Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14757 del 18/06/2010

Cassazione civile sez. I, 18/06/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 18/06/2010), n.14757

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27186-2005 proposto da:

INTESA GESTIONE CREDITI S.P.A. c.f. (OMISSIS) (già IntesaBci

Gestione Crediti S.p.a.), nella qualità di mandataria di BANCA

INTESA S.p.a. (nuova ragione sociale di INTESABCI Spa che ha

incorporato la CARIPLO SPA), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BISSOLATI 76, presso

l’avvocato GARGANI BENEDETTO, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO COGEMAR S.R.L., in persona del Curatore Avv. T.

C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5,

presso l’avvocato MANZI ANDREA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DONELLA DARIO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 279/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 14/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2010 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato CATALANO ROBERTO, per delega,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato DONELLA che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo

del ricorso, assorbiti gli altri motivi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 857/2001, il Tribunale di Verona, accogliendo la domanda proposta il 17 ottobre 1990 dal Fallimento Cogemar s.r.l. nei confronti della Cariplo s.p.a., revocò le rimesse sul conto corrente scoperto della convenuta eseguite nell’anno anteriore al fallimento (dichiarato il (OMISSIS)) a norma dell’art. 67 cpv., L. Fall., per complessive L. 1.227.100.000, somma nella quale erano comprese le erogazioni rateali di un mutuo fondiario (contratto del (OMISSIS)) versate dalla stessa banca, e alcune operazioni delle quali il consulente tecnico assunto nel giudizio aveva affermato il carattere bilanciato.

Il giudizio fu confermato dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza in data 14 febbraio 2005, pronunciata nel contraddittorio tra il fallimento e Banca Intesa Banca Commerciale Italiana s.p.a., incorporante la Cariplo s.p.a. La corte respinse le censure in tema di accertamento della scientia decoctionis, rilevando che in aggiunta al meccanismo solutorio posto in essere attraverso l’erogazione rateale del mutuo, vi erano altri elementi indiziari di rilievo, costituiti dall’esistenza di protesti per cifre rilevanti verificatisi a partire dal 19 dicembre 1988, dall’andamento del conto corrente, che presentava scoperti pari anche a dieci volte il fido concesso, solo parzialmente ridotti soprattutto grazie all’erogazione delle rate di mutuo, e dalla mancata affluenza nel conto di somme importanti da parte di committenti o acquirenti o promissari acquirenti, sintomo di affievolimento dell’attività edile d’impresa.

Per la cassazione di questa sentenza, non notificata, ricorre Intesa Gestione Crediti s.p.a., che si qualifica mandataria di Banca Intesa s.p.a. (nuova ragione sociale di INTESABCI s.p.a., a sua volta incorporante la Cariplo s.p.a.) in forza di procura per atto autentico in data 4 febbraio 2005, con atto notificato il 4 novembre 2005, affidato a tre mezzi d’impugnazione.

La curatela fallimentare resiste con controricorso notificato il 12 dicembre 2005.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La curatela resistente eccepisce la nullità del mandato conferito dalla parte ricorrente all’Intesa Gestione Crediti per la gestione dei crediti della mandante, trattandosi di mandato speciale anteriore alla sentenza impugnata e non specificamente riferito al presente giudizio. L’eccezione è infondata, trattandosi, nel caso in esame, non già di procura alla lite, anteriore alla sentenza impugnata e per ciò stesso priva del requisito della specialità, ma di procura generale ad negotia, in forza della quale è stata rilasciata la procura alla lite (cfr., per la rilevanza di tale distinzione, Cass. 8 maggio 1995 n. 5021; 9 agosto 2005 n. 16736).

Con il primo motivo di ricorso, posto sotto la rubrica della violazione dell’art. 67 cpv., L. Fall., e artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. e del vizio di motivazione, si lamenta, da un lato, che sia stata ritenuta sufficiente la prova della conoscibilità, invece che della conoscenza dello stato d’insolvenza, e dall’altro che la prova presuntiva sul punto sia stata ritenuta raggiunta attraverso presunzioni semplici prive dei requisiti di legge.

