Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14771 del 30/06/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 14771 Anno 2014
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

SENTENZA
sul ricorso 17573-2008 proposto da:
STEFANO

FORTE

FRTSFN36B23E549W,

elettivamenteW

domiciliato in ROMA, VIA BENIAMINO DE RITIS 18,
presso lo studio dell’avvocato DI LISA DOMENICO,
rappresentato e difeso dall’avvocato SBROCCA ANGELO
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

D’ATRI

MARIA

FRANCESCA

GIULIANA

DTRMGL35H58F839R,

DTRFNL41C70F839C,

D’ATRI

D’ATRI
PAOLA

DTRPLA42T42F839F, elettivamente domiciliati in ROMA,

1

Data pubblicazione: 30/06/2014

VIA

DI

PIETRALATA

320-D,

presso

lo

studio

dell’avvocato MAZZA RICCI GIGLIOLA, rappresentati e
difesi dall’avvocato PASQUALE JANNARELLI giusta
procura a margine del controricorso;

controricorrenti

di BARI, depositata il 17/05/2007, R.G.N. 396/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 01/04/2014 dal Consigliere Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
udito l’Avvocato DOMENICO DI LISA per delega
dell’Avvocato ANGELO SBROCCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso;

2

avverso la sentenza n. 194/2007 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il presente ricorso ha ad oggetto la domanda di rilascio di un
immobile asseritamente occupato senza titolo dal convenuto.
Con ricorso

ex

art. 447

bis

cod. proc. civ., Maria Giuliana

D’Atri, Francesca D’Atri e Paola D’Atri, proprietarie di

Forte innanzi al Tribunale di Lucera, chiedendo la condanna
dello stesso al rilascio del cespite. Sostennero che il Forte,
contro la loro volontà, aveva continuato ad occuparlo anche dopo
la morte della genitrice, alla quale esso era stato dato in
comodato.
Dedussero di avere già evocato in giudizio il Forte al fine di
conseguire la disponibilità del bene, ma di essersi viste
rigettare la richiesta, per effetto del disconoscimento, operato
dal Forte, della firma della madre in calce al contratto di
comodato.
Con sentenza del 10 ottobre 2003 il giudice adito accolse la
domanda.
Proposto gravame dal soccombente, la Corte d’appello di Bari, in
data 17 maggio 2007, in accoglimento, per quanto di ragione,
della proposta impugnazione, ha dichiarato la nullità degli atti
successivi al ricorso nonché della sentenza di prime cure, e,
decidendo nel merito, ha accolto la domanda, per l’effetto
condannando Stefano Forte al rilascio dell’immobile in favore di
Maria Giuliana D’Atri, Francesca D’Atri e Paola D’Atri.

3

un’unità abitativa sita in Ripalta (Lesina), convennero Stefano

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte
Stefano Forte, formulando due motivi.
Resistono con controricorso, illustrato anche da memoria, Maria
Giuliana D’Atri, Francesca D’Atri e Paola D’Atri.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli

artt. 99, 112 e 324 cod. proc. civ., 2909 cod. civ., nonché
difetto di motivazione ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.
Secondo l’esponente la Corte territoriale avrebbe d’ufficio
sostituito all’azione personale di restituzione proposta dalle
D’Atri, una azione di rivendicazione,

ex

art. 948 cod. proc.

civ.
Aggiunge che la natura obbligatoria del rimedio azionato era
diventata incontestabile, posto che la qualificazione in
siffatti termini dell’iniziativa giudiziaria delle attrici,
operata dal Tribunale, non era stata censurata dalle appellate.
L’arbitraria immutazione della

causa petendi attuata dal giudice

d’appello aveva quindi comportato la violazione del giudicato
interno formatosi sul punto.
Peraltro, una volta correttamente inquadrata l’azione proposta
nell’ambito dei rimedi di carattere

relativo,

non poteva essere

rigettata l’eccezione di giudicato esterno, considerato che il
presente giudizio era praticamente sovrapponibile ad altro già
proposto e definito dallo stesso Tribunale con sentenza passata
in giudicato.

4

1

In ogni caso il decidente sarebbe incorso in palese difetto di
motivazione sui punti essenziali della controversia.
2 Le critiche non hanno pregio.

