Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14754 del 19/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 19/07/2016, (ud. 06/06/2016, dep. 19/07/2016), n.14754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5784/2012 proposto da:

G.M., (OMISSIS), G.G. (OMISSIS), G.C.

(OMISSIS), G.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CIPRO 77, presso lo studio dell’avvocato GERARDO RUSSILLO,

che li rappresenta e difende in virtù di procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.L., G.A., elettivamente domiciliate presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentate e difese

dall’Avvocato GENNARO BORRIELLO, in virtù di procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

G.E., + ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il

23/08/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Marcdo pastacaldi per delega dell’Avv. Russillo per

i ricorrenti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.C., G.A., G.E., G.T. e G.U., quali eredi di G.C., deceduto in data (OMISSIS), proponevano al Tribunale di Salerno domanda di subentro nell’assegnazione dell’appezzamento di terreno podere n. 1086, sito in (OMISSIS), già in passato assegnato al loro dante causa dalla Sezione Speciale per la Riforma Fondiaria, ente al quale era subentrato l’ERSAC (nelle more del giudizio soppresso, con ulteriore subentro della Regione Campania).

Si costituivano G.G. e G.Z. che a loro volta proponevano separate domande di subentro nell’assegnazione.

L’Ersac si costituiva e chiedeva che il giudice adito accertasse l’avente diritto al subentro, ovvero disponesse la retrocessione del fondo, ove nessuno degli interessati fosse in possesso dei requisiti prescritti.

Interrottosi il giudizio per la morte di G.G. e Z., e subentrati in causa i loro eredi, all’esito dell’istruttoria il Tribunale con il Decreto 14 ottobre 2008, accoglieva la domanda dei ricorrenti.

Avverso tale provvedimento proponevano reclamo G.G., M., A. e G.C., tutti quali eredi di G.G., deducendo l’erroneità della decisione presa, atteso che emergeva la fondatezza anche della domanda avanzata dal loro dante causa, non potendo in ogni caso trovare accoglimento la domanda dei ricorrenti, in quanto alcuni di loro non avevano la qualità di manuali coltivatori del fondo, emergendo altresì che G.T., deceduta nel (OMISSIS), era pensionata da vari anni.

In ogni caso chiedevano di essere ammessi alla partecipazione alla comunione degli assegnatari nel subentro.

Si costituivano anche G.A., L. e G.T., quali eredi di G.Z. che proponevano reclamo incidentale per l’assegnazione del fondo in loro favore, dolendosi dell’omessa motivazione in ordine alla scelta effettuata in favore dei ricorrenti, e per l’erronea valutazione circa l’insussistenza in capo ai reclamanti dei requisiti per il subentro.

Si costituiva la Regione Campania che chiedeva il rigetto del reclamo.

Disposta l’integrazione del contraddittorio e la rinnovazione della notifica del reclamo, la Corte di Appello di Salerno con Decreto 23 agosto 2011, n. 1457, accoglieva il reclamo principale e quello incidentale per quanto di ragione, ed in riforma del provvedimento impugnato, dichiarava che nessuno degli eredi dell’originario assegnatario G.C. era in possesso dei requisiti necessari per il subentro nell’assegnazione del fondo, disponendone la restituzione alla Regione Campania per una nuova assegnazione.

La Corte, dopo avere disatteso le eccezioni di inammissibilità del reclamo, ritenendo legittima l’assegnazione dei termini per la rinnovazione delle notifiche del reclamo, rilevava che era pacifica l’applicabilità nella fattispecie della previsione di cui alla L. n. 379 del 1967, art. 7, ritenendo tuttavia che il Tribunale effettivamente avesse accolto la domanda dei ricorrenti senza fornire una specifica motivazione in ordine al riscontro dei requisiti imposti dalla legge.

Quindi, dopo avere ricordato che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, i requisiti per il subentro dell’erede al genitore devono sussistere al momento dell’apertura della successione e persistere fino a tutto il tempo della decisione, potendosi presumere, una volta dimostrata l’esistenza dei requisiti alla data della morte, la permanenza degli stessi sino alla data della decisione, escludeva che fosse stata fornita la prova necessaria per l’accoglimento della richiesta.

