Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14758 del 30/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 14758 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA
sul ricorso 13875-2013 proposto da:
COZZA SANTO c.f.

CZZSNT49C27F001C,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ARNO 6, presso lo studio
dell’avvocato MORCAVALLO ORESTE, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ULPIANO MORCAVALLO,
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014

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contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI COSENZA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 223/2013 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 30/06/2014

di

CATANZARO,

depositata

il

05/03/2013

R.G.N.

1474/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 30/04/2014 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

/

udito l’Avvocato MORCAVALLO ORESTE;

R.G. 13875/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

itag

Santo Cozza adiva il Giudice del lavoro del Tribunale di Cosenza
chiedendo che fosse dichiarato il suo diritto alla riammissione in servizio

l’infermità che ne aveva determinato la inidoneità e che l’amministrazione
fosse condannata al pagamento del trattamento economico spettantegli dalla
data del parere medico-legale favorevole (17-10-2006), nonché al risarcimento
del danno non patrimoniale subito dal lavoratore ricorrente a causa
dell’inattività alla quale era stato costretto, da determinarsi in via equitativa.
In particolare il ricorrente deduceva:
che già dirigente veterinario presso l’Azienda sanitaria n. 4 veniva
collocato in pensione in data 1-4-2003 a seguito di visita medico-legale presso
il Centro di Medicina Legale di Catanzaro dell’ 11-2-2003, che lo giudicava
inidoneo a svolgere qualsiasi attività lavorativa, con revisione a tre anni;
che al termine di tale scadenza veniva sottoposto a nuova visita dalla
Commissione di verifica di Cosenza e giudicato inidoneo alle attività proprie
della qualifica professionale di appartenenza ma idoneo ad altro lavoro a
minima sollecitazione fisica con cessazione della fruizione del trattamento
pensionistico di cui alla 1. 335/1995;
che in conseguenza aveva inoltrato domanda di riassunzione in servizio, a
seguito della quale veniva nuovamente sollecitato parere medico-legale della
Commissione medica di prima istanza che precisava la sua idoneità alle
mansioni lavorative di veterinario, con esclusione di attività esterne stressanti,
e consigliava l’utilizzo in mansioni dirigenziali di tipo amministrativo;
1

presso l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, essendo venuta meno

che pertanto egli aveva richiesto la ricostituzione del rapporto, ma senza
esito.
La Azienda si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.
Con sentenza n. 786/2010 il Giudice del lavoro del Tribunale di Cosenza

21 del ceni del 2004 che disciplinava la ricostituzione del rapporto e dichiarava
nulla la richiesta di risarcimento del danno.
Il Cozza proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con l’accoglimento della domanda ed all’uopo deducendo:
la omessa valutazione dei concreti accadimenti con riferimento in
particolare al termine triennale di revisione dello stato di salute con la
conseguente impossibilità a formulare istanza di riassunzione prima della
ulteriore valutazione medico-legale allo scadere del triennio;
la errata valutazione del datore di lavoro, nell’aver omesso di ricercare una
occupazione compatibile con il suo stato di salute;
la sufficiente specificazione del danno richiesto con riferimento alla
mancata fruizione della pensione ed alla forzata inattività.
L’Azienda appellata si costituiva resistendo al gravame.
La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 5-3-2013,
rigettava l’appello, compensando le spese.
In sintesi la Corte territoriale, pur rilevando che, essendo intervenuta la
nuova valutazione medico-legale dopo tre anni, era impossibile per il
lavoratore formulare domanda di ricostituzione del rapporto entro i due anni
previsti dall’art. 21 del ccnl, affermava che da tale incongruenza non era
possibile fare discendere le conseguenze volute dal Cozza.
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rigettava la domanda per essere stata inoltrata oltre il biennio previsto dall’art.

