Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1476 del 25/01/2021

Cassazione civile sez. I, 25/01/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 25/01/2021), n.1476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10061/2019 proposto da:

T.M., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Corvatta Paola, giusta procura in calce al ricorso;

contro

S.A., in persona del tutore della minore avv.

M.F., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Navona n. 49, presso

lo studio dell’avvocato D’Avack Eleonora, rappresentata e difesa

dall’avvocato Merlini Renzo, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di

Ancona, Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello

di Ancona, S.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 205/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/11/2020 dal Cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto in data 23 aprile 2015, il Tribunale per i minorenni di Ancona dichiarava S.R. e T.M. decaduti dalla responsabilità genitoriale sulla minore S.A. che, con Decreto del 7 maggio 2012, veniva data in affidamento extra-familiare. Con successiva sentenza n. 42/2018, il medesimo Tribunale dichiarava lo stato di adottabilità della minore, ai sensi della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 8.

2. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 205/2019, depositata il 12 febbraio 2019, rigettava il gravame proposto dalla T., confermando in toto la decisione di primo grado. La Corte territoriale riteneva che, sebbene la madre avesse dimostrato interesse per la bambina, avendo reiteratamente cercato di incontrarla, dallo svolgimento dei fatti verificatisi nel corso degli anni, sarebbe emersa la consapevolezza della stessa T. di poter svolgere esclusivamente un ruolo secondario nella vita della piccola A., e che l’affidamento etero-familiare poteva costituire l’unica opportunità per la medesima. Di talchè lo stato di abbandono della minore – in presenza, peraltro, della dichiarazione di decadenza di entrambi i genitori dalla responsabilità genitoriale – doveva essere confermato.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso T.M. nei confronti di S.A., di S.R. e del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Ancona, affidato a quattro motivi. S.A., rappresentata e difesa dal legale nominato dal tutore, ha replicato con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i quattro motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, possono essere trattati congiuntamente – T.M. denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., L. n. 184 del 1983, artt. 1, 8, 10 e 15 e art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

1.1. Lamenta, anzitutto, la ricorrente – con il primo motivo di ricorso – che la Corte territoriale non si sia espressamente pronunciata sul motivo di appello – trascritto a p. 7 del ricorso – con il quale la istante aveva dedotto la carenza di motivazione della decisione di primo grado, laddove quest’ultima aveva affermato che l’odierna ricorrente avrebbe ammesso che “un affido etero-familiare sarebbe stato più rispondente all’interesse della bambina”, laddove, nella realtà, la T. “non ha mai consentito all’adozione legittimante, eventualmente solo a quella mite”. Del resto la stessa sentenza del Tribunale per i minorenni ha fatto riferimento esclusivamente ad un consenso all’affido etero-familiare, non di certo all’adozione legittimante.

1.2. Si duole, poi, la ricorrente – con gli altri motivi di ricorso del fatto che la Corte d’appello non abbia effettuato un effettivo ed adeguato accertamento della capacità genitoriale, concreta ed attuale, della T., tenuto conto del fatto che la bambina era stata sottratta alla madre, per essere data in affidamento, all’età di cinque mesi, nel (OMISSIS) e che la madre – sebbene avesse presentato diverse istanze al Tribunale per i minorenni – era riuscita a vederla solo poche volte nell’anno (OMISSIS). Il giudice di appello – peraltro con motivazione del tutto carente – avrebbe, invero, erroneamente ritenuto che “i ritardi, le difficoltà logistiche e la ritrosia della minore”, ossia gli impedimenti materiali ad intrattenere rapporti con la piccola A., avessero determinato nella T. un adattamento ad un ruolo secondario nella vita della minore, “nella consapevolezza dei suoi limiti in fatto di responsabilità verso di lei, in tutti gli aspetti della genitorialità”.

La Corte sarebbe, di conseguenza, pervenuta – in modo del tutto incongruo – alla conclusione che si tratterebbe di “limiti soggettivi e non solo materiali”, essendosi la madre adattata, a fronte degli impedimenti oggettivi e concreti, ad essere una figura di secondo piano nella vita di A.. Tali limiti sarebbero, per di più, “non a carattere temporaneo ed emendabili. Nel che, a giudizio della Corte, sarebbero certamente ravvisabili “gli estremi dello stato di abbandono”.