Infatti, dopo avere ricostruito il tenore delle varie deposizioni testimoniali raccolte nel corso del giudizio, ed esaminato la documentazione egualmente versata in atti, reputava effettivamente che nessuno dei reclamati poteva vantare il diritto al subentro, attesa la genericità delle deposizioni dei testi in ordine alla data cui risaliva la coltivazione del fondo da parte loro, non potendo quindi accertarsi che fosse già in atto alla data di apertura della successione dell’originario assegnatario.

Inoltre per G.C. nessuno aveva riferito di una sua attività di manuale coltivazione della terra, mentre per G.A. risultava l’abbandono della porzione in passato coltivata, ed il suo trasferimento in Toscana, emergendo per G.E. che la stessa aveva la disponibilità di altri fondi rustici, sicchè era suo onere dimostrare a che titolo fosse stata conseguita e se fossero insufficienti ad assorbire l’impiego della mano d’opera familiare, soddisfacendo altresì il requisito concorrente di cui della L. n. 230 del 1950, art. 16.

Infine per G.T., sebbene fosse stato dimostrato che coltivava una porzione del fondo sin dal 1972, la stessa non aveva però fornito alcuna prova circa la mancanza di proprietà od enfiteusi di altri fondi rustici.

Passando ad esaminare la posizione degli eredi di G.Z. osservava che molti testi avevano riferito che questi aveva da tempo dismesso l’attività di coltivazione del fondo, avendolo promesso in vendita a terzi, ed avendo comunque consentito a questi di coltivarlo.

Quanto alla posizione degli eredi di G.G., rilevava che mancava la prova che la coltivazione personale del fondo per cui era causa risalisse alla data della morte dell’originario assegnatario, attesa la genericità delle deposizioni rese dai testi.

In ogni caso doveva affermarsi che, oltre a non essere stata dimostrata la titolarità dei requisiti prescritti dalla L. n. 230 del 1950, art. 16, non era stato dimostrato nemmeno il possesso della capacità professionale richiesta dallo stesso art. 16 per l’assegnazione dei terreni di riforma fondiaria.

Infine, emergeva che gli eredi di G.C. avevano provveduto ad un radicale smembramento dell’unità fondiaria, contravvenendo in tal modo alla logica ed agli obiettivi della riforma fondiaria.

Avverso l’indicato decreto della Corte di Appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione G.G., G.A. e G.C., articolandolo su un motivo.

G.A., G.L. hanno resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale.

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo i ricorrenti principali lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 379 del 1967, art. 7, della L. n. 230 del 1950, art. 16 e della L. n. 1078 del 1940, art. 5, nonchè l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie, con la conseguente omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Ed, infatti, pur concordando circa la necessità che la fattispecie sia regolata dalla previsione di cui alla L. n. 379 del 1976, art. 7, in combinato disposto con della L. n. 230 del 1950, art. 16, avrebbe tuttavia errato nell’escludere che i ricorrenti avessero i requisiti imposti dalle norme richiamate.

Infatti, l’iter logico che sorreggerebbe la valutazione delle risultanze istruttorie, oltre ad apparire poco comprensibile, trascura il fatto che effettivamente dalle prove emerge che G.G., e dopo la sua morte i suoi eredi, hanno proseguito la coltivazione di una porzione del fondo, atteso che tale circostanza era stata confermata sia dalle prove testimoniali, sia dall’accertamento peritale, posto che l’ausiliare aveva riscontrato che G.G., e dopo di lui, le sue figlie e la moglie, avevano coltivato il fondo oggetto di causa.

Inoltre la Corte di merito avrebbe omesso di considerare la subordinata richiesta di subentrare nell’assegnazione del terreno in comunione con i resistenti.

Il motivo deve essere disatteso.

E’, innanzi tutto, evidente, per la stessa formulazione del mezzo di gravame, che, sebbene venga censurata anche una pretesa violazione di legge, in realtà la critica investa esclusivamente la valutazione dei mezzi istruttori compiuta dal giudice di merito, assumendosi che l’errore nell’applicazione della legge non scaturirebbe da una scorretta esegesi della norma, quanto dall’avere escluso in fatto la sussistenza dei presupposti richiesti dal legislatore per il subentro nel diritto all’assegnazione.