Va premesso che la Corte territoriale, dopo avere ritenuto
fondato il primo motivo di gravame, volto a far valere la

cod. proc. civ., e cioè per inosservanza del termine dilatorio
di trenta giorni tra la data della notificazione del ricorso e
quella dell’udienza di discussione, dichiarata la nullità, ha
esaminato la causa nel merito, provvedendo nel senso innanzi
esplicitato.
La decisione è conforme al consolidato orientamento di
legittimità secondo cui il giudice d’appello che rilevi una
nullità diversa da quelle tassativamente previste dagli artt.
353 e 354 cod. proc. civ., in presenza delle quali soltanto la
causa va rimessa al giudice di prime cure, non può limitarsi ad
emettere una pronunzia di mero rito dichiarativa della nullità,
ma deve decidere la causa nel merito previa rinnovazione degli
atti nulli: in particolare, nella concomitante ricorrenza della
inosservanza del termine dilatorio tra notifica del ricorso e
udienza di discussione e della mancata costituzione del
convenuto, deve trattenerla e risolverla, previa ammissione
dell’appellante, contumace nel precedente grado, allo
svolgimento di tutte le attività difensive che avrebbe potuto
spiegare se il processo fosse stato correttamente instaurato
(confr. Cass. civ. 27 maggio 2005, n. 11292; Cass. civ. 4

5

nullità della sentenza per violazione dell’art. 415, comma 5,

dicembre 2002, n. 17221; Cass. civ. sez. un. 21 marzo 2001, n.
122).
3

Confutando l’eccezione di giudicato esterno sollevata

dall’appellante, la Curia barese ha poi osservato che diversa
nei due giudizi era la

causa petendi

sottesa alla richiesta di

effetto della cessazione di un contratto di comodato intercorso
molti anni addietro tra la madre delle D’Atri e la madre del
Forte; laddove nel secondo era stata fatta valere, a sostegno
del petitum,

la circostanza che l’immobile era occupato senza

titolo dal convenuto.
Il convincimento del giudice di merito ha dunque seguito la
seguente scansione: la precedente domanda era stata rigettata
perché, disconosciuta dal convenuto la firma della propria
genitrice in calce al contratto, si era ritenuto che le attrici
non avessero dato la prova che la consegna dell’immobile era, a
suo tempo, avvenuta a titolo di comodato; nel presente giudizio,
basato, si è detto, sulla mancanza di una ragione giustificativa
della occupazione dell’immobile da parte del convenuto, le
ricorrenti avevano dimostrato il loro diritto di proprietà; a
fronte di tanto il Forte si era limitato a contestare il
carattere precario della propria detenzione, senza neppure
avanzare domanda riconvenzionale per usucapione, del resto
preclusa dal passaggio in giudicato della sentenza n. 96 del
2001 che analoga pretesa aveva già rigettato.

6

rilascio, posto che nel primo questo era stato domandato per

3

A fronte di siffatto percorso argomentativo i rilievi

dell’impugnante, basati su presunte preclusioni nascenti da due
giudicati, l’uno interno, e l’altro esterno, non colgono nel
segno.
Sotto il primo profilo, premesso che neppure si comprende quale

è stata dichiarata la nullità, peraltro proprio su istanza della
parte che ora delle affermazioni in essa contenute vorrebbe
giovarsi, non ritiene il collegio che il giudice di merito abbia
arbitrariamente immutato la causa petendi dell’azione proposta.
Il fatto è che, essendo stata addotta a sostegno della richiesta
di rilascio una situazione di occupazione senza titolo del
cespite da parte del convenuto, il rilievo della incontestata
appartenenza dello stesso, a titolo di proprietà, alle
ricorrenti e della mancata allegazione, da parte del Forte, di
un titolo che lo abilitasse a detenerlo, è contesto
argomentativo idoneo a sorreggere una pronuncia di accoglimento,
e tanto sia che si qualifichi la tutela azionata come
obbligatoria, sia che la si qualifichi invece come reale.
Non può invero sfuggire che proprio la prospettata insussistenza
di una ragione giuridica valida che abilitasse il Forte a
occupare l’immobile è piattaforma fattuale ragionevolmente
difendibile solo con l’allegazione del proprio diritto di
proprietà perché, potendosi solo allegare ma non provare il
fatto negativo

della mancanza

7

di

giustificazione

della

statuizione incontestabile possa nascere da una sentenza di cui

occupazione, spettava a quel punto al convenuto dedurre e
dimostrare che quella giustificazione invece esisteva.
Peraltro la labilità del confine tra azione reale e azione
personale è insita nell’affermazione di questa Corte secondo
cui, nel caso di azione diretta ad ottenere il rilascio di un

contestazione del diritto di proprietà dell’attore, anche se
effettuata dal convenuto con la deduzione di un suo contrastante
diritto dominicale unicamente per far respingere la domanda,
trasforma l’azione personale in azione reale, dal momento che il
giudice deve decidere sulla sussistenza del diritto di proprietà
vantato da una parte e negato dall’altra, con quel che ne
consegue in termini di oneri probatori gravanti su chi ha agito
in giudizio (confr. Cass. civ. 19 aggio 2006, n. 11774).
4

Quanto poi all’eccezione di giudicato esterno avanzata dal

Forte, la prospettazione, pur suggestiva, è del tutto
inconsistente.
Il diritto a ottenere il rilascio di un bene è un diritto
eterodeterminato, che, come tale, può essere fatto valere più
volte fra gli stessi soggetti a condizione che, invariato il suo
contenuto il c.d.