Infatti, rilevava la Corte che dalla detta valutazione scaturiva anche
implicitamente che prima dei tre anni il Cozza non potesse formulare una

1/0

domanda di ricostituzione del rapporto e, che, comunque, era preciso onere del
lavoratore sollecitare una nuova valutazione entro il termine del biennio. In

ricostituzione del rapporto, ma a tale sua facoltà (al pari di quanto già previsto
dall’art. 132 del T.U. n. 3/1957) non corrispondeva un obbligo datoriale di
accogliere la domanda, ma solo quello di valutarla conformemente ai requisiti
previsti dal comma 5° (disponibilità del corrispondente posto nella dotazione
organica e relativa idoneità fisica), i quali, nel caso di specie neppure sono
risultati provati.
Per la cassazione di tale sentenza il Cozza ha proposto ricorso con tre
motivi.
L’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza è rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia falsa applicazione del ceni 8-62000, dell’art. 21, primo comma, del ccl 10-2-2004, integrativo dell’anzidetto,
dell’art. 55 octies del d.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall’art. 69, comma 1,
del d.lgs. n. 150/2009 ed attuato dagli artt. 7 e 9, primo comma del d.P.R. n.
171 del 2011, nonché degli artt. 4, 35 primo comma, e 36 primo comma della
Costituzione, in ragione dell’erronea applicazione, nella fattispecie, del termine
decadenziale di cui all’art. 21 del ccl integrativo del 2004 citato.
In sostanza il ricorrente deduce che la disciplina della ricostituzione del
rapporto e la previsione del termine decadenziale di due anni è contenuta non
già nel contratto collettivo dell’8-6-2000, bensì nell’art. 21 del ccl integrativo
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ogni caso, poi, il lavoratore in base al citato art. 21 poteva richiedere la

del 10-2-2004 e rileva che, in base all’art. 44, secondo comma, del medesimo
contratto integrativo, il predetto art. 21, non essendo menzionato tra quelli ad
efficacia retroattiva e decorrente dal 31-12-2001, contiene disposizioni efficaci
a decorrere dall’entrata in vigore del contratto integrativo stesso in cui è

Nella specie, quindi (risalendo la visita medica, all’esito della quale venne
disposta la revisione alla scadenza del triennio, all’ 11-2-2003, con relativo
verbale con referto redatto in data 26-2-2003) la previsione del termine
triennale di revisione non poteva sottintendere (come invece ritenuto dalla
Corte di merito) l’esclusione della vicenda ricostitutiva del rapporto in
relazione al termine (biennale) di decadenza, che fu previsto soltanto in epoca
successiva.
Al riguardo, in particolare, il ricorrente afferma che all’epoca del
collocamento in pensione del ricorrente (1-4-2003) la proponibilità della
domanda di ricostituzione del rapporto di lavoro, a seguito della collocazione
in pensione per inidoneità fisica assoluta, non era soggetta ad alcun termine
decadenziale, atteso che: a) ogni anteriore normativa in materia di pubblico
impiego aveva cessato di produrre effetti a far data dalla stipulazione dei
contratti collettivi per il quadriennio 1998/2001, ex art. 69, primo comma,
ultimo periodo, del d.lgs. n. 165/2001; b) nessuna disposizione in materia era
contenuta nel ceni dell’8-6-2000, essendo stata la fattispecie contemplata
soltanto nel ccl integrativo del 2004.
Tale lacuna normativa, per il ricorrente, era astrattamente colmabile
secondo due distinti criteri argomentativi:

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inserito.

o ricorrendo all’art. 55 octies del d.lgs. n. 165/2001 (siccome introdotto
dall’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009 ed attuato dagli artt. 7 e 9,
primo comma, del d.P.R. n. 171 del 2011) il quale reca una disciplina specifica
della ricostituzione del rapporto a seguito di pregressa interruzione per inabilità

