Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14763 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 10/07/2020), n.14763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17669/13, promosso da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

MCM s.r.l., rappresentata e difesa in giudizio dall’avv. Paolo

Senaldi del foro di Varese, e dall’avv. Alessandro Rufini, presso lo

studio del quale in Roma, viale Carso n. 51 è elettivamente

domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza 35/1/12 del 21 maggio 2012 della

Commissione tributaria regionale del Piemonte.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con la sentenza sopra indicata la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, in parziale riforma di quella primo grado, ha annullato, per quanto qui rileva, gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS) per i.v.a., i.r.a.p. e i.re.s. 2005 e n. (OMISSIS) per i.v.a. 2004, nella parte in cui recuperavano a tassazione ai fini i.re.s. imponibile ricavato da note di accredito ritenute ingiustificate; recuperavano a tassazione ai fini i.re.s. e i.v.a. la vendita presunta di beni che risultavano essere stati prodotti ma nè ceduti nè presenti nelle rimanenze finali; aveva disconosciuto la deducibilità di costi in quanto non inerenti alla produzione del reddito.

Ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza l’Agenzia delle Entrate per un unico motivo.

La contribuente ha resistito con controricorso.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 30 gennaio 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, conv. in L. n. 197 del 2016.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Il giudizio di merito ha riguardato tre rilievi portati dagli accertamenti in oggetto, riguardanti:

– la ripetuta e sistematica emissione di varie note di credito (storni) relativi all’anno 2004 e all’anno 2005;

– la vendita presunta di beni che risultavano essere stati prodotti senza essere stati poi venduti o inseriti tra le rimanenze finali;

– l’indeducibilità di costi sostenuti per il pagamento di sanzioni amministrative.

Nell’accertamento – validato dalla Commissione tributaria provinciale – il primo rilievo era stato motivato in ragione dal fatto che gli storni non erano collegati ad alcuno degli eventi previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26; che le fatture stornate non rispondevano ai requisiti di contenuto e forma previsti dallo stesso D.P.R., art. 21, comma 2; che dalle indagini bancarie non erano emersi pagamenti collegati al rimborso dei corrispettivi; che mancava una logica correlazione fra le operazioni, fatturate nel 2004, e l’abbattimento non documentato nè motivato di ricavi percepiti nel 2005. Il secondo rilievo era stato motivato dal mancato reperimento fra le rimanenze finali di due macchine utensili, prodotte per una committente, ma non risultate vendute. Il terzo, trattandosi del pagamento di multe per violazioni stradali e di sanzioni tributarie.

La ricorrente denuncia “in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2”, avendo la Commissione tributaria regionale fatte proprie le doglianze dell’appellante senza giustificare la complessa e articolata motivazione della sentenza di primo grado.

Sostiene che la motivazione della sentenza della Commissione tributaria regionale (“Ed invero, anche alla luce della documentazione contabile bancaria in prodotto in giudizio è emerso che i rapporti economici intercorsi tra le parti rispecchiano le fatture e note di credito e non rivelano maggiori ricavi. Di conseguenza il recupero tassazione dell’ufficio, basati sull’ipotesi che le note di accredito sarebbero state messe personali fittiziamente ricavi del 2005, risulta priva di fondamento”) si sia risolta in affermazioni assertive e stereotipe, astrattamente riferibili qualsiasi giudizio di appello, rendendo la pronuncia assunta intrinsecamente inidonea a consentire un qualsiasi controllo delle ragioni che ne stanno alla base.

Il motivo è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento owero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., 9105/2017; Cass., 9113/2012).

In questo caso, riguardo al primo rilievo (per la validazione del quale la Commissione tributaria provinciale aveva rilevato “che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, in materia di I.v.a. contiene una rigida disciplina degli annotazione delle variazioni dell’imposta in diminuzione, non lasciando all’arbitrio del cedente ed è cessionario il ricorso alle suddette variazioni”) nella parte espositiva della sentenza la Commissione tributaria regionale riporta, ritenendolo ovviamente decisivo, il dato che si è trattato di storni avvenuti entro l’anno dall’iscrizione dell’operazione fatturata, ma non spiega perchè non fossero rilevanti gli altri requisiti indicati dalla Commissione tributaria provinciale e richiesti dall’art. 26.

Il motivo è fondato anche nella parte riguardante il secondo rilievo.

Qui la Commissione tributaria regionale, invertendo il percorso logico seguito dalla Commissione tributaria provinciale (che aveva ritenuto la giustificazione esposta nel ricorso dalla contribuente smentita dal contenuto delle fatture (OMISSIS) e (OMISSIS) – dove si descrivevano atti di cessione e non di lavorazione su beni di terzi) ha dato prevalenza alla tesi esposta in ricorso, senza spiegare le ragioni in forza delle quali abbia disatteso gli argomenti, fondati su prova documentale, della prima sentenza.

In merito a questi due primi rilievi, la motivazione della sentenza appare solo apparente in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perchè priva di argomentazioni obbiettivamente idonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, 22232/2016)

Il motivo è palesemente fondato riguardo al terzo rilievo, sul quale la Commissione tributaria regionale non si è neppure pronunciata.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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