Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14756 del 14/06/2017

Cassazione civile, sez. lav., 14/06/2017, (ud. 26/01/2017, dep.14/06/2017),  n. 14756

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6194/2011 proposto da:

R.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 82, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

PENNISI, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA C.F.

(OMISSIS) – USR EMILIA ROMAGNA in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1011/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 21/09/201 r.g.n. 858/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2017 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito l’Avvocato IRENE ROMANO per delega Avvocato PENNISI GIUSEPPE;

udito l’Avvocato DI MATTEO FEDERICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Bologna, adita dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, previa riunione dei giudizi, ha riformato le sentenze del locale Tribunale che avevano accolto le domande proposte da R.C., il quale, con distinti ricorsi, aveva chiesto il riconoscimento del diritto a essere ammesso al corso di formazione finalizzato alla acquisizione della qualifica di dirigente scolastico nonchè la condanna del Ministero a corrispondergli le differenze retributive fra quanto percepito e quanto previsto dal C.C.N.L. per i dirigenti scolastici sottoscritto il 1 marzo 2002.

2. La Corte territoriale ha premesso che il R., nominato in ruolo con qualifica di preside a decorrere dall’anno scolastico 1985/1986, a seguito di visita medica collegiale, era stato collocato fuori ruolo per inidoneità in via permanente a svolgere la funzione, derivata da ragioni di salute. Era stato, quindi, utiliZzato dal luglio 1997 presso il Provveditorato agli Studi di Bologna, poi denominato Centro Servizi Amministrativi.

3. Nell’anno 1999 l’appellato aveva presentato domanda di partecipazione ai corsi di formazione per i dirigenti scolastici, che era stata respinta, al pari di quella inoltrata nell’anno 2003. Proposto ricorso cautelare all’autorità giudiziaria, il R. aveva ottenuto dal Tribunale di Bologna la richiesta ammissione e il provvedimento era stato confermato dallo stesso Tribunale all’esito del giudizio di merito.

4. La Corte di appello ha ritenuto non condivisibile la interpretazione data dal giudice di prime cure alla normativa rilevante nella fattispecie e ha evidenziato, in sintesi, che l’art. 25 ter, aggiunto al D.Lgs. n. 29 del 1993 dal D.Lgs. n. 59 del 1998, non contempla espressamente il collocamento fuori ruolo motivato da ragioni di salute, sicchè la normativa va interpretata considerando che la partecipazione ai corsi di formazione è finalizzata alla attribuzione della qualifica dirigenziale e alla preposizione effettiva a una istituzione scolastica autonoma. Il R. non avrebbe mai potuto svolgere le funzioni dirigenziali, in quanto dichiarato inidoneo in modo permanente alle mansioni proprie della qualifica di preside, sicchè difettava un requisito essenziale necessario per la partecipazione ai corsi. La Corte territoriale, pertanto, ha ritenuto legittimo il D.Dirig. 20 gennaio 2003, con il quale era stato bandito il corso ed era stato espressamente previsto che non potesse partecipare alla attività formativa il personale direttivo dichiarato permanentemente inidoneo allo svolgimento della propria funzione.

5. Il giudice di appello ha conseguentemente escluso che il R. potesse avere diritto a percepire il trattamento retributivo previsto per i dirigenti scolastici dal C.C.N.L. del 1 marzo 2002 e ha evidenziato che la partecipazione al corso di formazione era avvenuta solo sulla base di un provvedimento cautelare ante causam, e, quindi, restava subordinata al riconoscimento del diritto alla partecipazione medesima, escluso per le ragioni sopra indicate. Ha aggiunto che il R. non poteva fare leva sulla clausola del contratto individuale che aveva previsto la conservazione del trattamento economico stabilito per l’area della dirigenza scolastica, giacchè il contratto era stato sottoscritto il 2 luglio 1997 e non poteva riferirsi agli istituti economici del C.C.N.L. invocato.