della proposizione della domanda di ricostituzione del rapporto di lavoro e
dall’ inserimento automatico delle relative clausole), da ritenersi
sostanzialmente retroattiva, in quanto espressione di principi già immanenti al
sistema in attuazione del dettato costituzionale (art. 4, 35 primo comma e 36
Cost.);
oppure ritenendo che, dopo la stipulazione dei ceni per il quadriennio
1998/2001 e prima del ccl integrativo del 2004, l’applicazione del dettato
costituzionale comportasse necessariamente la configurabilità in capo al
lavoratore, riconosciuto non più invalido o inabile in sede di revisione, del
diritto alla ricostituzione del rapporto pur in assenza di una specifica disciplina
normativa o contrattuale collettiva.
Anche in tali ipotesi, quindi, secondo il ricorrente, dovrebbe in ogni caso
escludersi l’operatività del termine decadenziale applicato dalla Corte di
merito.
Con il secondo motivo il ricorrente, in subordine, denuncia falsa
applicazione o violazione del citato art. 21, primo comma, del ccl integrativo
del 2004, in ragione della erronea individuazione del dies a quo del termine
decadenziale in quello dell’intervenuta cessazione del rapporto anziché in
quello dell’intervenuto accertamento della cessazione della condizione di
inabilità assoluta allo svolgimento della prestazione lavorativa.
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fisica (caratterizzata, tra l’altro, dall’assenza di un termine di decadenza ai fini

In particolare il ricorrente deduce che il termine decadenziale non
potrebbe che decorrere dal momento in cui, riscontrato in sede di visita di
revisione il venir meno della condizione inabilitante, il lavoratore sia in grado
di manifestare il proprio interesse e di esercitare il proprio diritto alla

contratto collettivo sarebbe nulla, in quanto renderebbe eccessivamente
difficile (o piuttosto impossibile) l’esercizio del diritto del lavoratore alla
ricostituzione del rapporto ed, in ogni caso, contrasterebbe con i citati artt. 4,
35 primo comma e 36 della Costituzione.
Nella specie, quindi, secondo il ricorrente,

dovendo il termine

decadenziale decorrere soltanto dal 9-3-2006 (data della visita medica di
revisione in cui si riscontrò il venir meno dello stato di inabilità assoluta)
tempestiva sarebbe stata la domanda di ricostituzione del rapporto proposta il
16-6-2006 e poi ribadita il 20-3-2007.
Tali primi due motivi, che in quanto strettamente connessi fra loro
(oltreché il secondo subordinato al primo) possono trattarsi congiuntamente,
vanno respinti come di seguito.
Innanzitutto va evidenziata la disciplina che va applicata in materia di
riammissione in servizio (nella specie a seguito della cessazione della
condizione di inabilità) giacché, seppure il termine di decadenza biennale per la
proposizione della domanda (con la relativa disciplina) risulti invero introdotto
con il ccl integrativo del 2004 (nulla prevedendo al riguardo il ceni del 2000),
non può di certo affermarsi che in precedenza non vi fosse alcun termine di
decadenza e alcuna disciplina specifica nella materia de qua.

6

ricostituzione del rapporto di lavoro. Se così non fosse, la relativa clausola del

Per i dipendenti delle unità sanitarie locali la materia era, infatti,
disciplinata dall’art. 59 del d.P.R. n. 761 del 1979 (invocato anche dal Cozza
nella domanda introduttiva), i cui primi tre commi disponevano testualmente:
“Il dipendente cessato dall’impiego per dimissioni, per dispensa dal

riassunzione in servizio nel termine prefissatogli, può essere riammesso in
servizio con motivato provvedimento della regione.
La riammissione deve essere chiesta entro un anno dalla cessazione
dall’impiego ed è subordinata al possesso dei requisiti generali per l’assunzione,
escluso quello della età, e alla vacanza del posto.
Al dipendente riammesso in servizio si applicano le, disposizioni di cui
all’art. 132 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.”
Il termine di decadenza in precedenza previsto era, quindi, di un anno
dalla cessazione dall’impiego e la materia era regolata, in generale, dall’art.
132 d.P.R. n. 3/1957 citato ed in specie, a seguito della “privatizzazione” del
rapporto di lavoro, dai principi affermati da questa Corte e scaturenti dalla
valutazione degli atti e procedimenti posti in essere dall’amministrazione
secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro (v.
Cass. 18-2-2005 n. 3360, Cass. 5-10-2006 n. 21408, Cass. 4-10-2007 n. 20787,
Cass. 14-8-2008 n. 21660, Cass. 5-11-2008 n. 26556, Cass. 21-12-2009 n.
26827, Cass. 15-3-2011 n. 6037).
Tale disciplina, anche dopo la “contrattualizzazione” del rapporto di
pubblico impiego è rimasta in vigore fino a quando i contratti collettivi di
settore non avessero dettato una diversa regolamentazione (v. art. 72, comma 1,
d.lgs. n. 29 del 1993) e la durata del periodo transitorio è stata in seguito
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servizio per motivi di salute o decadenza conseguente a mancata assunzione o

