Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14765 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 10/07/2020), n.14765

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul giudizio iscritto al n. 20640/13, promosso da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

BO.DE.MA. s.r.l., rappresentata e difesa in giudizio dall’avv.

Pasquale Lista ed elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv.

Michele Centrone in via Tibullo, 10;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza 30/52/13 del 4 febbraio 2013 della

Commissione tributaria regionale per la Campania.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS) la Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate di Caserta per i.v.a., i.r.a.p. e i.re.s. 2005, emessi a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), l’Agenzia delle entrate di Santa Maria Capua Vetere ha elevato da Euro 18.931,00 ad Euro 113.538,00 il reddito imponibile dichiarato per l’anno 2005 dalla società edilizia BO.DE.MA. s.r.l. L’accertamento si è fondato sugli atti di vendita di cinque appartamenti e relativi accessori costruiti nel Comune di Cervia (RA), dai quali era risultato inferiore alla media del settore l’utile di Euro 27.191,74 a fronte di ricavi per Euro 613.052,74; uno scostamento dei prezzi indicati rispetto ai prezzi di mercato e ai valori O.M.I. dell’Agenzia per il territorio; l’esistenza di mutui contratti per un valore superiore al valore degli appartamenti.

Con la sentenza sopra detta la Commissione tributaria regionale della Campania, in riforma di quella di primo grado, ha annullato l’accertamento in oggetto, ritenendo non adeguatamente motivati i maggior ricavi contestati alla società.

Ricorre per la cassazione di questa sentenza, per due motivi, l’Agenzia delle Entrate. Resiste la contribuente con controricorso, illustrato da memoria ex art. 380-bis c.p.c.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 30 gennaio 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, conv. in L. n. 197 del 2016.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

La sentenza impugnata ha annullato l’atto impositivo rilevando “che le quotazioni O.M.I. sono soltanto approssimative e, pertanto, non possono essere sostitutive del “sistema di valutazione” legale, costituendo esse, in realtà, una serie di presunzioni, conseguentemente in sè stesse inammissibili. Peraltro, per i mutui bancari stipulati dagli acquirenti, non può escludersi che ragioni di vario tipo (finanziamento di spese notarili, di tecnici, di professionisti, di arredo, di ristrutturazione rifiniture o di lavori vari per adeguare le rifiniture al gusto degli acquirenti) come dedotto dalla contribuente, abbiano indotto alla stipula di mutui eccedenti l’importo della compravendita. Se è vero che lo scostamento degli importi può essere indiziante, per un verso non pare potersi operare una generalizzazione a tutte le operazioni di compravendita in discussione per la varietà delle percentuali di scostamento, per altro verso, il Collegio rileva che i valori O.M.I. in tutti casi sono superiori agli importi stessi dei mutui, sicchè quegli scostamenti possono in effetti essere stati dettati da esigenze contingenti e diverse come la contribuente assume. Per altro verso ancora non va taciuto che a seguito del procedimento di infrazione numero 2007/4575 la Commissione Europea aveva contestato l’applicabilità del metodo del “valore normale” in quanto costituirebbe una disposizione sproporzionata quando trasferisce l’onere della prova del valore sui soggetti passivi (che hanno già preso una loro dichiarazione sul punto all’A.F.) in assenza di qualsivoglia prova di frode fiscale”.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, in combinato disposto con l’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo è fondato.

E’ principio fondamentale, in tema di presunzioni semplici (art. 2729 c.c.) che “il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass., 9059/2018; Cass., 27410/2019; Cass., 12002/2017).

La sentenza impugnata viola entrambi le fasi del percorso inferenziale.

Le quotazioni O.M.I., pur non costituendo fonte di prova, sono tuttavia considerate dalla giurisprudenza uno strumento di ausilio ed indirizzo per le valutazioni estimative, quali nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza (Cass., 11445/2018; Cass. 25907/2015; Cass., 17906/2015). Non sono ritenute sufficienti a sostenere da sole l’atto impositivo, ma valgono a formare il quadro indiziario. Ha quindi errato la Commissione tributaria regionale a ritenere le quotazioni O.M.I. una praesumptio de praesumpto, espungendole dal quadro giudiziario.

Riguardo all’entità dei mutui assunti dagli acquirenti, di importo superiore al prezzo di acquisto dell’immobile, l’abbattimento del valore indiziario della circostanza è avvenuto sulla base di congetture prive di ancoraggio fattuale e di coerenza logica. I mutui, forniti dalle banche – per comune esperienza e per una elementare regola di prudenza gestoria – non possono superare una percentuale del valore dell’immobile sul quale verrà poi iscritta ipoteca, destinata a garantirne la restituzione. Su questo dato la sentenza non dice nulla. Recepisce le mere illazioni della contribuente, alcune peraltro tautologiche (costi di ristrutturazione e rifiniture non sono compresi nel prezzo?). Il fatto che per i cinque appartamenti si sia verificata, e non rileva con quale diversificazione, questa incongruenza economico finanziaria, non avrebbe potuto essere, sul piano del valore indiziario, così sottovalutato.

Riguardo alla bassa redditività dei costi (oltre che dei finanziamenti a titolo gratuito dei soci) anche in questo caso la svalutazione del dato – che contraddice alle ragioni stesse dell’impresa – è avvenuta sulla base di un postulato generico (le “condizioni di difficoltà dello specifico mercato immobiliarè) del tutto disancorato da qualunque dato fattuale e concreto, specie considerato che si trattava di attività edilizia esercitata in una zona turistica dove la domanda immobiliare è naturalmente elevata.

La sentenza della Commissione tributaria regionale, oltre a compiere questa ingiustificata svalutazione della gravità e della convergenza degli indizi indicati nell’atto impositivo – ha pure omesso la valutazione complessiva che ne avrebbe dovuto compiere, valutando il significato inferenziale di ciascuno degli elementi addotti dall’Ufficio in ragione di quello degli altri e procedendo ad una valutazione complessiva tanto necessaria – alla luce della chiarissima giurisprudenza all’inizio citata – quanto inammissibilmente omessa.

Queste osservazioni valgono anche in ordine alla parte dell’accertamento riguardante l’I.v.a. Infatti la riformulazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, ad opera della L. n. 88 del 2009 (comunitaria 2008), ha eliminato – con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto unionale – la stima basata sul valore normale nelle transazioni immobiliari, sicchè la prova dell’esistenza di attività non dichiarate, derivanti da cessioni di immobili, può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, secondo gli ordinari criteri di accertamento induttivo, che non sono esclusi dall’art. 273 della direttiva 2006/112/Cee, dovendo gli Stati membri assicurare l’integrale riscossione del tributo armonizzato e l’efficacia della lotta contro l’evasione (Cass., 9453/2019).

Il motivo va quindi accolto per essersi il giudice di merito discostato da superiori principi di diritto, a quali ci si dovrà, invece, rigorosamente attenere in sede giudizio di rinvio.

Resta logicamente e giuridicamente assorbito il secondo motivo col quale la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, n. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4” in quanto la Commissione tributaria regionale, annullando l’atto impositivo, avrebbe omesso di svolgere le sue funzioni di giudice dell’impugnazione e di merito, non avendo determinato, in corrispondenza di un accoglimento parziale dei motivi dell’impugnazione dell’atto impositivo, l’ammontare dell’imposta dovuta dal contribuente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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