Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14757 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2021, (ud. 26/02/2021, dep. 27/05/2021), n.14757

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18630/14 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

cui è elettivamente domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi, n.

12;

– ricorrente –

contro

A.R.N.A.S. – Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta

Specializzazione – in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa, giusta mandato in calce al controricorso,

dall’avv. Salvatore Iannello, con domicilio eletto presso di lui in

Roma, via Giovan Battista Gandino, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia n. 1087/30/14 depositata in data 1 aprile 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 febbraio

2021 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate propose appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo n. 92/8/10 che, decidendo sul ricorso proposto dalla A.R.N.A.S. avverso la cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, in relazione all’annualità 2004, aveva dichiarato estinto il giudizio e condannato l’Amministrazione finanziaria al pagamento della metà delle spese del giudizio, compensandole per la restante metà.

Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, nel corso del giudizio di primo grado l’Ufficio aveva richiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, avendo provveduto all’annullamento dell’iscrizione a ruolo, e la compensazione delle spese di lite, istanza a cui si era opposta la parte contribuente.

2. La Commissione tributaria regionale della Sicilia, con la decisione in questa sede impugnata, rigettò l’impugnazione, rilevando che i giudici di primo grado, nella liquidazione delle spese, avevano messo in rilievo il comportamento della parte contribuente che si era fatta parte diligente, già in epoca anteriore alla notifica della cartella esattoriale, manifestando all’Ufficio di non essere tenuta al pagamento di somme, richiedendo appuntamento all’Ufficio impositore e depositando presso la stessa Agenzia delle entrate le quietanze di pagamento delle somme oggetto di intimazione. Ritenne, dunque, che il comportamento dell’Ufficio aveva comportato notevoli disagi e spese alla parte contribuente che, ben quattro mesi dopo la presentazione dell’istanza di sgravio con allegata la documentazione comprovante la regolarità e tempestività dei pagamenti, aveva ricevuto la notifica della cartella di pagamento con conseguente instaurazione del contenzioso tributario, che era stato definito a distanza di sedici mesi dall’istanza di sgravio.

3. L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con un unico motivo. Resiste con controricorso la A.R.N.A.S..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo articolato la difesa erariale denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, e degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sottolineando che i giudici regionali hanno confermato la decisione di primo grado con la quale la C.T.P. aveva disposto l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere e, con riguardo alle spese, aveva ritenuto che il comportamento iniziale della parte contribuente, ossia l’errata compilazione del modello 770, avesse inciso sull’erronea iscrizione a ruolo, lamenta che la C.T.R. ignorando il fatto decisivo costituito dall’errore addebitabile alla contribuente, non ha tenuto conto che l’iscrizione a ruolo era stata del tutto legittima. In realtà, aveva attivato il controllo sui pagamenti al fine di chiudere il contenzioso quanto prima e, pertanto, nessuna responsabilità poteva esserle ascritta, dal momento che l’iscrizione a ruolo non derivava da una errata liquidazione della dichiarazione presentata, ma dall’errata compilazione della stessa da parte dell’Azienda ospedaliera.

La decisione impugnata, ad avviso della ricorrente, è dunque errata perchè intende sostituire il criterio della soccombenza, quale principio regolatore dell’attribuzione del carico delle spese, con quello della asserita colpa dell’Amministrazione per non avere immediatamente proceduto allo sgravio.

2. In controricorso la contribuente ha, in via preliminare, eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 348-ter c.p.c., stante la conferma, da parte dei giudici di appello, della decisione di primo grado per le medesime ragioni di fatto che avevano giustificato la condanna dell’Agenzia delle entrate al pagamento della metà delle spese.

L’eccezione va disattesa.

Come è noto, il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto l’art. 348-ter c.p.c., il quale esclude la possibilità di proporre ricorso per cassazione per il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso in cui l’ordinanza di inammissibilità dell’appello, di cui all’art. 348-bis, o la sentenza d’appello siano fondate sulle stesse ragioni, inerenti le questioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado. Si tratta del cd. principio della “doppia conforme” che esclude la sindacabilità da parte della Corte di Cassazione sulla ricostruzione del fatto.

Nel caso di specie, con il motivo formulato, l’Agenzia delle entrate non pone a base del ricorso un vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, finalizzato ad ottenere una diversa ricostruzione del fatto, ma deduce piuttosto una violazione di legge, sicchè si discute di un vizio che esula dal perimetro del principio della cd. “doppia conforme”.

3. Il motivo di ricorso è infondato.

3.1. La sentenza impugnata, secondo la ricorrente, avrebbe regolato le spese del giudizio violando il principio della cd. soccombenza virtuale, in applicazione del quale la C.T.R. avrebbe dovuto condannare la contribuente al pagamento integrale delle spese di lite o, quanto meno, disporre la integrale compensazione tra le parti delle stesse.

