Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14764 del 14/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 14/06/2017, (ud. 02/03/2017, dep.14/06/2017),  n. 14764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23805/2015 proposto da:

Z.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA APPENNINI 60, presso lo studio dell’avvocato CARMINE DI ZENZO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCA

OTTONI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

EMAINOX S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato DONATA DE MONTE, FLAVIANO DE TINA, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 90/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 30/03/2015 R.G.N. 185/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2017 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DI ZENZO CARMINE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 30 marzo 2015, la Corte d’Appello di Trieste, in riforma della sentenza non definitiva resa dal Tribunale di Pordenone, rigettava la domanda proposta da Z.G. nei confronti della Emainox S.p.A., avente ad oggetto l’accertamento dell’ingiustificatezza del licenziamento intimatogli quale dirigente e responsabile commerciale della Società, la condanna della stessa al pagamento dell’indennità supplementare ed al risarcimento del danno per il demansionamento e gli altri pregiudizi sofferti nel corso del rapporto.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, preso atto dell’abbandono in sede di gravame da parte dello Z. della domanda risarcitoria, infondata l’eccezione di inammissibilità per genericità del gravame sollevata dallo Z. allora appellato e, di contro, legittimo, con conseguente assorbimento delle censure relative alla quantificazione dell’indennità supplementare riconosciuta allo Z. in prime cure, il licenziamento, per essere stato provato l’invio con plico raccomandato della relativa comunicazione avente il medesimo tenore di quella inviatagli per mail dalla Società per fare riferimento ad un giustificato motivo oggettivo dato dal mancato conseguimento degli obiettivi perseguiti con l’inserimento in organico dello Z. accompagnato da un forte calo dei fatturati con conseguente esigenza di riduzione dei costi, circostanze non contestate e, comunque, ben note al ricorrente, idonee a costituire giustificazione del recesso.

Per la cassazione di tale decisione ricorre lo Z., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la Società che ha poi presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., nel testo introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c) bis, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, lamenta la non conformità a diritto ed in particolare alle prescrizioni della L. n. 134 del 2012, della pronunzia resa dalla Corte territoriale di rigetto dell’eccezione di inammissibilità per genericità dei motivi di gravame.

Con il secondo motivo, denunciando il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in una con il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 2724, 2725, 2727, 2728, 2730 c.c., artt. 113, 115, 116 c.p.c., artt. 1334, 2118 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 2 e 22 del CCNI per i dirigenti di azienda industriale, il ricorrente imputa alla Corte territoriale l’aver travisato i fatti per aver individuato erroneamente nella comunicazione spedita nel plico raccomandato depositato al n. 53 della produzione di cui al fascicolo di primo grado della Società l’originaria lettera di licenziamento in data 4.6.2009, viceversa mai prodotta dalla Società, la cui mancanza valeva di per sè a dar conto dell’ingiustificatezza del recesso, comunque avvalorata dalla più plausibile versione dei fatti offerta dal ricorrente, per la quale il licenziamento veniva intimato il successivo 5.6.2009, quale reazione alle rimostranze sollevate dal ricorrente alle numerose inadempienze della Società sotto la minaccia del ricorso all’autorità giudiziaria, dapprima con telegramma di preannuncio e poi con la lettera di licenziamento vera e propria, volutamente non fatta pervenire al ricorrente.

La violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2728, 2730, c.c., artt. 113, 115, 116 c.p.c., art. 2118 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 2 e art. 22 del CCNL per i dirigenti di azienda industriale è prospettata nel terzo motivo in relazione al convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla mancata contestazione da parte del ricorrente delle ragioni oggettive invocate a giustificazione del licenziamento.