1.3 Per converso, ad avviso della istante, il giudice di appello avrebbe dovuto tenere in adeguata considerazione l’interesse manifestato dalla T. nei confronti della figlia, i numerosi tentativi da lei posti in essere, nel tempo, di recuperare il rapporto con la minore, ed avrebbe dovuto effettuare accertamenti in concreto circa le attuali condizioni di vita della madre, il lavoro svolto, il luogo in cui abita, considerando, altresì, che la medesima non aveva ricevuto alcun intervento di sostegno da parte dei Servizi sociali o di altre istituzioni, che le consentissero un progressivo recupero della genitorialità. E ciò benchè dalle stesse relazioni dei Servizi sociali ed in particolare da quella del Dott. C. in data (OMISSIS) fosse emerso che la T. si era dimostrata nel tempo “una persona diversa da quella osservata a ridosso del parto (…) con maggiori possibilità di riprogettare la sua vita”, e che la stessa lavorava “nel campo delle pulizie”. Gli incontri protetti, disposti dal Tribunale per i minorenni, non erano stati, nondimeno, effettuati.

1.4. Gli impedimenti “oggettivi e materiali”, poi, incontrati dalla madre nel relazionarsi con la bambina, ed ai quali ha fatto riferimento la Corte territoriale, erano consistiti, in particolare, nel “sisma del 2016, che aveva colpito anche il Comune di Ireia, luogo indicato per gli incontri protetti nonchè comune di residenza dei genitori affidatari”, nel fatto che “la bambina non sapeva di avere genitori biologici diversi da quelli affidatari”, nel fatto “che la stessa minore sarebbe stata turbata dagli incontri con la madre naturale”, e soprattutto nel fatto che “la madre affidataria aveva mostrato ritrosia (…) per la “definizione ancora incompleta e incerta del loro legame con la bambina a livello ufficiale e anche giuridico””.

Ebbene il giudice di secondo grado avrebbe del tutto incongruamente ed illogicamente trasformato – di qui anche la censura di violazione, da parte dell’impugnata sentenza, dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 – siffatti impedimenti materiali, di certo non imputabili alla T., in limiti soggettivi e personali della madre naturale, ravvisando in essi la sussistenza dello stato di abbandono della minore e qualificandoli “non a carattere temporaneo ed emendabile”, ma ciò senza alcun approfondimento istruttorio – se, del caso, mediante indagini peritali sulla stessa madre – che consentissero all’organo giudicante di accertare in concreto una inidoneità attuale della medesima a prendersi cura della figlia, tale da integrare lo stato di abbandono, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8.

1.5. Di più, la Corte territoriale non si sarebbe adeguata alle indicazioni provenienti dalla Corte EDU, secondo cui, in forza dell’art. 8 della CEDU, la rottura del legami familiari – cui inevitabilmente prelude la dichiarazione dello stato di adottabilità, destinata sfociare nell’adozione legittimante – è “giustificata da circostanze del tutto eccezionali, ed impone alle autorità nazionali di adottare misure finalizzate a garantire il diritto del genitore al ricongiungimento con il figlio”, come nel caso dell’adozione cd. “mite”, alla quale la ricorrente aveva, peraltro, prestato il suo consenso.

2. Le censure sono fondate.

2.1. In tema di adozione, il prioritario diritto fondamentale del figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i suoi genitori e di essere allevato nell’ambito della propria famiglia, sancito dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse, potendo quel diritto essere limitato solo ove si configuri un endemico e radicale stato di abbandono, la cui dichiarazione va reputata – alla stregua della giurisprudenza costituzionale, della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia – come “extrema ratio” a causa dell’irreversibile incapacità dei genitori di allevarlo e curarlo per loro totale inadeguatezza (Cass., 30/06/2016, n. 13435; Cass., 24/11/2015, n. 23979; Cass., 26/05/2014, n. 11758). L’adozione del minore – alla quale la dichiarazione dello stato di adottabilità è prodromica – recidendo ogni legame con la famiglia di origine, costituisce, dunque, una misura eccezionale cui è possibile ricorrere, non già per consentirgli di essere accolto in un contesto più favorevole, così sottraendolo alle cure dei suoi genitori biologici, ma solo quando si siano dimostrate impraticabili le altre misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento con i genitori biologici, ivi compreso l’affidamento familiare di carattere temporaneo, ai fini della tutela del superiore interesse del figlio (Cass., 14/04/2016, n. 7391).

