Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14756 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2021, (ud. 26/02/2021, dep. 27/05/2021), n.14756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17571/14 R.G. proposto da:

D.L. DUCA S.R.L., in persona del legale rappresentante, rappresentata

e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso,

dall’avv. Tommaso Carpinella, con domicilio eletto presso il suo

studio, in Roma, via Antonio Roiti, n. 45;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

cui è elettivamente domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi, n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Molise

n. 48/3/14 depositata in data 24 febbraio 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 febbraio

2021 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La società D.L. Duca s.r.l. propose appello avverso la sentenza n. 157/01/2012 emessa dalla C.T.P. di Isernia, che aveva rigettato il ricorso dalla stessa proposto avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, sul presupposto della non operatività della società, aveva contestato, in relazione all’anno 2007, la mancata iscrizione nell’attivo patrimoniale di una sopravvenienza attiva di Euro 231.700,00, scaturente dall’omessa iscrizione nell’attivo patrimoniale di un fabbricato, e l’errata applicazione del D.Lgs. n. 241 del 1997, in relazione all’utilizzo in compensazione di un credito I.V.A.

In sede di gravame la contribuente ribadì che: a) l’acquisto dell’immobile non poteva essere considerato come una sopravvenienza attiva perchè non aveva influito sul reddito precedentemente dichiarato; b) la società non era operativa poichè non rientrava tra quelle che possedevano immobili ed altri elementi da cui potesse desumersi una capacità contributiva; c) con riguardo all’utilizzo del credito I.V.A. in compensazione, non vi era stata evasione perchè, pur avendo in parte utilizzato il credito vantato, non aveva sottratto imposte da versare.

2. I giudici regionali annullarono la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso per presunta tardività e, decidendo nel merito, confermarono l’avviso di accertamento.

Premettendo che la contribuente aveva affermato che la mancata iscrizione nelle scritture contabili dell’acquisto del fabbricato era avvenuta per involontaria trascuratezza, motivarono che nel caso di mancata rilevazione di componenti positivi per effetto di errori o dimenticanze, nel rispetto delle regole indicate dall’OIC n. 29, in contabilità era necessario annotare il maggior reddito nell’esercizio rilevando una sopravvenienza attiva ex art. 88 t.u.i.r.; l’assenza di ogni traccia contabile dell’acquisto del fabbricato incideva sull’attendibilità dell’intero impianto contabile, producendo una distorsione delle informazioni dirette all’Erario.

3. Ricorre per la cassazione della decisione d’appello la società D.L. Duca s.r.l., con due motivi. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale la società contribuente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 3, nonchè correlata omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Fa rilevare che la società, costituita nel marzo 2000, non aveva mai operato, essendo stata impegnata nella realizzazione degli immobili destinati alla programmata attività di ristorazione ed agriturismo, circostanza che peraltro emergeva dallo stesso processo verbale di constatazione nel quale era stato dato atto che le opere edilizie non erano state completate e che l’attività sociale era del tutto inesistente.

La norma specificata nella rubrica del motivo non consentiva la ricostruzione induttiva di ricavi in presenza di situazioni oggettive di carattere straordinario che non avevano reso possibile il conseguimento di ricavi, ma la decisione impugnata aveva omesso qualsiasi considerazione sul punto, pur essendo stata la questione prospettata in sede di appello e pur trattandosi di fatto decisivo della controversia, dal momento che aveva contestato l’accertamento di un qualsiasi reddito imponibile, in assenza di attività produttiva e di conseguente realizzazione di ricavi.

2. Con il secondo motivo lamenta “violazione e falsa applicazione del principio tributario di cui all’art. 88 t.u.i.r., comma 1 (sopravvenienza attiva), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, assumendo che su questo punto la motivazione della sentenza è assolutamente inesistente, poichè non ha preso in esame le articolate deduzioni svolte ed ha omesso di fornire risposta in ordine alla individuazione della fonte e della provenienza della “sopravvenienza attiva” posta a base dell’avviso di accertamento per la determinazione del reddito imponibile.

Assolvendo all’onere della prova, aveva dimostrato documentalmente che la sopravvenienza attiva non poteva far presumere una capacità reddituale, atteso che l’art. 88 t.u.i.r., escludeva espressamente che potessero considerarsi sopravvenienze attive i versamenti fatti dai soci in danaro o in natura.

