Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14772 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 05/07/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 05/07/2011), n.14772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DELLA GIULIANA 73, presso lo studio dell’avvocato ANTINUCCI

MASSIMO, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 110/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA dell’8/05/08, depositata l’01/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA GIOVANNA CONCETTA

SAMBITO;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIETRO GAETA.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7

giugno 2011, dal Relatore Cons. Maria Giovanna Sambito.

La Corte:

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

1. La CTR del Lazio, con sentenza n. 110/34/08, depositata il 1 settembre 2008, in riforma della decisione della CTP di Roma, ha rigettato il ricorso proposto da C.R. avverso l’avviso di accertamento, relativo ad IVA, IRPEF ed IRAP, per l’anno 1998.

2. Per la cassazione della sentenza, ricorre la contribuente, L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

3. Il primo motivo, col quale la ricorrente denuncia “violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla falsa applicazione degli artt. 112 e segg. c.p.c.”, sottoponendo alla Corte il quesito “se la motivazione della sentenza impugnata rispetta i principi definiti dagli artt. 112 e segg. c.p.c., e segnatamente se sussiste una corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; se il giudicato è stato formato secondo diritto e in relazione alla disponibilità degli elementi e delle prove offerte dalle parti”, appare inammissibile: per la genericità della sua formulazione e la totale assenza dei dati di fatto rilevanti nel caso di specie, lo stesso risulta incomprensibile, ad una lettura autonoma dalla precedente esposizione del motivo. La giurisprudenza di questa Corte ha, in proposito, affermato che in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., consiste, proprio, nell’imposizione al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della censura, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (v. tra le altre, Cass. N. 20409/ 2008 n. 2799/2011).

4. Col secondo motivo, la ricorrente deducendo “violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16, 18, 20 e 53 e art. 149 c.p.c., e L. n. 890 del 1982, art. 14” lamenta che la CTR ha respinto le eccezioni d’inammissibilità dell’appello, per difetto di notifica, “avvenuta a mezzo raccomandata busta chiusa” invece che “in plico senza busta”, e per la mancanza di firma da parte del Direttore dell’Ufficio, omettendo di motivare, al riguardo. Il motivo appare manifestamente infondato, in quanto denuncia un difetto di motivazione in diritto che è, in sè, irrilevante, e tenuto conto che la soluzione cui è pervenuta la CTR appare giuridicamente corretta, avendo questa Corte condivisibilmente affermato che: a) è causa d’inammissibilità dell’appello notificato per posta l’effettiva difformità tra l’atto depositato e quello spedito; b) si presume la conformità quando l’appellato si costituisca e non sollevi alcuna eccezione al riguardo (cfr. Cass. n. 6780/2009), e nella specie, la difformità non risulta eccepita innanzi alla CTR dalla contribuente, che, peraltro, propone, inammissibilmente, in questa sede, la questione in seno al quesito in modo non autosufficiente e, pure, meramente esplorativo; c) la spedizione dell’atto eseguita mediante consegna all’ufficiale postale di una busta chiusa, anzichè, come previsto dal del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 20, comma 2, (richiamato, per l’appello, dall’art. 53), di un “plico raccomandato senza busta” costituisce una mera irregolarità (tra le tante, Cass. n. 17704/2004; Cass. n. 13666/2009); d) la sanzione dell’inammissibilità del ricorso, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, è comminata, tra l’altro, in caso di mancata sottoscrizione “a norma dell’art 18, comma 3”, disposizione relativa ai requisiti del ricorso introduttivo, che, per definizione, è quello del contribuente, mentre la capacità di stare in giudizio dell’Amministrazione va ricondotta all’art. 11, comma 2, citato decreto, in base al quale l’Ufficio “sta in giudizio direttamente o mediante l’ufficio del contenzioso della direzione regionale o compartimentale ad esso sovraordinata”, valendo al riguardo, le disposizioni sulla delega all’interno degli uffici, semprechè non si contesti, in concreto, la regolarità dell’esercizio delle funzioni vicarie, contestazione che non risulta nella specie avanzata (Cass. 27608/2005, v. anche n. 3058/2008).