L’esame della censura di cui al primo motivo – che sarebbe stato da valutare alla luce dell’orientamento che, con riferimento al nuovo testo dell’art. 434 c.p.c., comma 1, ha accolto questa Corte (cfr. Cass., sez lav., 5.2.2015, n. 2143 nonchè Cass., sez. lav., 7.9.2016, n. 17712), secondo cui la predetta norma come novellata “in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma, in ossequio ad una logica di razionalizzazione delle ragioni dell’impugnazione, impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, il quantum appellatum e di circoscrivere l’ambito del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono; sotto il profilo qualitativo, le argomentazioni che vengono formulate devono proporre le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo Giudice ed esplicitare in che senso tali ragioni siano idonee a determinare le modifiche della statuizione censurata chiesta dalla parte” – deve ritenersi precluso per l’inammissibilità del motivo derivante dal non essersi il ricorrente conformato al principio per cui l’esame diretto del denunciato error in procedendo, consentito a questa Corte quale giudice del fatto processuale, richiede che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui si chiede il riesame nel rispetto dei canoni dell’autosufficienza (cfr. per tutte Cass., Sez. Un., 8077/2012), avendo omesso la trascrizione dei passaggi della sentenza gravata ai quali si attribuisce la violazione processuale lamentata che, pertanto, non risulta illustrata con riferimento specifico al contenuto del ricorso in appello ed alla correlata sentenza di primo grado.

Del tutto infondato deve ritenersi, di contro, il secondo motivo ove esaminato in una prospettiva che supera quella in cui resta inscritto tale motivo di impugnazione – data dall’inesistenza della lettera di licenziamento richiamata nel telegramma del 5.6.2009 che ivi si afferma esser stata spedita il giorno precedente, lettera che non si identificherebbe con quella contenuta nel plico raccomandato aperto dalla Corte territoriale, spedita invece il giorno 5 e mai ricevuta, per essere risultato errato l’indirizzo appostovi, dal ricorrente, cui invece perveniva con la data successiva del 15.6.2009, una lettera corrispondente a quella aperta dalla Corte territoriale e recante i motivi del recesso – per porsi in quella più corretta seguita dalla Corte medesima nella quale ci si volge alla verifica, positivamente conclusa, della circostanza che un licenziamento sia stato intimato in forma scritta e che ad esso risultino riconnesse delle motivazioni in relazione alle quali formulare un giudizio in ordine alla giustificatezza del medesimo, prospettiva riguardo alla quale risultano del tutto prive di consistenza le censure mosse dal ricorrente alla pronunzia della Corte territoriale, non potendosi nè sostenere l’inesistenza di un licenziamento in forma scritta, qualunque siano i modi e i tempi in cui lo stesso sia stato comunicato, nè l’assenza di qualsiasi motivazione, di cui, del resto, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, è ammessa la deducibilità nella stessa sede giudiziaria ai fini del vaglio della sua effettività e fondatezza, nè conseguentemente derivare dalla sola mancata indicazione contestuale dei motivi l’ingiustificatezza del licenziamento o addirittura, per il fatto che questo abbia seguito la formalizzazione di lamentele da parte del dirigente, il carattere ritorsivo dello stesso.

Infondato risulta altresì il terzo motivo dal momento che il ricorrente non contesta nè l’ammissibilità del recesso per esigenze di riduzione dei costi nè la ricorrenza delle situazioni di fatto invocate a giustificazione dell’insorgere di quella esigenza – non il peggioramento dei dati di bilancio, in relazione ai quali il ricorrente si limita a contestarne la valenza probatoria; non il progressivo calo dei fatturati, di cui al più sottolinea l’artificiosità sia per essere il raffronto operato con l’anno 2007, segnato dall’incidenza di un’unica commessa di portata eccezionale sia dalla compensazione conseguente alla diminuzione del prezzo della materia prima e così dall’aumento del margine sulla singola vendita; non la quasi totale assenza di vendite in Italia; non l’essere l’unico dirigente in forza alla Società, limitandosi al riguardo ad affermare l’aver la Società in epoca coeva al suo licenziamento assunto personale direttivo con retribuzioni assimilabili; non il mancato conseguimento degli obbiettivi assegnatigli, che il ricorrente rovescia a carico della stessa Società rispolverando all’uopo l’argomento della sottrazione del ruolo contrattualmente convenuto e del demansionamento cui aveva rinunciato per essersi visto rigettare in primo grado la relativa domanda risarcitoria – non valendo la rilettura che, nei termini descritti, il ricorrente ha tentato di dare di quelle ragioni ad inficiare il giudizio che con riferimento ad esse la Corte territoriale ha espresso in ordine alla giustificatezza del licenziamento.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2017

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