Dallo stesso verbale di verifica redatto emergeva che l’acquisto del fabbricato era stato pagato mediante fondi provenienti dalle disponibilità personali del socio V.D., dal cui conto erano stati prelevati gli importi per l’emissione degli assegni circolari indicati nel rogito notarile. La disponibilità materiale del socio trovava origine da bonifici provenienti dall’estero e transitati nel medesimo conto corrente. Nella sentenza non si faceva menzione di tali fatti, pur avendo essi costituito l’argomento centrale della difesa di merito, tenuto conto che la sopravvenienza attiva, posta a base dell’accertamento, costituiva in realtà somma affluita e riscossa fuori dall’esercizio dell’attività d’impresa ed era stata utilizzata in un momento di difficoltà, consentendo poi il completamento delle opere di ristrutturazione dei locali.

3. In controricorso l’Agenzia delle entrate ha preliminarmente osservato che la C.T.R. avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso della contribuente, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis, come richiesto con l’atto di costituzione nel giudizio di appello, poichè la società non aveva mai presentato, per l’anno 2007, istanza di interpello, sebbene dall’esame del modello Unico – prospetto per la verifica della operatività della società – risultassero impropriamente barrate le caselle “interpello” del rigo RF78 per le imposte sul reddito, IRAP e I.V.A., dato che la barratura era possibile solo in caso di accoglimento dell’istanza di interpello da presentarsi presso la competente Agenzia delle entrate.

3.1. Come eccepito dalla contribuente con la memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c., il controricorso è tardivo, considerato che il ricorso per cassazione è stato notificato all’Agenzia delle entrate in data 26 giugno 2014 ed il controricorso in data 21 ottobre 2014, come risulta dalla relata di notifica, e, quindi, oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c., scaduto, pur calcolando la sospensione dei termini per il periodo feriale, alla data del 20 settembre 2014.

3.2. In ogni caso, la eccezione sollevata dalla difesa erariale in controricorso è infondata.

La posizione dell’Agenzia delle entrate parte dal presupposto che la domanda di interpello, formulata in materia di società cd. di comodo e diretta al superamento della presunzione di non operatività della società contribuente, costituisca un obbligo e non una facoltà per quest’ultima, con la conseguenza che l’omessa attivazione della procedura di interpello precluderebbe la proposizione del ricorso, per difetto del presupposto legittimante l’accesso alla tutela giurisdizionale.

3.3. La tesi della controricorrente contrasta con la ratio della normativa in esame e non è, pertanto, condivisibile.

Come è noto, l’interpello è l’istituto che attribuisce al contribuente il diritto di conoscere, attraverso circostanziate e specifiche istanze, la posizione dell’Amministrazione finanziaria – che viene espressa con risposte “qualificate” – sulla disciplina tributaria applicabile, in concreto, a un atto, un fatto, ovvero sulla disapplicazione di specifiche disposizioni fiscali, in presenza di obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione, al fine di evitare di subire a posteriori conseguenze sfavorevoli (L. n. 212 del 2000, art. 11).

La stessa Amministrazione, nella circolare n. 32 del 2010, ha riesaminato favorevolmente la posizione dei soggetti che pur essendo obbligati alla presentazione dell’istanza di interpello in ragione di particolari situazioni per le quali si rende necessario un monitoraggio preventivo da parte dell’Agenzia delle entrate, non abbiano ottemperato al relativo obbligo, disattendendo la condizione prevista per la disapplicazione di specifiche disposizioni normative.

Nel documento di prassi si è, infatti, rilevato che, nel rispetto dei principi costituzionali e comunitari, deve considerarsi superata l’indicazione, contenuta nella Circ. n. 7 del 2009, che, con riferimento specifico alle istanze d’interpello disapplicativo della disciplina delle società non operative, aveva stabilito che “in assenza di presentazione dell’istanza il ricorso (al giudice tributario) è inammissibile considerato che la disapplicazione non è ammessa in assenza della relativa istanza, che non può essere proposta per la prima volta in sede contenziosa”.

