Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14762 del 18/06/2010

Cassazione civile sez. I, 18/06/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 18/06/2010), n.14762

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da

S.A. ((OMISSIS)), domiciliato in Roma, via

I.Nievo 61, presso l’avv. G.M. Frattini, rappresentato e difeso

dall’avv. Di Vito A., come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della giustizia, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che per legge lo

rappresenta;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli, depositato il 28

novembre 2006;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Aniello Nappi;

Udite le conclusioni del P.M., come da verbale di udienza.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Napoli ha rigettato la domanda proposta da S.A. di equa riparazione per la durata irragionevole di un giudizio penale per estorsione e porto illegale di arma disposto nei suoi confronti il 27 maggio 1993, definito in primo grado il 25 giugno 2002 dal Tribunale di Nocera Inferiore e ancora pendente in appello alla data del 20 giugno 2006.

Hanno ritenuto i giudici del merito che la durata del procedimento è stata determinata dal comportamento ostruzionistico della difesa, probabilmente indotta per paura a chiedere rinvii, trattandosi di reati di evidente impronta camorristica, per i quali, anche in ragione del tempo decorso, S.A. ha riportato una mite condanna a quattro anni di reclusione e settecento euro di multa.

Sicchè non è ipotizzabile alcun danno patito da S.A..

Ricorre per cassazione e deduce violazione di legge e vizio di motivazione, perchè i giudici del merito, pur riconoscendo che l’abnorme durata del processo è stata determinata anche da disfunzione dell’apparato giudiziario, hanno contraddittoria-mente negato il diritto all’equa riparazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Premesso che sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dal pubblico ministero (Cass., sez. 1, 22 gennaio 2008, n. 1354, m. 601254), il ricorso è ammissibile, essendo enunciati i principi di diritto di cui si lamenta la violazione e bene evidenziati i fatti controversi cui si riferisce la censura di vizio di motivazione. Ed è anche fondato.

Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, il comportamento dell’imputato può essere valutato solo se si manifesti in condotte meramente dilatorie od ostruzionistiche (Corte eur., 19 ottobre 1999, Gelli c. Italia, 38), perchè egli non è tenuto a collaborare con l’autorità giudiziaria (Corte eur. 5 ottobre 1999, Donsimoni contro Francia, 37) . Sicchè non possono essere addebitati all’imputato, neppure quando abbia richiesto rinvii, i tempi morti intercorrenti tra l’una e l’altra udienza, anche perchè si tratta di tempi che vengono stabiliti dall’autorità giudiziaria (Corte eur., 23 settembre 1998, Portington c. Grecia, 29; Id., 12 maggio 1999, Saccomanno, c. Italia., 24). E questa giurisprudenza è del tutto plausibile nella prospettiva della controversia tra lo Stato e chi, essendo stato sottoposto a un procedimento irragionevolmente lungo, pretenda di essere risarcito del danno, perchè spetta alla legge dello Stato e all’organizzazione giudiziaria evitare che l’esercizio legittimo dei poteri delle parti comporti un indebito prolungamento delle procedure. Tuttavia per questa stessa ragione si giustificano, nella prospettiva della disciplina del processo, le norme intese a prevenire un uso distorto e dilatorio dei poteri delle parti, in quanto spetta allo Stato garantire appunto la ragionevole durata del processo.

Nella prospettiva della garanzia soggettiva, pertanto, lo Stato non può sottrarsi alla sua responsabilità, anche quando la durata abnorme del processo sia dipesa dall’esercizio dei poteri delle parti, purchè si tratti di un esercizio legittimo. Nella prospettiva della garanzia oggettiva, invece, la legge deve prevenire l’abuso dei diritti delle parti, disincentivandone i possibili comportamenti dìlatori.

Non possono essere pertanto riferite alla responsabilità di S. A. nè i rinvii per l’astensione collettiva dei difensori dalle udienze o per la mancata disponibilità di difensori d’ufficio nè i tempi intercorrenti tra l’uno e l’altro rinvio richiesto dai suoi difensori con motivazioni evidentemente ritenute giustificate, dato che sono state riconosciute.

Il ricorso di S.A. va pertanto accolto, essendo irrilevante in questa sede il merito e l’esito del giudizio penale a suo carico. Tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il decreto impugnato va cassato senza rinvio. E considerato che il giudizio si è protratto per sei anni in eccesso, rispetto alla normale durata triennale del primo grado, e ha superato di due anni il biennio di ragionevole durata del giudizio d’appello, l’indennizzo va determinato in Euro 7.250, in ragione di Euro 750 per ciascuno dei primi tre anni di ritardo e dì Euro 1.000 per ciascun ulteriore anno di ritardo. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di S.A. della somma di Euro 7.250,00 oltre interessi legali dalla domanda, nonchè ai pagamento delle spese processuali, liquidate per la fase di merito in Euro 900,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), per la fase di legittimità in Euro 600, di cui Euro 500 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2010

 

 

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