Tuttavia è palese che in tal modo la censura mira surrettiziamente ad una non consentita rivalutazione dei fatti di causa da parte della Corte, attività questa che appare preclusa, laddove il ragionamento seguito dal giudice di merito nella ricostruzione delle vicende fattuali, appaia connotato da logicità e coerenza argomentativa.

Il motivo, oltre a difettare in maniera evidente del requisito dell’autosufficienza, nella parte in cui pur risolvendosi in una critica alla valutazione del materiale istruttorio omette di riportare in maniera integrale il contenuto delle deposizioni testimoniali che si assume essere state erroneamente valutate dal giudice di merito (il quale nel provvedimento ha provveduto a riportarne una mera sintesi) trascura la circostanza che, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.

Il decreto impugnato, dopo avere richiamato il costante orientamento giurisprudenziale per il quale (cfr. da ultimo Cass. 23/9/2011 n. 19498), secondo cui i requisiti richiesti dalla legge in capo all’erede che abbia chiesto di subentrare al genitore deceduto nell’assegnazione del fondo, devono esistere al momento dell’apertura della successione e persistere fino a tutto il tempo della decisione, aggiungendosi che, sul piano probatorio, dimostrata dall’erede la sussistenza di tali requisiti al momento dell’apertura della successione, è da ritenere presunta la permanenza degli stessi fino alla decisione, salvo prova contraria da parte dell’Ente o dei controinteressati (conf. Cass. S.U. 16/11/2004 n. 21632), ha provveduto ad una compiuta disamina delle risultanze istruttorie, sia per quanto attiene alle prove documentali che per quanto concerne le prove testimoniali, osservando, con specifico riferimento alla posizione di G.G. e dei suoi eredi, che pur avendo i testi riferito della coltivazione del fondo, tuttavia nessuno era stato in grado di precisare quale fosse l’epoca di inizio di tale attività.

In dettaglio, ha sottolineato come, ad esempio, il teste B., sentito all’udienza del 15 gennaio 2008, aveva riferito di una coltivazione che durava da più di trenta anni, e ciò a fronte di una successione dell’originario assegnatario apertasi nel 1973, concludendo pertanto, e senza che possa tacciarsi tale conclusione di irrazionalità o incoerenza, che tale dichiarazione non consentisse di poter stabilire con certezza che l’attività che avrebbe legittimato il diritto al subentro, già era iniziata alla data della morte di G.C.. Ha altresì aggiunto che analoghe considerazioni andavano svolte per l’espressione ” da sempre ” che era stata utilizzata da altri testi, nonchè dalla formulazione delle prove testimoniali richieste dalle eredi di G.G. nelle comparse del 2007, laddove la coltivazione veniva fatta risalire ad oltre venti anni addietro.

Inoltre, una volta esclusa la fondatezza delle doglianze rivolte avverso la valutazione delle risultanze istruttorie, non va trascurato che il motivo di ricorso non coglie appieno l’esistenza di una duplice ratio decidendi a fondamento del provvedimento impugnato.

Ed, infatti, la critica investe sostanzialmente l’apprezzamento del dato cronologico necessario per assicurare il subentro degli eredi, laddove il decreto della Corte distrettuale, ha esplicitamente affermato che nessuno degli aspiranti aveva dimostrato di possedere la capacità professionale richiesta dalla L. n. 230 del 1950, art. 16, ed in particolare il possesso di una mano d’opera familiare in grado di assicurare la continuazione in maniera proficua della coltivazione del fondo, salvaguardandone l’unità aziendale (per analoghe considerazioni si veda Cass. 24/6/2010 n. 15308, secondo cui la disciplina di cui della L. 29 maggio 1967, n. 379, art. 7, ha inteso favorire la continuità della conduzione e la concentrazione dei fondi nella persona del soggetto idoneo ad un’efficiente coltivazione (ovvero munito dei requisiti contemplati dalla L. n. 230 del 1950, art. 16), stabilendo i criteri per la designazione di colui che subentra (“iure proprio”) all’assegnatario in funzione dell’assicurazione della permanenza dell’indivisibilità del fondo, rigettandosi la domanda riconvenzionale indirizzata all’ottenimento del frazionamento del fondo con l’attribuzione ai singoli coeredi di distinte porzioni in corrispondenza delle rispettive quote, concretante una ipotesi diversa dalla richiesta di attribuzione dell’intero fondo in comunione “pro indiviso”).