Infatti, con riguardo ai riflessi della risposta all’interpello sulle fasi successive, si è ulteriormente chiarito (come peraltro già precisato con la Circ. n. 7/E del 2009) che la risposta resa in sede di interpello non è un atto impugnabile, in quanto, stante la natura di parere, al quale il contribuente può non adeguarsi, non è in alcun modo lesivo della posizione del contribuente, il quale può, quindi, riservarsi di impugnare gli eventuali atti nei quali si dovesse fare applicazione delle disposizioni antielusive il cui esonero sia stato negato (Cass., sez. 5, 5/10/2012, n. 17010; Cass., sez. 5, 27/03/2015, n. 6200; tale soluzione è stata anche confermata dal Consiglio di Stato, con la sentenza del 26 gennaio 2009, n. 414, secondo cui la disciplina vigente, che non contempla le risposte all’interpello tra gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, “in nulla pregiudica il diritto” del contribuente “di impugnare, tempestivamente e a tempo debito, gli eventuali atti rientranti nella previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, nei quali dovesse farsi applicazione delle disposizioni antielusive il cui esonero è stato negato”, appunto attraverso la risposta all’interpello).

E ciò in considerazione dell’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, non determina, in ogni caso, la non impugnabilità, e, quindi, la cristallizzazione, di quella pretesa, che può successivamente essere reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso citato, art. 19 (Cass., sez. 5, 8/10/2007, n. 21045; Cass., sez. U, 11/05/2009, n. 10672; Cass., sez. 5, 12/01/2010, n. 285; Cass., sez. 5, 18/05/2011, n. 10987; Cass., sez. 5, 22/07/2011, n. 16100; Cass., sez. 5, 15/03/2019, n. 7402).

Da quanto detto discende che il contribuente, anche laddove non abbia presentato istanza di interpello disapplicativo, può ugualmente conseguire in sede giudiziale il risultato della disapplicazione del regime in materia di cd. società di comodo, allegando e provando la presenza di situazioni oggettive che non hanno consentito di svolgere l’attività sociale e, quindi, di rientrare nei parametri normativi necessari per poter beneficiare delle disposizioni antielusive.

La prova della sussistenza del diritto alla disapplicazione della normativa antielusiva può, quindi, essere fornita anche al di fuori della procedura prevista dalla combinazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, e, dunque, anche in sede processuale (in termini, Cass., sez. 5, 5/10/2012, n. 17010; Cass., sez. 5, 28/07/2017, n. 18807).

La procedura di interpello costituisce, dunque, per il contribuente una facoltà che consente di conseguire (in caso di risposta positiva dell’Ufficio) una certezza nei rapporti con la Amministrazione, ma l’utilizzo di tale strumento non costituisce una via obbligata per il superamento della presunzione posta a carico del contribuente stesso dalle disposizioni antielusive (Cass., sez. 6-5, 15/07/2014, n. 16183; Cass., sez. 6-5 10/11/2020, n. 25266).

4. Il secondo motivo è infondato.

4.1. Risulta pacifico, secondo la ricostruzione fattuale delle parti, che la società ricorrente, costituita nel marzo 2000 per lo svolgimento di attività di ristorazione e di agriturismo, dopo avere acquistato nello stesso anno un fabbricato che è stato sottoposto ad importanti interventi di ristrutturazione – non ancora ultimati al momento della verifica – nell’anno 2007 ha acquistato un secondo fabbricato che non è stato tuttavia riportato nelle scritture contabili, nè è stato iscritto tra le immobilizzazioni nell’attivo patrimoniale.

Dal processo verbale di constatazione e dall’avviso di accertamento, allegati in omaggio al principio di autosufficienza, emerge che il prezzo dell’immobile acquisito nell’anno 2007 è stato pagato mediante fondi provenienti dalle disponibilità personali del socio V.D., dal cui conto corrente sono stati direttamente prelevati gli importi per l’emissione degli assegni circolari indicati nel rogito notarile di acquisto.

Dalle indagini espletate dai verificatori, come pure si evince dallo stesso processo verbale di acquisizione, è risultato che la disponibilità del socio V.D. traeva origine da bonifici provenienti dall’estero, e precisamente da accrediti effettuati dal fratello V.G., residente in (OMISSIS), e che il socio non aveva anticipato le somme “per conto della società”, come riscontrato dall’esame del partitario conto 21/0300 “Soci c/anticipi”.

L’assenza di qualsiasi annotazione afferente all’acquisto dell’immobile ed al pagamento del relativo prezzo – in presenza della esposizione di un mutuo concesso da un istituto bancario da restituire e di una costante perdita di esercizio, riportata nelle scritture contabili – impone di ritenere, come correttamente rilevato dalla C.T.R., che la società contribuente, acquisendo il secondo immobile, abbia sicuramente visto accrescere il proprio patrimonio senza sostenere alcun esborso economico.