2.2. L’eccezionalità del ricorso all’adozione legittimante e la necessità di percorrere soluzioni alternative, nell’interesse del minore, è stata, peraltro, più volte evidenziata anche dalla Corte di Strasburgo.

2.2.1. Il principio che emerge dalle sentenze della Corte EDU è, invero, quello che la rottura definitiva del rapporto giuridico e di fatto tra il minore e la famiglia di origine debba essere vista come una soluzione residuale. La medesima Corte ha rammentato, invero, che il fatto che un bambino possa essere accolto in un ambiente più favorevole alla sua educazione non può, di per sè, giustificare la sottrazione di forza alle cure dei suoi genitori biologici. Un’ingerenza simile nel diritto di questi ultimi, riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione, di godere di una vita familiare con il proprio figlio, deve risultare anche “necessaria” per altre circostanze.

La Corte di Strasburgo ha, quindi, evidenziato che l’art. 8 della Convenzione pone a carico dello Stato degli obblighi positivi inerenti al “rispetto” effettivo della vita familiare, per cui, laddove è provato che esiste un legame familiare, lo Stato deve per principio agire in modo tale – munendosi dell’apparato giuridico necessario – da consentire a questo legame di svilupparsi, adottando le misure appropriate per riunire il genitore e il figlio interessati (Corte EDU, 12 febbraio 2019, Minervino e Trausi c/Italia; Corte EDU, 13 ottobre 2015, S. H. c/Italia). L’adeguatezza delle misure assunte per riunire genitori e figli deve essere, inoltre, valutata anche in base alla rapidità della sua attuazione, in quanto lo scorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sui rapporti tra il minore e il genitore che non vive con lui (Corte EDU, 22 giugno 2017, Barnea e Caldararu c/Italia).

2.2.2. La ricerca dell’unità familiare e quella del ricongiungimento familiare in caso di separazione costituiscono, dunque, delle considerazioni inerenti al diritto al rispetto della vita familiare sancito dall’art. 8. “Di conseguenza, qualsiasi autorità pubblica che ordini una presa in carico avente l’effetto di limitare la vita familiare ha l’obbligo positivo di adottare le misure necessarie per riunire la famiglia biologica non appena ciò sia possibile. (…). L’obbligo positivo di adottare delle misure allo scopo di agevolare la riunione della famiglia appena ciò sia veramente possibile si impone alle autorità competenti fin dall’inizio del periodo di presa in carico (mediante affidamento), ma deve essere sempre bilanciato con il dovere di considerare l’interesse superiore del minore Per di più, i legami tra i familiari e le chance di ricongiungimento con esito positivo saranno per forza di cose indeboliti, se si pongono degli ostacoli che impediscono incontri facili e regolari tra gli interessati” (Corte EDU, 12/08/2020, E.C. c. Italia; conf., Corte EDU, 10/09/2019, Strand Lobben e altri c. Norvegia).

2.2.3. Con specifico riferimento alla cd. “adozione mite”, la Corte di Strasburgo ha, infine, affermato che “La Corte è ben consapevole del fatto che il rifiuto da parte dei tribunali di pronunciare un’adozione semplice risulta dall’assenza nella legislazione italiana di disposizioni che permettano di procedere a questo tipo di adozione, ma osserva anche che alcuni tribunali italiani (…) avevano pronunciato, per mezzo di una interpretazione estensiva dell’art. 44, lett. d), l’adozione semplice in alcuni casi in cui non vi era abbandono. (…)” Alla stregua di tali considerazioni, e sebbene lo Stato di appartenenza goda di un margine di apprezzamento in materia, la Corte ha concluso che costituisce un obbligo delle autorità italiane, “prima di prevedere la soluzione di una rottura del legame familiare”, di adoperarsi in maniera adeguata per fare rispettare il diritto della madre di vivere con il figlio, al fine di evitare di incorrere nella violazione del diritto al rispetto della vita familiare, sancito dall’art. 8 CEDU (Corte EDU, 21 gennaio 2014, Zhou c/Italia; conf. Corte EDU, 13 ottobre 2015, S. H. c/Italia).

