingua dell’Università degli studi, in quanto dipendenti privati di enti pubblici non economici, per la ricorrenza per questi, ancorchè i rapporti di lavoro risultino privatizzati, di quelle “ragioni di contenimento della spesa pubblica” alla base della disciplina differenziata secondo la ratio decidendi di Corte cost. 459/2000 (così: Cass. 10 gennaio 2013, n. 535, che per tale ragione ha escluso l’applicabilità per essi del cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi per i crediti retributivi dei dipendenti privati, ancorchè maturati dopo il 31 dicembre 1994). La compatibilità con le risorse disponibili nei propri bilanci, nella determinazione delle Università di instaurare i rapporti in esame, altro non significa che la riserva di un’area di valutazione dell’ente pubblico non economico, secondo criteri di efficiente impiego delle finanze pubbliche e quindi di buona amministrazione non solo economica, ma in senso ampio, nella rispondenza ad un interesse generale, che sul versante della qualificazione di competenza del personale in tal modo assunto, si coniuga coerentemente con il secondo vincolo: di selezione pubblica con modalità disciplinate dalle Università secondo i rispettivi ordinamenti, a garanzia di imparziale valutazione meritocratica. E quest’area di discrezionalità, in funzione di buona amministrazione finanziaria e di qualità del servizio di pubblica istruzione reso, risponde certamente a quel principio di “buon andamento e imparzialità dell’amministrazione” (art. 97 Cost., comma 2), che rende palese la non omogeneità dei rapporti di lavoro in esame con la disciplina del lavoro privato: con pertinente applicazione ad essi delle ragioni (pure in mancanza qui di accesso mediante concorso) giustificanti la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione in rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati (Corte cost. 27 marzo 2003, n. 89).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente la reiezione dei motivi esaminati, che giustifica, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto già formulato da questa Corte (cfr. Cass. n. 21831/2014 citata): “L’instaurazione di rapporti di lavoro da parte delle Università con collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere e di idonea qualificazione e competenza, con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo determinato, anzichè a tempo indeterminato, pure in assenza di esigenze temporanee, a norma del D.L. n. 120 del 1995, art. 4, (convertito con modificazioni in L. n. 236 del 1995), non comporta la conversione del primo nel secondo, ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 2, e poi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5. Ciò è escluso dalla peculiare disciplina dell’art. 4 cit., che prevede i vincoli di compatibilità con le risorse disponibili nei bilanci e di selezione pubblica con modalità disciplinate dalle Università secondo i rispettivi ordinamenti: ossia criteri di efficiente impiego delle finanze pubbliche e di garanzia di imparziale valutazione meritocratica, rispondenti al principio di “buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost., comma 2), che rendono palese la non omogeneità dei rapporti di lavoro in esame con la disciplina del lavoro privato”.

5. La censura di cui al terzo motivo – che configura, più propriamente, un vizio di motivazione piuttosto che la violazione di norma di diritto, in quanto non viene lamentata nè l’errata interpretazione dell’art. 2126 c.c., nè l’errore di sussunzione della fattispecie in norma che non le si addice – è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso i profili di illegittimità di ogni contratto a tempo determinato stipulato con l’Università così come dedotti nel ricorso introduttivo del giudizio, il contenuto (o quantomeno un estratto) dei documenti forniti a dimostrazione della nullità dei suddetti contratti, il divario retributivo tra il compenso percepito e la retribuzione pretesa, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

La sentenza impugnata, pur nella sua laconicità, esclude il presupposto costitutivo del diritto al percepimento della differenza retributiva (ossia profili di nullità o annullabilità dei contratti stipulati tra la T. e l’Università) e il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (pur nella formulazione vigente ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012), appare, alla luce degli insufficienti elementi forniti dal ricorrente, corretto.

6. In conclusione, questa Corte rigetta il ricorso. Nulla si dispone in ordine alle spese di lite in assenza di costituzione dell’Università intimata

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2016

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