6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Cosimo R. sulla base di due motivi, articolati in più punti e illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. Il Ministero ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ” violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 Cost., D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 25 ter, D.M. 5 agosto 1998, art. 4 e del D.L. n. 240 del 2000, art. 2, oltre che di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro in materia di partecipazione ai corsi di formazione”. La censura è incentrata sulla errata interpretazione del quinto comma del richiamato art. 25 ter che, nel prevedere la partecipazione ai corsi di formazione anche dei capi di istituto in aspettativa, distaccati, comandati, utilizzati o collocati fuori ruolo, non attribuisce alcun rilievo alle ragioni del collocamento fuori ruolo e, quindi, non consente di riservare un trattamento diverso ai capi di istituto che al momento della entrata in vigore della nuova normativa non erano effettivamente assegnati ad alcuna istituzione scolastica, perchè dichiarati non idonei per ragioni di salute allo svolgimento della funzione.

Aggiunge il ricorrente che andava comunque riconosciuto il suo diritto a percepire il trattamento retributivo previsto per i dirigenti scolastici dal C.C.N.L. sottoscritto il 1 marzo 2002 in quanto il corso di formazione era stato positivamente frequentato e, quindi, ai sensi del D.L. n. 240 del 2000, art. 2, convertito dalla L. 27 ottobre 2000, n. 306, doveva avvenire l’inquadramento nel ruolo regionale dei dirigenti scolastici a tutti gli effetti giuridici ed economici, pur nella conservazione della posizione prevista dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 25 ter, comma 5.

Infine evidenzia il R. che, in ogni caso, il contratto individuale prevedeva il trattamento economico per il personale appartenente all’area della dirigenza scolastica e detto richiamo non poteva intendersi circoscritto ai soli istituti economici del C.C.N.L. vigente all’epoca, ricomprendendo anche quelli della contrattazione successivamente intervenuta per la medesima area.

2. Il secondo motivo lamenta ” omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio perchè la Corte territoriale avrebbe contraddittoriamente attribuito rilievo alla dichiarazione di permanente inidoneità allo svolgimento delle funzioni, pur affermando che la normativa disciplinante la fattispecie non distingue tra le diverse ipotesi di collocamento fuori ruolo.

3. Le censure, che per la loro stretta connessione logico-giuridica vanno tratte unitariamente, sono infondate, in quanto è corretta la interpretazione data dalla Corte territoriale al D.Lgs. n. 29 del 1993, artt. 25 bis e ter, aggiunti dal D.Lgs. n. 59 del 1998, art. 1 e poi trasfusi nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 25.

Nell’impiego pubblico il collocamento fuori ruolo in senso tecnico, disciplinato in linea generale del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, artt. 58 e 59, è finalizzato a consentire all’impiegato “il disimpegno di funzioni dello Stato o di altri enti pubblici attinenti agli interessi dell’amministrazione che lo dispone e che non rientrino nei compiti istituzionali dell’amministrazione stessa”. La ratio dell’istituto è quella di consentire la massima efficienza all’attività amministrativa, perchè il collocamento fuori ruolo permette all’amministrazione di destinazione di utilizzare precise competenze e professionalità presenti in altra amministrazione e a quella di provenienza di partecipare, attraverso il contributo dato dall’impiegato collocato fuori ruolo, all’esercizio di funzioni che, pur esulando dalla competenza propria dell’amministrazione, presentano una stretta connessione con gli interessi collettivi che quest’ultima è tenuta ad assicurare.

Il collocamento fuori ruolo determina una temporanea e del tutto peculiare modificazione funzionale del rapporto di servizio, perchè l’impiegato è posto al di fuori della struttura di provenienza, che è autorizzata a ricoprire medio tempore il posto che si rende vacante, ma al tempo stesso conserva invariati status e qualifica, con la conseguenza che, pur perdendo la titolarità dell’ufficio ricoperto al momento del collocamento fuori ruolo, ha diritto a rientrare nella amministrazione alla quale appartiene, tanto che dell’art. 58, comma 2 del richiamato D.P.R. impone a quest’ultima di lasciare scoperto nella qualifica iniziale del ruolo un posto per ogni impiegato collocato fuori ruolo.

