Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14750 del 30/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 14750 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 25507-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
1000

contro

MAZZOTTA DANIELE O DANIELA C.F. MZZDNL76T7OH501J,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,
presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo

Data pubblicazione: 30/06/2014

rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1415/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/10/2007 R.G.N.
6387/2003;

udienza del 20/03/2014 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

25507.08

Udienza 20 marzo 2014

Pres. A. Lamorgese
V. Di Cerbo

Est.

Sentenza

Rilevato che:
1.

La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di prime cure che aveva dichiarato
l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato, in data 27 maggio 1999, da
Poste Italiane s.p.a. con Daniela Mazzotta, con conseguente sussistenza di un rapporto di
lavoro subordinato a decorrere dal 1 0 giugno 1999, ed aveva condannato Poste Italiane al
pagamento, in favore della lavoratrice, delle retribuzioni maturate a decorrere dal 1 0 ottobre
1999. (Con la stessa sentenza era stata dichiarata la legittimità di un precedente contratto a
termine intervenuto fra le parti ma tale statuizione non è rilevante nel presente giudizio in
quanto non è stata impugnata).

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; la lavoratrice ha
resistito con controricorso.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

La Corte territoriale ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto in esame
avendo attribuito rilievo decisivo alla considerazione che tale contratto è stato stipulato, per
esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato
dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

5.

La statuizione concernente l’illegittimità del termine è stata censurata con gli unici tre motivi
di ricorso con i quali sono stati denunciati violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della legge
n. 56 del 1987 e degli artt. 362 e segg. cod. civ. in relazione all’art. 8 c.c.n.l. 26 novembre 1994
e ad altre norme collettive nonché vizio di motivazione in relazione agli artt. 421, 425 e 437
cod. proc. civ.

6.

Le suddette censure, che devono essere esaminate congiuntamente in quanto logicamente
connesse, sono infondate.

7.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione

alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire nuovi
casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende
dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità
del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti
(con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a
termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla
necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o
di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad
3

La Corte

e

assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile
2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi,
una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono
destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a
quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale
in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto
specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di
apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n.
7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha
univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di

dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del
c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio
1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile
1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il
30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in
forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608;
Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979,
Cass. 18378/2006 cit.).
8.

Sulla base dei suddetti principi, dei quali la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione,
appaiono, in particolare, del tutto inconferenti le censure nella parte in cui si riferiscono a
profili attinenti al regime della prova e dell’acquisizione della stessa.

9.

Con riferimento al profilo relativo alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità
della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso di specie
dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6° e 7° della legge 4 novembre
2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010. 15.

10. In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per
poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia
retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della
natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr.
Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì
necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla
disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la
disciplina sua propria.
11. Nella fattispecie deve ritenersi esclusa l’applicabilità dello ius superveniens atteso che nessuna
censura è stata formulata in tema di conseguenze economiche concernenti l’illegittimità del
recesso, relativamente alle quali la Corte territoriale aveva rilevato che l’atto di appello non
aveva sviluppato alcuna censura.
12. Il ricorso va pertanto respinto.
13. Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese del presente
giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura liquidata in dispositivo.
4

2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione liquidate in Euro 100 per esborsi e Euro 3500 (tremilacinquecento) per compensi
professionali e oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 marzo 2014.

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