2.3. In alcune decisioni della giurisprudenza di merito italiana è per vero – stata elaborata ed applicata, in conformità ai principi suesposti, una forma di adozione “mite”, interpretando estensivamente la L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d) e ritenendo che, nelle situazioni di “abbandono semipermanente” cioè di grave fragilità genitoriale, pur in presenza di un rapporto affettivo significativo – o a carattere ciclico (com’è nel caso di alcuni figli di genitori tossicodipendenti), possa essere opportuno che il trapianto del minore nella nuova famiglia sia accompagnato dalla permanenza di rapporti di fatto e giuridici con la famiglia di origine.

2.3.1. Sotto tale profilo, si osserva che l’ordinamento italiano conosce due forme di adozione. La prima è la “adozione legittimante”, in forza della quale “l’adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome”, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 27, comma 1, che al comma 3 stabilisce, altresì, che “con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali”. Siffatta forma di adozione ha per presupposto imprescindibile lo stato di adottabilità, ex art. 7 della stessa Legge, che può essere pronunciato quando sia accertata, dal Tribunale per i minorenni competente, “la situazione di abbandono dei minori perchè privi di assistenza morale o materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purchè la mancanza di assistenza non sia dovuta a cause di forza maggiore di carattere transitorio”.

L’adozione “legittimante” conosce, pertanto, due fasi: la prima (artt. 7 e segg.) destinata a sfociare – se non ricorrono i presupposti per una declaratoria di non luogo a provvedere, ex art. 16 – nella dichiarazione di stato di adottabilità del minore, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 15; la seconda, che si conclude con la pronuncia di adozione, ai sensi dell’art. 25, preceduta da un periodo di affidamento preadottivo ex art. 22 della Legge succitata. La dichiarazione di stato di adottabilità del minore è, dunque, prodromica all’adozione “legittimante” – come si evince dal tenore letterale dell’art. 7, che recita: “L’adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità” – alla quale segue, ai sensi dell’art. 27, comma 3, la rottura dei rapporti tra l’adottato e la famiglia di origine.

2.3. 2. La seconda forma di adozione è costituita dall'”adozione in casi particolari”, prevista dalla L. n. 184 del 1983, art. 44, che non presuppone necessariamente lo stato di adottabilità del minore e che non recide i rapporti di quest’ultimo con la famiglia di origine. Tra i casi contemplati dalla norma assume peculiare rilievo nella fattispecie concreta – per essere stata la norma posta a fondamento, come dianzi detto del modello cd. di “adozione mite” quello di cui dell’art. 44, lett. d), che consente l’adozione “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”.

Siffatta forma di adozione integra, invero, una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l’adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando, come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura, con l’unica previsione della “condicio legis” della “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, che va intesa, in coerenza con lo stato dell’evoluzione del sistema della tutela – anche a livello comunitario ed internazionale – dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva, come impossibilità “di diritto” di procedere all’affidamento preadottivo (Cass., 22/06/2016, n. 12962; Cass. Sez. U., 08/05/2019, n. 12193).