Ne consegue che, attesa la necessità che concorrano entrambi i requisiti per l’accoglimento della domanda di subentro, ed avendo il giudice di merito escluso la ricorrenza di entrambi, il motivo in quanto volto a contestare l’esclusione solo dell’elemento cronologico, quand’anche fosse risultato fondato (il che non è per quanto sopra esposto), non permetterebbe in alcun modo di poter condurre alla riforma della pronuncia gravata.

Quanto, infine alla deduzione, secondo cui la Corte di Appello avrebbe omesso di motivare, in merito alla subordinata richiesta della L. n. 1078 del 1940, ex art. 5, di subentrare nell’assegnazione del terreno de quo in comunione con i resistenti, la stessa si palesa inammissibile per vari aspetti. In primo luogo, sebbene si assuma un’omessa motivazione, la doglianza per come prospettata andava dedotta con la denunzia di un vizio di error in procedendo ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., sostanziandosi la doglianza in un’omessa pronuncia su di una richiesta delle arti.

Tuttavia, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, le ricorrenti, in assenza di un formale richiamo a tale istanza nel corpo del provvedimento impugnato, avrebbero dovuto specificamente allegare in ricorso quando tale istanza abbia avuto ingresso nel processo, riproducendo il contenuto dell’atto che la conteneva.

Ma in ogni caso se ne evidenzia l’infondatezza, atteso che, essendosi pervenuti alla conclusione che nessuno degli aspiranti era munito dei requisiti per il subentro, ivi incluse le originarie parti ricorrenti, deve logicamente escludersi anche la possibilità di riconoscere alle ricorrenti un subentro in regime di comunione.

2. I controricorrenti, sebbene non risulti che abbiano formalmente dichiarato di voler proporre ricorso incidentale, tuttavia nelle conclusioni del loro scritto difensivo hanno richiesto formalmente la riforma della sentenza impugnata per ragioni diverse da quella addotte dai ricorrenti, e con specifico interesse alla posizione degli eredi di G.Z..

Tuttavia, anche qualificata tale richiesta come intesa a proporre un autonomo ricorso incidentale, la stessa non sfugge alla declaratoria di inammissibilità in ragione dell’assenza di una esposizione sommaria dei fatti di causa come imposto, anche per il ricorso incidentale, dalla formulazione dell’art. 366 c.p.c..

Inoltre il mezzo di gravame incidentale si espone alle medesime violazioni del principio di autosufficienza, già riscontrate per il ricorso principale, nella parte in cui, pur criticando gli accertamenti in fatto compiuti dalla Corte di Appello, omette di riportare sia il contenuto dei documenti che comproverebbero il loro assunto, sia delle deposizioni testimoniali.

Anche tale motivo inoltre non si avvede della duplice ratio decidendi, e comunque non censura in maniera specifica l’affermazione della Corte distrettuale circa l’assenza del requisito della capacità professionale.

Quanto poi alla mancata notifica del controricorso contenete anche ricorso incidentale, vale richiamare quanto già affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 26773/2009), secondo cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’ano finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. – avendo valutato inammissibile il ricorso principale – ha ritenuto superflua la rimessione in termini del resistente, che ne aveva fatto istanza, per il completamento della notificazione del controricorso, riconoscendo che il resistente medesimo aveva comunque avuto la possibilità di esercitare l’attività difensiva mediante partecipazione alla discussione in camera di consiglio, in relazione alla quale egli aveva ricevuto notifica dell’avviso).

La manifesta inammissibilità del ricorso incidentale rende pertanto superflua la sua notificazione, evitando in tal modo un inutile dispendio di attività processuale con una riduzione dei tempi di definizione della controversia.

3. Atteso che sia le ricorrenti principali che le controricorrenti miravano, sebbene per ragioni diverse, alla riforma del provvedimento impugnato, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del grado tra le stesse, mancando una reale contrapposizione, mentre nulla deve disporsi nei confronti delle altre parti, che non hanno svolto attività difensiva in sede di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale, e compensa le spese tra le ricorrenti e le ricorrenti incidentali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 6 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2016

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