Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14753 del 18/06/2010

Cassazione civile sez. I, 18/06/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 18/06/2010), n.14753

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8469-2008 proposto da:

C.V. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso l’avvocato FRISANI PIETRO, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

sul ricorso 8471-2008 proposto da:

A.R., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositato il

13/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

della CEDU sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di durata di una causa dinanzi al TAR per il Friuli Venezia Giulia, con ricorso 9 ottobre 2007, conveniva dinanzi alla Corte d’appello di Trieste il Ministero dell’Economia e delle Finanze, al fine di ottenere l’indennizzo previsto dalla legge n. 89 del 2001. Deduceva che il ricorso al TAR, avente ad oggetto la rideterminazione della tredicesima mensilità, era stato depositato in data 29 dicembre 1997; che in data 27 luglio 2007 era stata depositata istanza di prelievo; che il ricorso non era stato ancora deciso. Chiedeva la condanna del Ministero convenuto al pagamento, a titolo di danno non patrimoniale, della somma di Euro 12.000,00, oltre interessi dalla domanda. La Corte d’appello, con decreto depositato il 31 dicembre 2007, gli liquidava la somma di Euro 2.325,00, oltre accessori, quantificando l’irragionevole durata del processo in sette anni e nove mesi e l’ammontare annuo dell’indennizzo in Euro 300,00 in considerazione della natura e contenuto del giudizio e dell’oggettivo disinteresse al tempestivo esito di esso. Avverso il decreto il C. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 19 marzo 2008 al Ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale resiste con controricorso.

2. A.R., + ALTRI OMESSI Chiedevano la condanna del Ministero convenuto al pagamento, a titolo di danno non patrimoniale, alcuni della somma di Euro 10.500,00, altri della somma di Euro 12.000,00, oltre interessi dalla domanda. La Corte d’appello, con decreto depositato il 31 dicembre 2007, notificato il 16 gennaio 2008, liquidava la somma di Euro 2.300,00, oltre accessori a tutti gli attori, tranne che a Z.I. e I.A., ai quali liquidava la somma di Euro 2.350,00, oltre accessori, quantificando l’irragionevole durata del processo per tutti – tranne la Z. e lo I. – in sette anni e otto mesi, e per la Z. e lo I. in sette anni e dieci mesi e l’ammontare annuo dell’indennizzo in Euro 300,00 in considerazione della natura e contenuto del giudizio e dell’oggettivo disinteresse al tempestivo esito di esso. Avverso il decreto gli attori hanno proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 14/17 marzo 2008 al Ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c. riguardando lo stesso provvedimento.

Con l’unico motivo tutti i ricorrenti denunciano la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, dell’art. 6 della CEDU, dell’art. 2056 cod. civ., per avere la Corte d’appello liquidato la somma di Euro 300,00 per ogni anno di eccessiva durata del processo. Si deduce che tale quantificazione violerebbe i criteri di liquidazione del danno stabiliti dalla Corte di Strasburgo, vincolanti per il giudice italiano e ricompresi fra Euro 1.000,00 e 1.500,00 per ogni anno. Ininfluente sarebbero, rispetto a tali standard minimi, la mancata proposizione di atti d’impulso processuale e la modestia della posta in gioco.

I ricorsi sono fondati nei sensi appresso indicati. Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dai criteri di liquidazione elaborati da quella Corte per i casi simili. Tale regola di conformazione, inerendo ai rapporti tra la citata legge e la Convenzione ed essendo espressione dell’obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possibile, conformemente alla Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo, ha natura giuridica, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge, denunziabile dinanzi alla Corte di cassazione.

