Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14754 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. I, 05/07/2011, (ud. 14/06/2011, dep. 05/07/2011), n.14754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3596/2010 proposto da:

C.A. ((OMISSIS)), quale figlio ed erede di

H.G., elettivamente domiciliato in ROMA, Via dei Gongaza,

37, presso il Sig. Battaglia Salvatore, rappresentato e difeso

dall’avvocato DI FRANCESCO Olindo, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

coatro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS) in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 189/2006 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA del 13.3.09, depositato il 06/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. NICOLA

LETTIERI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- C.A., quale erede di H.G., ha proposto ricorso per cassazione – affidato a cinque motivi – nei confronti del Ministero della Giustizia contro il decreto in data 6.4.2009 con il quale la corte di appello d’appello di Caltanissetta ha parzialmente accolto la sua domanda diretta ad ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio (diretto ad ottenere l’indennità di accompagnamento) promosso dalla propria dante causa innanzi al Pretore di Agrigento con ricorso del 14.3.1994, definito in primo grado con sentenza del 13.2.1995, in appello con sentenza del 30.1.2003 e in Cassazione con sentenza del 22.5.2006, dopo che l’attrice era deceduta (26.5.2004).

La Corte d’appello, fissato il termine di ragionevole durata del giudizio in anni tre e ha escluso la violazione del termine ragionevole per il primo grado, ha accertato un ritardo di cinque anni nella definizione del grado di appello (durato 7 anni in luogo di due) mentre ha escluso l’indennizzo per il giudizio di cassazione essendo l’attrice deceduta entro il primo anno e il successivo giudizio (in relazione al diritto dell’erede in proprio) si era protratto per meno di tre anni. Pertanto ha liquidato il danno non patrimoniale per il periodo di ritardo in Euro 5.000,00.

Il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.

2. – Con i motivi di ricorso parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè vizio di motivazione lamentando, in estrema sintesi:

2.1.- la violazione del principio di non contestazione, avendo la Corte di merito ridotto d’ufficio la misura dell’indennizzo nonostante l’Amministrazione non avesse contestato il quantum della domanda;

2.2.- l’erronea determinazione del ritardo, non avendo la Corte di appello considerato la natura previdenziale della controversia, non avendo tenuto conto della durata complessiva e avendo erroneamente escluso il ritardo in relazione all’erede;

2.3.- vizio di motivazione (è formulato il quesito: se tale argomentare si appalesa viziato da omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione);

2.4.- la violazione dei parametri CEDU circa la durata complessiva e l’entità dell’indennizzo, compreso il bonus per causa previdenziale;

2.5.- l’erroneo rigetto della domanda relativa al danno patrimoniale per spese legali e rivalutazione monetaria.

3.- Tutti i motivi di ricorso sono infondati quando non sono inammissibili per violazione dell’art. 366 bis c.p.c. (terzo motivo).

Quanto alla non contestazione, l’Amministrazione si è “rimessa” alla Corte per la quantificazione del danno e ha contestato il danno patrimoniale.

La non contestazione attiene ai fatti e non alla qualificazione giuridica dei fatti e delle conseguenze di esse.

Benchè sia possibile individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del processo, deve sempre procedersi ad una valutazione sintetica e complessiva, anche quando esso si sia articolato in gradi e fasi (tra le molte, Cass. n. 23506 del 2008; n. 18720 del 2007; n. 17554 del 2006; n. 8717 del 2006; n. 28864 del 2005; n. 6856 del 2004), ciò che può fare escludere la sussistenza del diritto, qualora il termine di ragionevole di una fase risulti violato, senza tuttavia che lo sia stato quello concernente l’intera durata del giudizio (nelle due fasi di merito e di legittimità).

Nella concreta fattispecie il giudizio presupposto è iniziato nel 1994 e la dante causa del ricorrente è deceduta nel 2004. Tenuto conto della durata ragionevole prevista per i due gradi di merito e per il giudizio di cassazione per complessivi sei anni, la Corte di merito avrebbe dovuto determinare in anni quattro il ritardo in relazione alla domanda iure ereditario.

In relazione alla domanda proposta iure proprio il ricorso difetta del requisito di specificità perchè non risulta precisato in quale data l’erede sia intervenuto in giudizio.

L’indennizzo per il danno patrimoniale compete solo nella misura in cui essa valga ad indennizzare un pregiudizio che sia conseguenza immediata e diretta della violazione del diritto della parte alla ragionevole durata del processo e non spetta per le voci di danno o di spesa richiedibili nel giudizio presupposto (Sez. 1, Sentenza n. 1605 del 2007; cfr. Cass. nn. 6163/2003, 15106/2004, 3118/2005, 7140/2006). Per il ritardo di cinque anni questa Corte avrebbe liquidato, ex art. 384 c.p.c., Euro 4.250,00, ossia meno di quanto concesso dalla Corte di merito.

Il giudice del merito può attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul c.d. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (così, tra le altre, Cass. n. 7073, n. 6039 e n. 3515 del 2009; n. 18012 e n. 6898 del 2008).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 600,00 oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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