3.2. Secondo la costante e ribadita giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 5, 21/09/2010, n. 19947), in tema di processo tributario, nell’ipotesi di estinzione del giudizio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, comma 1, per cessazione della materia del contendere determinata dall’annullamento in autotutela dell’atto impugnato (dovuta all’accoglimento di uno dei motivi preliminari d’invalidità dedotti dal contribuente), può essere disposta la compensazione delle spese di lite ai sensi del medesimo D.Lgs., art. 15, comma 1, in quanto intervenuta all’esito di una valutazione complessiva della lite da parte del giudice tributario, trattandosi di un’ipotesi diversa dalla compensazione ope legis prevista dal sopra citato art. 46, comma 3, come conseguenza automatica di qualsiasi estinzione del giudizio, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 274 del 2005.

3.3. Con tale ultima sentenza tale previsione è stata dichiarata parzialmente illegittima, in relazione al principio di ragionevolezza, riconducibile all’art. 3 Cost., nella parte in cui essa si riferisce alle ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge. La compensazione ope legis delle spese, nel caso di cessazione della materia del contendere, infatti, rendendo inoperante il principio di responsabilità delle spese del giudizio, osservato anche nel processo tributario, si traduce, secondo il Giudice delle Leggi, in un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento di regola determinato dal riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni e, corrispondentemente, in un ingiustificato pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi dell’assistenza tecnica di un difensore.

Secondo la Corte Costituzionale, il processo tributario è, in linea generale, ispirato, non diversamente da quello civile e da quello amministrativo, al principio di responsabilità per le spese del giudizio, come è dimostrato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, secondo cui la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese, salvo il potere di compensazione del giudice tributario (a norma dell’art. 92 c.p.c.), e dal medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 44, secondo cui, in caso di rinuncia al ricorso, il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro; la compensazione ope legis delle spese, nel caso di cessazione della materia del contendere, rendendo inoperante quel principio, si tradurrebbe in un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento (il ritiro dell’atto, nel caso dell’Amministrazione, o l’acquiescenza alla pretesa tributaria, nel caso del contribuente) di regola determinato dal riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni.

3.4. Va, inoltre, considerato che la soccombenza costituisce un’applicazione del principio di causalità, per il quale non è esente da onere delle spese la parte che, con il suo comportamento antigiuridico (per la trasgressione delle norme di diritto sostanziale), abbia provocato la necessità del processo, e prescinde dalle ragioni – di merito o processuali che l’hanno determinata (Cass., sez. 3, 15/07/2008, n. 19456; Cass., sez. 5, 21/04/2011, n. 9174).

3.5. Nella specie, non è in contestazione che, a seguito di iscrizione a ruolo e di notifica di cartella di pagamento, l’Agenzia delle entrate, in pendenza del giudizio di primo grado, ha emesso provvedimento di sgravio totale del carico tributario per Euro 43.205.050,59.

Sebbene l’iscrizione a ruolo sia stata determinata da un errore ascrivibile alla contribuente, che non avrebbe correttamente compilato il modello 770, non può trascurarsi che, nell’azionare la propria pretesa impositiva con la emissione di cartella di pagamento nei confronti della Azienda ospedaliera, nonostante quest’ultima, prima della notifica della cartella, avesse fatto tempestivamente presente di avere effettuato tutti i versamenti e avesse depositato le quietanze di pagamento delle somme oggetto di intimazione, la stessa Agenzia delle entrate sia incorsa in una grave violazione delle norme di diritto tributario sostanziale che giustifica e legittima la condanna al pagamento della metà delle spese di lite, disposta dai giudici provinciali e correttamente confermata dai giudici d’appello, che hanno chiaramente illustrato le ragioni che li hanno condotti a non compensare integralmente le spese e a non porle integralmente a carico della contribuente.

Infatti, la decisione impugnata, valorizzando il comportamento diligente dell’Azienda ospedaliera e valutando il comportamento dell’Ufficio che ha comunque proceduto alla notifica dell’atto impositivo pur dopo la presentazione dell’istanza di sgravio con allegata documentazione comprovante la regolarità e tempestività dei pagamenti, ha fatto buon governo dei superiori principi richiamati che non esonerano l’ufficio impositore dal pagamento delle spese processuali.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come in dispositivo.

Quanto all’obbligo legale del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato a carico della parte ricorrente soccombente (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis e comma 1-quater), esso non può avere luogo nei confronti di quelle parti, come le amministrazioni dello Stato, che sono istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., sez. 5, 15/05/2015, n. 9974; Cass., sez. U, 25/11/2013, n. 26280, in motivazione).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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