5. Col terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 14 Cost., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 e D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, affermando che l’accesso e l’ispezione degli accertatori erano stati autorizzati dal Procuratore della Repubblica nei confronti di altro soggetto e non nei suoi, sicchè il materiale su cui si basava l’avviso di accertamento risultava illegittimamente acquisito, e non poteva essere utilizzato, tanto più che essa ricorrente era censita all’anagrafe tributaria. Anche questo motivo appare manifestamente infondato, tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il provvedimento autorizzativo alla perquisizione del domicilio di un soggetto, emesso dalla competente Procura della Repubblica allo scopo di acquisire la documentale fiscale relativa al soggetto stesso, consente di acquisire in tale domicilio anche la documentazione relativa ad altro soggetto, pur non menzionato nel provvedimento autorizzativo (Cass. n. 153/1996; n. 2775/2001;

15513/2002; 2675/2007); l’utilizzo a fini fiscali della documentazione acquisita -come nella specie- nel corso di attività di polizia tributaria non è condizionato all’autorizzazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, posta ad esclusiva tutela del segreto istruttorio (Cass. n. 14058/2006).

6. Col quarto motivo, si deduce la “violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 51 e segg. e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4”, per non avere la CTR considerato che l’onere della prova del fatto costitutivo dell’imposizione gravava sull’Ufficio e che non sussisteva, nella specie, alcun elemento “che riconduce l’attività di lavoro dipendente svolta dalla contribuente ad una attività imprenditoriale..”. Con il quinto motivo, si denuncia vizio di motivazione, per avere la CTR affermato l’esistenza di un’attività d’impresa in base al ritrovamento di rubriche, che “non esistono nè agli atti del PV della GdF nè nell’Avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate nè nel fascicolo del procedimento”, mentre essa contribuente aveva dimostrato “l’esistenza di un vincolo di subordinazione con lavoro a domicilio anche per l’annualità 1999;

i per quanto riguarda le annotazioni nelle agende la stessa G. di F. non ha dimostrato la bontà e credibilità dei controlli ..”. I motivi appaiono, rispettivamente, inammissibile ed infondato. In relazione alla violazione di legge, va osservato che la violazione dei precetti relativi alla ripartizione dell’onere della prova si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice lo abbia posto a carico di una parte diversa da quella che ne è gravata, secondo la legge, mentre, quando si assuma che il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (tra le tante, Cass. n. 19064/2006; n. 2155/2001). In relazione al quinto motivo, la CTR ha ritenuto sussistente la produzione del reddito d’impresa sulla scorta delle annotazioni su “lavorazioni e riparazioni commissionate, indicate in modo dettagliato e riportanti, anche il nome del cliente finale” contenute in agende intestate alla contribuente, motivazione che non appare nè incongrua nè contraddittoria, e che è coerente coi principi dettati da questa Corte in materia (cfr. Cass. n. 6949/2006). La contestazione secondo cui tali agende non sarebbero acquisite in giudizio implica la denuncia di un tipico errore revocatorio, ex art. 395 c.p.c., n. 4, che non può esser dedotta mediante il ricorso per cassazione, ma, sussistendone i presupposti, solo, con lo specifico strumento della revocazione (cfr. Cass. n. 10066/2010).

7. In conclusione, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio”.

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte da parte del PM, mentre ha presentato memoria la ricorrente;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione (la sentenza di questa Sezione n. 26454 del 2008, citata dalla ricorrente nella memoria, riguarda il diverso caso in cui l’accesso nell’abitazione del contribuente era avvenuto in totale assenza di autorizzazione da parte del PM);

ritenuto che l’invocato giudicato esterno è insussistente: la sentenza è priva della relativa attestazione e riguarda, peraltro, altra annualità d’imposta;

ritenuto, pertanto, che il ricorso deve esser rigettato e che la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore dell’Agenzia, liquidate in Euro 1.200,00 oltre a spese prenotate a debito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore dell’Agenzia, liquidate in Euro 1.200,00 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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