4. Diverso è, invece, l’istituto disciplinato dall’art. 514 del T.U. sulla scuola, non a caso intitolato ” utilizzazione in compiti diversi del personale dichiarato inidoneo per motivi di salute”, che, come evidenziato anche dal Giudice delle leggi (Corte Cost. n. 322 del 26 luglio 2005) attua nell’ambito scolastico i principi generali dettati dal D.P.R. n. 3 del 1957, in tema di dispensa dal servizio per infermità (artt. 71 e 129 che consentono la dispensa solo nella ipotesi in cui il dipendente non possa essere assegnato ad altre mansioni), prevedendo la utilizzazione del personale fisicamente impossibilitato a svolgere le funzioni connesse alla qualifica, in altri compiti compatibili con lo stato di salute e con la preparazione culturale e professionale.

Il collocamento fuori ruolo menzionato dal comma 1 del richiamato art. 514 (che testualmente recita “il personale dichiarato inidoneo alla sua funzione per motivi di salute può a domanda essere collocato fuori ruolo ed utilizzato in altri compiti tenuto conto della sua preparazione culturale e professionale”) ha solo la finalità di consentire alla amministrazione scolastica di ritenere vacante il posto originariamente assegnato al dipendente, in modo da poter procedere alla sua copertura, ma per il resto non è minimamente assimilabile al “fuori ruolo” in senso tecnico, in quanto l’impiegato continua a prestare la propria attività nell’ambito dell’amministrazione di appartenenza, sia pure in altre funzioni, e non ha alcuna possibilità di essere riassegnato al ruolo originario, se non nel caso in cui vengano meno le ragioni di salute che lo avevano reso inidoneo alla funzione.

Non a caso la tabella A, allegata al D.M. 6 aprile 1995, n. 190, che stabiliva i termini entro i quali dovevano essere adottati i provvedimenti finali di competenza degli organi dell’Amministrazione della pubblica istruzione, distingueva “comandi, rinnovi, collocamento fuori ruolo e utilizzazione in altri compiti”, richiamando, oltre al D.Lgs. n. 297 del 1999 il D.P.R. n. 3 del 1957.

5. Il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 25 ter, inserito dal D.Lgs. n. 59 del 1998 e poi trasfuso nel D.Lgs n. 165 del 2001, art. 25, comma 11, deve essere interpretato tenendo conto, da un lato di quanto sopra si è detto in merito ai requisiti che devono ricorrere perchè si possa configurare un collocamento fuori ruolo in senso tecnico, dall’altro delle finalità che il legislatore ha inteso perseguire nel prevedere che “I capi d’istituto che rivestano l’incarico di Ministro o Sottosegretario di Stato, ovvero siano in aspettativa per mandato parlamentare o amministrativo o siano in esonero sindacale, distaccati, comandati, utilizzati o collocati fuori ruolo possono assolvere all’obbligo di formazione mediante la frequenza di appositi moduli…”.

La disposizione si inserisce nella disciplina transitoria dettata dal legislatore per consentire la attuazione dei principi fissati dalla L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 21, che, dopo avere affermato l’autonomia delle istituzioni scolastiche e la conseguente preposizione alle stesse di dirigenti, al comma 16, lett. d), aveva previsto “l’attribuzione della dirigenza ai capi d’istituto attualmente in servizio, assegnati ad una istituzione scolastica autonoma, che frequentino un apposito corso di formazione”.

In attuazione del potere conferito dalla legge delega, l’art. 25 ter, al comma 1, poi trasfuso del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 25, comma 7, ha stabilito che “I capi di istituto con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ivi compresi i rettori e i vicerettori dei convitti nazionali, le direttrici e vice direttrici degli educandati, assumono la qualifica di dirigente, previa frequenza di appositi corsi di formazione, all’atto della preposizione alle istituzioni scolastiche dotate di autonomia e della personalità giuridica a norma della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 21, salvaguardando, per quanto possibile, la titolarità della sede di servizio”.

Le norme citate, quindi, perseguono tutte la finalità di consentire ai capi di istituto di acquisire la qualifica dirigenziale, di modo che gli stessi possano essere inseriti nel ruolo regionale dei dirigenti scolastici e svolgere le funzioni a questi ultimi attribuite (D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 25 bis, oggi confluito del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 25, commi da 1 a 6).