2.4. Muovendo da tali coordinate di sistema e dal relativo quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, questa Corte è, pertanto, di recente pervenuta al convincimento – che si intende ribadire in questa sede – che la pluralità di modelli di adozione presenti nel nostro ordinamento imponga ormai – in armonia con le affermazioni di principio della Corte Europea, e con le previsioni del diritto interno che prevedono il diritto prioritario del minore ad essere cresciuto ed allevato nella sua famiglia di origine (art. 30 Cost., art. 315 bis c.c., comma 2, L. n. 184 del 1983, art. 1) – di valutare, di volta in volta, tenendo conto delle peculiarità del caso concreto, il ricorso al modello di adozione che non recida in toto i rapporti del minore con la famiglia di origine, piuttosto che il ricorso all’adozione “legittimante”. In presenza di situazioni di “semi-abbandono”, nelle quali, cioè, la non piena idoneità genitoriale dei genitori biologici non esclude, tuttavia, l’opportunità – in considerazione dell’affetto e dell’interesse, da essi comunque dimostrato nei confronti del minore – della loro presenza nella vita del figlio, l’adozione che recida ogni rapporto con il genitore biologico può rivelarsi una scelta non adeguata al preminente interesse del minore.

Ne consegue che il giudice chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore, e quindi sulla dichiarazione di adottabilità, deve accertare la sussistenza dell’interesse del medesimo a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, perchè l’adozione legittimante costituisce una “extrema ratio” cui può pervenirsi quando non si ravvisi tale interesse. E ciò in considerazione del fatto che nell’ordinamento – come dianzi detto – coesistono sia il modello di adozione fondato sulla radicale recisione dei rapporti con i genitori biologici, sia modelli che escludono tale requisito e consentono la conservazione del rapporto, quali le forme di adozione disciplinate della L. n. 184 del 1983, artt. 44 e segg. e in particolare l’art. 44, lett. d) (Cass., 13/02/2020, n. 3643).

2.5. tanto premesso in via di principio, va rilevato che, nel caso concreto, la Corte d’appello ha dato atto che, dal maggio 2012, data di affidamento della piccola A., la madre era riuscita ad incontrare la figlia per due sole volte, nel (OMISSIS), presso l’associazione (OMISSIS). E già in tali occasioni, la madre biologica aveva espresso la volontà di poter avere “rapporti saltuari ma continui” con la figlia. A seguito della sospensione degli incontri, dovuta al sisma del 2016, la T. secondo quanto riferisce la stessa Corte d’appello – aveva acconsentito, nell’interesse della minore di graduare gli incontri, in modo da abituare la piccola all’accesso nella sua vita di una madre “diversa” da quella affidataria, senza peraltro mai dismettere il suo interesse per la figlia, tanto da richiedere espressamente che venisse adottata nei suoi confronti la cd. “adozione mite”, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44 (pp. 2 e 3 della sentenza di appello), mentre si opponeva all’adozione “legittimante”.

Il Tribunale per i minorenni, con decreto dell’1 giugno 2016, aveva, del resto, disposto che i Servizi sociali del Comune di Treia predisponessero un calendario di incontri tra la T. e la piccola A., ma al provvedimento non veniva dato corso. L’intenzione della madre di riprendere gli incontri con la minore veniva, peraltro, di continuo ribadita dalla medesima, e ne dava atto la comunicazione del “(OMISSIS)” del (OMISSIS). Tanto che la stessa si era sottoposta, nel corso dello stesso anno 2017, a quattro incontri preparatori, senza la presenza della minore, al fine di prepararsi nel modo più adeguato ad incontrarla.

2.6. Di tale volontà della ricorrente di potersi gradatamente riavvicinare e recuperare un rapporto affettivo con A. – pur ammettendo la medesima “di non essere in grado di fornirle la cura e l’assistenza necessaria, riconoscendo l’affidamento etero-familiare come una opportunità per la stessa” – è, del resto, consapevole la stessa Corte d’appello, laddove evidenzia che la T. ha sempre manifestato interesse per la figlia, “avendo ripetutamente cercato di incontrarla”. E tuttavia, il giudice di appello – sebbene abbia dato atto della sussistenza di impedimenti oggettivi, dunque non imputabili alla madre, alle possibilità di incontro tra quest’ultima e la minore – ha dipoi, del tutto incongruamente, concluso nel senso della sussistenza in capo alla medesima di “limiti soggettivi, non a carattere temporaneo ed emendabile”, così – contraddittoriamente imputando alla T. la volontà di rivestire una ruolo secondario nella vita della figlia.