Il motivo è infondato, nella parte in cui denuncia la violazione della norma applicabile in ordine alla prova della scientia decoctionis, e l’intrinseca illogicità della motivazione, ed è inammissibile nel resto. La corte territoriale ha ritenuto provata la scientia decoctionis utilizzando elementi, quali la predisposizione di un congegno contrattuale e l’andamento del conto corrente, conosciuti direttamente dalla banca e spiegati con la conoscenza dello stato d’insolvenza, e non solo presumibilmente conosciuti, come la pubblicazione di protesti. Il giudice di merito, poi, ha ritenuto che la pattuizione dell’erogazione rateale del mutuo fosse indizio di conoscenza dello stato d’insolvenza non già in sè, bensì per il fatto che, nelle circostanze di causa, il meccanismo contrattuale aveva una funzione esclusivamente e, stante il pesante indebitamento, necessariamente solutoria dello scoperto di conto corrente; e perchè ha accertato che le rate di mutuo fondiario erogate dalla banca erano state utilizzate, in conformità del regolamento contrattuale che a tal fine sarebbe stato predisposto, non già per l’attività edile dell’impresa, ma esclusivamente per ridurre l’elevato scoperto di conto corrente. Si tratta di valutazioni immuni da vizi di illogicità, e come tali incensurabili nel presente giudizio. Quanto alla rilevanza in tale accertamento dei protesti pubblicati, essa è stata ripetutamente riconosciuta da questa corte (v. per tutte Cass. 27 aprile 1998 n. 4277). Gli altri argomenti esposti nel ricorso postulano una verifica negli atti di causa, e attenendo al merito del giudizio sono inammissibili nel presente giudizio.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione delle norme in materia di mutui fondiari, e specificamente dell’art. 67, comma 3, L. Fall., perchè la corte territoriale ha ritenuto che le erogazioni previste dal contratto di mutuo fondiario – edilizio del (OMISSIS), e specificamente l’accredito in data 9 febbraio e i due accrediti in data 12 maggio 1989, avessero natura solutoria, per essere affluite sul conto corrente dopo lo sconfinamento Del problema sollevato dal mezzo di ricorso in esame questa corte si è ripetutamente occupata, esaminando fattispecie diverse. Per delimitare esattamente la questione sulla quale oggi la corte è chiamata a pronunciarsi occorre considerare che nella fattispecie non sono stati revocati nè l’atto di mutuo, nè la garanzia ipotecaria per esso pattuito, nè i pagamenti delle rate di mutuo eseguiti dalla banca a favore del correntista mutuatario; che oggetto della revocatoria sono stati i pagamenti dello scoperto di conto corrente eseguiti dal correntista – o, se di vuole, l’imputazione delle rimesse allo scoperto di conto con effetto solutorio, fatte dalla stessa banca attraverso il meccanismo dell’accredito sul conto – utilizzando le rate del mutuo erogate nel tempo dalla banca, e precisamente le rimesse di tali rate sul conto scoperto; infine, che tali rimesse sono state revocate a norma dell’art. 67 cpv., L. Fall., nel testo – applicabile ratione temporis – anteriore alla riforma attuata con la L. n. 80 del 2005.

Tanto premesso, secondo l’insegnamento di questa corte l’erogazione di un mutuo fondiario ipotecario, non destinato a creare un’effettiva disponibilità nel mutuatario, già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, può astrattamente integrare le fattispecie del procedimento negoziale indiretto, della simulazione e della novazione: in tutti i casi predetti, è azionabile il meccanismo revocatorio L. Fall., ex art. 67, comma 1 o comma 2 (Cass. 20 marzo 2003 n. 4069). Con la stessa citata pronuncia si è inoltre chiarito che l’ammissione al passivo della somma mutuata deve ritenersi incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poichè, in tal caso, la stessa revoca dell’intera operazione – e, quindi, anche del mutuo – comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma (realmente) erogata in virtù del mutuo revocato, atteso che, all’inefficacia del contratto, conseguirebbe pur sempre la necessità di restituzione, sia pur in moneta fallimentare. La circostanza dunque che nella fattispecie siano stati revocati, a norma dell’art. 67 cpv., L. Fall., solo le rimesse solutorie, e che le rate del mutuo pagate dalla banca siano state ammesse al passivo con il rango ipotecario, non essendo stata revocata – per ragioni che non sono riferite nell’impugnata sentenza e che non hanno interesse diretto nel presente giudizio – la garanzia ipotecaria annessa al contratto di mutuo, mentre conferma che non è in alcun modo ravvisabile nella fattispecie una violazione dell’art. 67, u.c., L. Fall., non implica alcuna contraddizione, e sottrae la decisione alle censure della parte ricorrente.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 67, comma 2, L. Fall., e l’esistenza di vizi di motivazione sul punto decisivo costituito dalla necessità del patto derogatorio tra banca e correntista per l’esclusione della revocatoria delle operazioni bilanciate che il consulente tecnico d’ufficio aveva individuato. Le rimesse in questione non erano state incassate dalla banca come se fossero avvenute a chiusura del conto, a tacitazione dell’obbligazione restitutoria liquida ed esigibile, perchè non avevano concorso a ridurre il debito della Cogemar s.r.l., ma costituivano rimesse aventi la specifica funzione di fornire la provvista per l’esecuzione di coevi o successivi ordine di pagamento.

Il motivo è infondato. La corte territoriale non si è limitata ad osservare che nella fattispecie non vi era prova di accordo derogatorio della banca alla norma contrattuale che consente alla banca di imputare la rimessa alla riduzione dello scoperto di conto corrente (che costituisce un credito liquido ed immediatamente esigibile), ma ha aggiunto ulteriori rilievi in punto di fatto, circa l’assenza o imperfetta corrispondenza di accrediti e addebiti, e, soprattutto, sulla mancanza di dati sulla natura delle singole operazioni, in particolare sulla causale e sui destinatari dei pagamenti. Si tratta di accertamenti di fatto sui quali il ricorso non presenta censure specifiche, e che escludono profili di diritto suscettibili di esame nel presente giudizio di legittimità.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 12.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione della Corte suprema di cassazione, il giorno 28 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2010

 

 

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