precisata con riferimento alla sottoscrizione dei contratti collettivi del
quadriennio 1998/2001 (v. art. 69, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001; cfr. per
tutte Cass. n. 3360/2005 cit.).
In specie, la riammissione in servizio non è stata regolamentata dal ceni

elencato fra le “disposizioni inapplicabili” a seguito della stipulazione dei
1994/1997 (v. art 71 e Allegato B , IV Sanità, 1., lettera d), che richiama
espressamente altri articoli del detto d.P.R. e non anche l’art. 59).
Il successivo ceni 8-6-2000 (Area dirigenza medica e veterinaria del
S.S.N.), poi, in effetti nulla ha disposto in particolare nella materia in esame.
Lo stesso ceni del 2000, però, all’art. 63, comma 2, ha previsto che “entro il 30
giugno 2001, le parti procederanno, altresì, ai sensi dell’art. 72 del d.lgs. n. 29
del 1993, alla piena contrattualizzazione della disciplina del rapporto di lavoro
mediante recupero alla disciplina pattizia degli istituti non regolamentati dal
precedente CCNL ed eventuale revisione delle norme contrattuali da
attualizzare,…” ed ha stabilito che “nelle more dell’applicazione del comma 2,
le norme di legge, regolamentari e contrattuali che non sono espressamente
abrogate dal presente contratto rimangono in vigore”.
Successivamente il ccl integrativo del 10-2-2004 all’art. 21
(“Ricostituzione del rapporto di lavoro”), ha regolamentato la materia e, tra
l’altro, ha così disposto:
“1. Il dirigente che abbia interrotto il rapporto di lavoro per proprio
recesso o per motivi di salute può richiedere alla stessa azienda, entro due anni
dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, la ricostituzione dello stesso.

8

1994/1997 ed in particolare l’art. 59 del d.P.R. 761 del 1979 non è stato

2. L’azienda si pronuncia entro 60 giorni dalla richiesta; in caso di
accoglimento, il dirigente è ricollocato, previa stipulazione del contratto
individuale,

nella

qualifica

dirigenziale,

posizione

economica

iniziale
7. E’ disapplicato l’art. 59 del d.P.R. 761/1979.”
Lo stesso ccl integrativo, poi, all’art. 44, comma 3, ha stabilito che “tutte
le norme non menzionate nel comma 2 (fra le quali non è indicato l’art. 21)
decorrono dalla data di entrata in vigore del presente contratto, fatta salva
diversa esplicita decorrenza indicata nelle singole clausole nonché quanto
previsto dall’art. 45 comma 3” e all’art. 45 ha disposto che: “1.Dalla data di
stipulazione del presente CCNL, ai sensi degli artt. 69, comma 1 e 71 del d. lgs.
165/2001, sono disapplicate tutte le norme contenute:
a)…
d) nel D.P.R. 761/1979, ivi compreso il rinvio alle disposizioni del Testo
Unico del 3 gennaio 1957 degli impiegati civili dello Stato, espressamente
menzionate nei CCNL citati nelle precedenti lettere e nel presente contratto
collettivo…..”.
Da tale quadro contrattuale, quindi, risulta chiaramente che, nella
regolamentazione collettiva, la disciplina di cui all’art. 59 del d.P.R. n. 761 del
1979 ha trovato espressamente la sua definitiva disapplicazione con la stipula
del contratto integrativo del 2004 e con la introduzione della nuova disciplina,
che, tra l’altro, ha fissato il termine di decadenza biennale, con efficacia ex

nunc (e cioè dal 10-2-2004).