Detta possibilità è stata estesa dal legislatore a coloro che, pur non svolgendo al momento della entrata in vigore della nuova normativa le funzioni di capo di istituto, si trovavano nella posizione di potere rientrare a pieno titolo nell’amministrazione di appartenenza a svolgere i medesimi compiti in precedenza ricoperti. In tali casi, infatti, la possibilità di partecipare ai corsi di formazione trovava la sua ratio nella necessità di consentire al capo di istituto, al momento della cessazione della causa temporanea di sospensione o di modificazione soggettiva del rapporto, di assumere la dirigenza della istituzione scolastica.

E’ evidente, quindi, che il collocamento fuori ruolo al quale il legislatore ha fatto riferimento è solo quello tipico, previsto dalla disciplina generale dettata per gli impiegati civili dello Stato, non già quello conseguito alla accertata inidoneità fisica del capo d’istituto a svolgere la funzione, posto che detta inidoneità esclude a priori che il soggetto possa essere incluso nel ruolo regionale dei dirigenti.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale non ha ravvisato profili di illegittimità del decreto dirigenziale del 20 gennaio 2003, con il quale era stato bandito il corso di formazione ed esclusa la partecipazione del personale direttivo dichiarato permanentemente inidoneo alla funzione, posto che il bando deve ritenersi sul punto attuazione della disciplina normativa.

La sentenza impugnata è, quindi, conforme al principio di diritto che di seguito si enuncia: “Il D.Lgs n. 29 del 1993, art. 25 ter, inserito dal D.Lgs. n. 59 del 1998 e trasfuso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 25, comma 11, nel consentire la partecipazione ai corsi di formazione dei capi di istituto collocati fuori ruolo, si riferisce all’istituto del collocamento fuori ruolo, disciplinato dal D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 58 e 59 e non è applicabile ai capi di istituto dichiarati inidonei per motivi di salute e utilizzati dalla amministrazione scolastica in altri compiti”.

6. Da ciò discende anche la infondatezza del motivo di ricorso con il quale è censurato il capo della sentenza che ha escluso il diritto del R. a percepire il trattamento economico previsto dal CCNL 1 marzo 2002 per il personale dell’Area 5^ della Dirigenza scolastica.

La contrattazione collettiva invocata disciplina il rapporto di lavoro dei capi di istituto che abbiano acquisito la qualifica dirigenziale ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 25 e fra questi non poteva e non può rientrare il R. il quale, per le ragioni sopra esposte, non aveva titolo per partecipare ai corsi di formazione e per essere incluso nel ruolo regionale dei dirigenti scolastici.

Il CCNL 4.8.1995 per il Comparto della scuola, nella vigenza del quale venne disposta la utilizzazione del R. in altri compiti, all’art. 23, comma 5, rinviava alla contrattazione decentrata nazionale la disciplina delle modalità di assegnazione ed espletamento del diverso incarico, disciplina dettata dal CCDN 24.10.1997 (che il ricorrente ha trascritto in parte qua nel ricorso e depositato in atti) che, all’art. 7, ha stabilito in favore del personale utilizzato in altre funzioni la conservazione del “trattamento economico previsto per la qualifica di appartenenza del corrispondente personale a tempo indeterminato”.

E’ evidente che su dette disposizioni il ricorrente non può fondare la propria pretesa, non avendo mai acquisito la qualifica dirigenziale e non essendo in possesso, per quanto si è già detto, dei requisiti a tal fine necessari.

7. La Corte territoriale ha, poi, escluso che il richiamo contenuto nel contratto individuale al trattamento economico previsto per il personale appartenente all’area della dirigenza scolastica potesse essere interpretato nel senso voluto dal ricorrente, sottolineando che, all’epoca della sottoscrizione, la dirigenza scolastica in senso proprio non era stata ancora istituita, tanto che il primo contratto di area risale ad un periodo di gran lunga successivo all’anno 1997. Ha, pertanto, ritenuto che il contratto avesse solo assicurato al R. la conservazione del trattamento economico di preside in godimento.

Il ricorrente, pur dolendosi della interpretazione data dal giudice di merito alla volontà contrattuale, non indica i criteri ermeneutici violati dalla Corte territoriale, sicchè la censura deve essere ritenuta inammissibile.

L’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.. Da ciò discende che, al fine di far valere una violazione sotto i richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 31.5.2010 n. 13242 e Cass. 9.10.2012 n. 17168).

8. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente nella misura indicata in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 3.500,00 per competenze professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2017

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