L’esclusione di una piena idoneità della madre – peraltro attestata dal provvedimento di decadenza della medesima dalla responsabilità genitoriale – non comporta, nondimeno, che la stessa non possa rivestire un ruolo importante e complementare, rispetto a quello svolto dalla coppia affidataria, nella vita della minore e nell’interesse della medesima. Tale possibilità non è stata, per contro, neppure considerata dalla Corte territoriale, mediante approfondimento della peculiare situazione concreta di una madre biologica che non intende abbandonare del tutto la figlia, pur sentendo di non essere ancora pienamente in grado di accudirla, mediante il ricorso ai mezzi istruttori necessari, se del caso anche mediante una consulenza psicologica. La motivazione sul punto è, per vero, totalmente assente, oltre che – come dianzi detto – del tutto illogica e contraddittoria, in ordine alle ragioni del mancato riavvicinamento della madre alla figlia naturale, e dunque certamente al di sotto del minimo costituzionale che rende la anomalia motivazionale rilevante come violazione di legge, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., 27/11/2014, n. 25216; Cass., 11/04/2017, n. 9253; Cass. Sez. U., 21/02/2017, n. 17619).

2.7. Ed è, invece, proprio a situazioni di tal fatta che è finalizzata la cd. “adozione mite” – invano sollecitata dalla T. – la cui scelta del tutto erroneamente la Corte d’appello ha demandato alla fase della pronuncia di adozione che, per converso, essendo stata confermata la dichiarazione di adottabilità della minore della L. n. 184 del 1983, ex art. 8, per le ragioni suesposte, non avrebbe potuto essere se non quella della “adozione legittimante”, con conseguente recisione di ogni rapporto della minore con la madre biologica.

2.8. Ne discende che la Corte territoriale si è sottratta all’obbligo – sulla stessa incombente, anche in forza dei succitati arresti della giurisprudenza Europea – di considerare, compiuti gli opportuni approfondimenti istruttori, il ricorso ad una forma di “adozione mite”, ai sensi dell’art. 44, lett. d), che consenta un graduale recupero del rapporto tra quest’ultima e la madre biologica, in considerazione dell’affetto e dell’interesse dimostrato dalla madre nei suoi confronti, in luogo di limitarsi a confermare – come ha fatto – la dichiarazione dello stato di adottabilità della piccola A., effettuata dal Tribunale per i minorenni.

A siffatta forma di adozione, peraltro, il giudice di merito avrebbe potuto fare luogo, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 46, anche in difetto del consenso della madre biologica, nella specie, non esercente la responsabilità genitoriale, la quale, per contro, ne aveva addirittura sollecitato essa stessa l’applicazione.

2.9. Per tali ragioni, il ricorso va, pertanto, accolto.

3. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei seguenti principi di diritto: “L’adozione cd. “legittimante”, che determina, oltre all’acquisto dello stato di figlio degli adottanti in capo all’adottato, ai sensi della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 27, comma 1, la cessazione di ogni rapporto dell’adottato con la famiglia d’origine, ai sensi del comma 3, coesiste nell’ordinamento con la diversa disciplina dell'”adozione in casi particolari”, prevista dalla L. n. 184 del 1983, art. 44, che non comporta l’esclusione dei rapporti tra l’adottato e la famiglia d’origine; in applicazione dell’art. 8 CEDU,

art. 30 Cost., L. n. 184 del 1983, art. 1 e art. 315 bis c.c., comma 2, nonchè delle sentenze in materia della Corte EDU, il giudice chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore, e quindi sulla dichiarazione di adottabilità, deve accertare la sussistenza dell’interesse del medesimo a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, costituendo l’adozione legittimante un'”extrema ratio” cui può pervenirsi nel solo caso in cui non si ravvisi tale interesse; il modello di adozione in casi particolari, e segnatamente la previsione di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. d), può, nei singoli casi concreti e previo compimento delle opportune indagini istruttorie, costituire un idoneo strumento giuridico per il ricorso alla cd. “adozione mite”, al fine di non recidere del tutto, nell’accertato interesse del minore, il rapporto tra quest’ultimo e la famiglia di origine”.

4. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2021

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