petitum,

nella terminologia

processualcivilistica varino tuttavia i fatti costitutivi
della pretesa azionata, e cioè quelli che ne identificano la
causa petendi.
Sul piano processuale e della teoria del giudicato ciò significa
che il mutamento del fatto costitutivo comporta mutamento del

8

immobile occupato senza titolo o a titolo precario, la

diritto, di talché la domanda giudiziale con la quale si faccia
valere in un secondo processo una richiesta dello stesso
contenuto di quella già in precedenza proposta, sarà domanda
nuova tulle le volte in cui essa sia basata su un diverso fatto
costitutivo; domanda, dunque, che non può in alcun modo essere

lo stesso bene ma per ragioni diverse.
E invero l’autorità del giudicato sostanziale opera entro i
rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e
presuppone che tra il giudizio precedente e quello in corso vi
sia identità di soggetti,

petitum e causa petendi

(confr. Cass.

civ. 20 aprile 2011, n. 9043).
Proprio in base a tali principi, ragionando con riferimento a
una domanda volta ad ottenere l’indennità per occupazione senza
titolo di un capannone industriale, a seguito di scioglimento di
un contratto di comodato – e dunque in relazione a un caso in
cui la questione si presentava, in un certo senso, a termini
invertiti rispetto a quella agitata nel presente giudizio
questa Corte ha escluso che il relativo accertamento potesse
ritenersi coperto da quello (nella specie negativo), di
occupazione senza titolo per simulazione o inefficacia,

ex art.

64 l. fallimentare del medesimo contratto (confr. Cass. civ. 12
novembre 2013, n. 25378).
5 Venendo al caso di specie, il giudice di merito, mediante una

interpretazione corretta ed esauriente dei fatti dedotti dalle
parti, è pervenuto al convincimento, del quale ha dato

9

paralizzata dal giudicato formatosi su quella volta a ottenere

esaurientemente conto, che il

thema decidendum

della precedente

azione fosse circoscritto alla esistenza, e alla intervenuta
scadenza, del contratto di comodato a suo tempo intercorso tra
la dante causa delle attrici e la genitrice del Forte, laddove
le istanti avevano ora fatto valere puramente e semplicemente

Significativo è peraltro che il ricorrente, senza confutare le
articolate argomentazioni formulate dal decidente in punto di
insussistenza dell’eccepito giudicato esterno, si è limitato a
dedurre, in maniera peraltro assertiva, che il preteso
stravolgimento della natura giuridica dell’azione proposta – da
rimedio obbligatorio e personale, a mezzo di carattere reale ne avrebbe pregiudicato l’accoglimento, quasi che la
petendi

causa

addotta a sostegno della prima domanda – l’avvenuta

cessazione del contratto di comodato – esaurisse tutte le
possibili ragioni in base alle quali era possibile chiedere il
rilascio dell’immobile.
6

Con il secondo motivo l’impugnante lamenta violazione degli

artt. 101, 415, 354, 162, 345 cod. proc. civ., 24 della
Costituzione, nonché vizi motivazionali,

ex art. 360, nn. 3 e 5,

cod. proc. civ., con riferimento alla sua mancata ammissione
all’esercizio delle attività istruttorie espressamente richieste
in sede di impugnazione.
6 Anche tali critiche sono destituite di fondamento.

Va premesso che, in via generale, i provvedimenti, positivi o
negativi,

emessi dal giudice di merito sulle richieste

10

che l’immobile era occupato senza titolo dal convenuto.

istruttorie sono censurabili in sede di legittimità se non
sorretti da motivazione sufficiente. In particolare la denegata
ammissione di un mezzo di prova si traduce in un vizio della
sentenza qualora, in sede di controllo sotto il profilo
logico-formale e della correttezza giuridica – dell’esame e

ragionamento svolto sia incompleto, incoerente o irragionevole.
Tale valutazione presuppone tuttavia che il mezzo di prova
richiesto e non ammesso sia diretto alla dimostrazione di punti
decisivi della controversia (confr. Cass. civ. 17 marzo 2010, n.
6439), il che rende indispensabile, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, che il ricorrente
indichi specificamente le circostanze oggetto della prova,
provvedendo alla loro trascrizione (confr. Cass. civ. sez. un.
22 dicembre 2011, n. 28336).
Nella fattispecie tale onere, funzionale, come detto, al
controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi,
delle prove stesse, non è stato adempiuto, il che rende
inammissibili le proposte censure.
In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 3.200,00

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della valutazione compiuti dal giudice di merito, risulti che il

(di cui euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per
legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza

sezione civile il giorno 1 0 aprile 2014.

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