9

.

In sostanza nella volontà espressa dalle parti collettive non vi è stata
alcuna vacatio, nella regolamentazione della materia de qua, nel periodo che va

7g

dalla stipula del ceni del 2000 alla stipula del ccl integrativo del 2004.
Orbene, a prescindere da ogni considerazione sulla legittimità o meno di

d.lgs. n. 165 del 2001, osserva il Collegio che, nella fattispecie in esame,
essendo cessato il rapporto il 1-4-2003 ed essendo stata proposta la domanda di
riammissione in servizio il 16-6-2006, la domanda del Cozza non può che
considerarsi in ogni caso tardiva.
Seppure infatti si voglia – in ipotesi – ritenere che all’epoca della
cessazione del rapporto non fosse più, in alcun modo, applicabile la disciplina
ed il termine di decadenza previsti dall’art. 59 del d.P.R. n. 761/1979, è certo
che, comunque, a decorrere dal 10-2-2004 è entrata in vigore la nuova
disciplina ed è iniziato a decorrere il (nuovo) termine di decadenza biennale, di
guisa che, in ogni caso, risulta tardiva la domanda del 16-6-2006.
Né può ritenersi che il termine stesso debba decorrere soltanto dalla visita
di revisione del 9-3-2006, giacché il Cozza non ha in alcun modo contestato la
valutazione medico legale del 11-2-2003 e successivamente neppure ha
sollecitato, come ben avrebbe potuto, una nuova valutazione, limitandosi
semplicemente ad attendere la prevista revisione dopo il triennio.
D’altra parte certamente non si tratta di una applicazione retroattiva della
nuova decadenza (come tale logicamente non configurabile e non tollerabile,
cfr. C. Cost. n. 191 del 2005), giacché il (nuovo) termine di decadenza viene
pur sempre a decorrere dalla sua entrata in vigore.
In tali sensi vanno quindi respinti i primi due motivi del ricorso.
10

tale pattuizione collettiva alla luce del disposto di cui all’art. 69, comma 1, del

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 55 octies del
d.lgs.n. 165 del 2001 citato o, comunque, dell’art. 21 del ceni integrativo del
2004, con riferimento alle ulteriori argomentazioni svolte nell’impugnata
sentenza “in ogni caso e per completezza”, nell’ipotesi in cui si ritenesse che le

decidendi”.
In tale ipotesi (definita dallo stesso ricorrente “del tutto remota e
comunque decisamente avversata”) il dott. Cozza lamenta che la Corte
territoriale ha erroneamente qualificato la ricostituzione del rapporto come
attività discrezionale dell’amministrazione datrice di lavoro – e, comunque, ha
escluso l’obbligo di motivazione in relazione alla compiuta determinazione,
ancorché avente, in ipotesi denegata, carattere discrezionale – ed ha
erroneamente applicato la disciplina relativa al cosiddetto repechage del
lavoratore divenuto inabile allo svolgimento delle proprie mansioni. Il
ricorrente deduce, poi, che erroneamente la sentenza impugnata ha escluso che
egli avesse compiuto l’allegazione e fornito la prova dei requisiti necessari alla
ricostituzione del rapporto ed al riguardo lamenta l’omesso esame di vari fatti
decisivi, oggetto di discussione.
Tale motivo risulta inammissibile, giacché, come in sostanza riconosce lo
stesso ricorrente, le censure sono rivolte contro argomentazioni svolte (“in ogni
caso e per completezza….”) ad abundantiam nell’impugnata sentenza, come
tali non costituenti rationes decidendi (v. Cass. 22-11-2010 n. 23635, Cass. 2311-2005 n. 24591).
Il ricorso va pertanto respinto.

11

dette argomentazioni “integrino ulteriori, concorrenti ed autonome rationes

Infine non deve provvedersi sulle spese, non avendo l’intimata svolto
alcuna attività difensiva, e, trattandosi di ricorso notificato successivamente al
termine previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi
atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.

2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese; ai sensi dell’art. 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per
il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13.
Roma 30 aprile 2014

n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della citata legge n. 228 del

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