Infatti, il socio V.D. ha messo a disposizione della società le somme necessarie per acquistare l’immobile, ma, a fronte di tale provvista, la società non ha assunto un debito nei confronti del socio, in difetto di prova della annotazione di un finanziamento da parte del socio e in mancanza di prova dell’assunzione, da parte della società, dell’obbligo di restituzione al socio delle somme utilizzate per il pagamento del prezzo dell’immobile e degli oneri notarili e fiscali.

Quanto appena detto evidenzia come l’acquisto dell’immobile da parte della società senza avere versato il relativo prezzo ha oggettivamente incrementato le disponibilità patrimoniali della stessa società, che ha, tuttavia, omesso di procedere alle dovute iscrizioni di tale acquisto nelle scritture contabili.

4.2. Ciò posto, premesso che quella delle sopravvenienze attive costituisce una categoria residuale rispetto all’analitica elencazione dei componenti positivi del reddito d’impresa, la quale trova applicazione in presenza di componenti non altrimenti qualificabili, va tenuto presente che l’art. 88 t.u.i.r., nel qualificare “sopravvenienze attive”, da iscrivere in bilancio, anche “i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi”, non lascia spazio ad interpretazioni restrittive della norma, inducendo a ritenere la sussistenza di sopravvenienze attive in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, si verifichi nel bilancio una connotazione attiva che determini un incremento degli elementi che avevano concorso a formare il reddito in precedenti esercizi (Cass., sez. 5, 23/02/2010, n. 4297).

La mancata iscrizione dell’immobile, costituente immobilizzazione materiale da indicare nell’attivo patrimoniale, pertanto, non solo incide sull’attendibilità del bilancio di esercizio, ma assume anche immediato rilievo fiscale, dovendo la sopravvenienza attiva, quale componente positivo del reddito, essere quantificata in base al costo storico dell’immobile, costituito dal costo di acquisto e dai costi accessori (inclusi oneri notarili e fiscali) strettamente connessi al trasferimento, in conformità a quanto previsto dai documenti di prassi (Circ. Agenzia delle entrate n. 26 del 2003, paragrafo 5), e concorrere alla determinazione della base imponibile ai fini Ires.

5. La rilevata sopravvenienza attiva, come riconosciuto dall’Amministrazione finanziaria nello stesso processo verbale di constatazione, non influisce sul test di operatività perchè non partecipa alla quantificazione dei ricavi conseguiti quale valore da confrontare con i ricavi presunti ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30 – atteso che, a tal fine, rilevano i ricavi, gli incrementi di rimanenze ed i proventi con esclusione di quelli straordinari (in tal senso anche la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 5/E del 2007). Tuttavia, ai fini della determinazione del reddito presunto quale scaturente dall’applicazione delle percentuali previste dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, si deve tenere conto, alla voce “Immobili e altri beni”, di entrambi gli immobili di cui la società era proprietaria, che concorrono, pertanto, ai fini della rideterminazione del reddito d’impresa e del valore della produzione netta ai fini Irap.

Ne discende che la decisione impugnata, rilevando l’esistenza di una sopravvenienza attiva ex art. 88 t.u.i.r., ha fatto buon governo della disposizione normativa.

6. Il primo motivo di ricorso è fondato quanto al dedotto vizio di motivazione, poichè la C.T.R., confermando la ripresa a tassazione, non si è espressa sulla controversa ricorrenza delle cause di esclusione della normativa de qua, dedotte dalla contribuente, che ha contestato l’esistenza di qualsiasi reddito imponibile per l’anno in oggetto, in ragione del mancato svolgimento di attività produttiva conseguente alla impossibilità di utilizzare gli immobili destinati alla programmata attività di ristorazione ed agriturismo, per i quali erano stati avviati lavori di ristrutturazione non ancora completati al momento della verifica fiscale.

La C.T.R. sulla questione in oggetto, decisiva e rilevante ai fini del giudizio, nulla ha osservato, essendosi limitata ad affrontare solo la diversa questione, pure prospettata dalle parti, della sussistenza di una sopravvenienza attiva derivante dalla mancata iscrizione, fra le immobilizzazioni materiali, del fabbricato acquistato nel 2007.

5. In conclusione, rigettato il secondo motivo di ricorso, va accolto il primo motivo nei limiti di cui in motivazione, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla competente Commissione tributaria provinciale, in diversa composizione, per nuovo esame, oltre che per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

rigetta il secondo motivo di ricorso; accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Molise, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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