Relativamente al caso di specie va considerato che, anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, art. 54 conv. nella L. n. 133 del 2008 – a norma del quale “la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, non è stata presentata un’istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2” – questa Corte aveva statuito che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, andasse riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa potesse subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, la cui mancata o ritardata presentazione può incidere unicamente sulla determinazione dell’entità dell’equa riparazione spettante, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass. sez. un. 23 dicembre 2005, n. 28507; Cass. 12 ottobre 2005, n. 19801; 12 ottobre 2005, n. 19804; 22 gennaio 2008, n. 1365). Ciò in quanto l’istanza di prelievo, prevista dal R.D. n. 642 del 1907, art. 51, comma 2, (e richiamata dalla L. n. 1034 del 1971, art. 19) con lo scopo di fare dichiarare il ricorso urgente onde ottenerne la trattazione anticipata rispetto agli altri pendenti sul ruolo, non costituisce adempimento necessario, ai fini dello svolgimento del processo amministrativo e la CEDU ha più volte rilevato, nella sua giurisprudenza, che in base all’art. 6, par. 1, della Convenzione, nel calcolo del periodo di ragionevole durata del processo non possa avere influenza l’omissione o il ritardo nella presentazione dell’istanza di prelievo, in quanto quell’omissione o ritardo non sospendono nè differiscono il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda proposta.

Tale indirizzo giurisprudenziale ha ricevuto sostanziale avallo dalla CEDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi c. Italia), la quale, in due recentissime decisioni (Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010; Falco et autres c. P Italia, del 6 aprile 2010) ha anche ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi e alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille Euro annue normalmente liquidata, con valutazioni del danno non patrimoniale che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarita della fattispecie, a valutazioni più riduttive rispetto a quelle in precedenza ritenute congrue.

Quanto al caso di specie va considerato che il D.L. n. 112 del 2008, pur disponendo per il futuro (Cass. 28 novembre 28428; 10 ottobre 2008 n. 24901), evidenzia e da rilievo legislativo alla circostanza che nei giudizi amministrativi l’istanza di prelievo, nella prassi, ha da lunghissimo tempo assunto una funzione di segnalazione al giudice del permanente interesse della parte alla definizione del giudizio, molte volte venuto meno per circostanze sopravvenute alla sua proposizione, quali atti di autotutela o sanatorie. Con la conseguenza che la sua mancata presentazione, con il passare del tempo dalla proposizione della domanda, ha finito con il costituire indice, quanto meno, di scarso interesse alla stessa.

Nel caso di specie la Corte d’appello ha rilevato che tutte le domande furono presentate nel dicembre 1997 e le -O istanze di prelievo furono presentate nel luglio 2007, dopo quasi dieci anni: a questa fece seguito la fissazione dell’udienza per la decisione a pochi mesi di distanza.

Ritenuto che la sentenza avrebbe potuto essere emanata in due anni la Corte ha liquidato a ciascun ricorrente una somma pari ad Euro 300,00 per ogni anno di ritardo e proporzionalmente per la frazione di anno, inferiore anche a quella, già ampiamente ridotta rispetto ai parametri ordinari, liquidata dalle sopra menzionate sentenze della CEDU del 16 marzo e 6 aprile 2010.

Ne deriva che il decreto impugnato, in accoglimento del ricorso, in base ai principi sopra indicati deve essere cassato e, decidendosi nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., tenendosi conto degli elementi sopra indicati, considerate le specificità del caso in relazione al protrarsi della procedura dinanzi al giudice amministrativo oltre i limiti ragionevoli di durata, che ha evidenziato, in relazione al comportamento delle parti, uno scarso interesse alla causa, nonchè considerate la natura e la consistenza della pretesa azionata e i margini di riduzione ricavabili dalle su dette decisioni della CEDU, l’indennizzo può essere liquidato in favore di ciascun ricorrente nella misura forfettaria complessiva di Euro 5.000,00 con gl’interessi dalla domanda sino al saldo come richiesto. Il Ministero convenuto va altresì condannato, stante il parziale accoglimento della domanda, al pagamento dei due terzi delle spese dell’intero giudizio – compensandosi l’altro terzo – che si liquidano, quanto a quello di merito, nella misura già ridotta di Euro 1.800,00 per diritti, 600,00 per onorari e centocinquanta per spese vive, distraendole in favore dell’avv. Pietro L. Frisani in quel grado dichiaratosene antistatario e, quanto a quello dinanzi a questa Corte, in favore degli attori, nella misura già ridotta di Euro 4.200,00 di cui Euro cento per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Riuniti i ricorsi nn. 8469 e 8471 del 2008, li accoglie e cassa il decreto impugnato. Decidendo la causa nel merito condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento, in favore di C.V., + ALTRI OMESSI Così deciso in Roma, il 3 giugno 2010, nella camera di consiglio della prima sezione civile.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2010

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