Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1475 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 23/01/2020), n.1475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12059-2012 proposto da:

GEMA 96 SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati FRANCESCO RANDAZZO, CESARE FEDERICO

GLENDI delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 47/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 23/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/10/2019 dal Consigliere Dott. FRACANZANI MARCELLO MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione;

udito per il ricorrente l’Avvocato CALDERARA per delega orale degli

avvocati MANZI e GLENDI che si riportano;

udito per il controricorrente l’avvocato FARACI che si riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di pvc in data 17 marzo 2005, la società contribuente era attinta da avviso di accertamento per l’anno di imposta 2003, con riprese a tassazione relative a costi indeducibili di diversa natura e -soprattutto per quanto qui interessa- omessa contabilizzazione di ricavi per interessi attivi relativi a finanziamenti a società controllate e collegate. In tesi dell’Ufficio, infatti, in finanziamenti soci, specie se infruttiferi, sono operazioni straordinarie da iscrivere sui libri sociali, dove non sono state trovate annotazioni al proposito, mentre alle richieste di chiarimenti la contribuente avrebbe risposto con la corrispondenza intercorsa con le proprie controllate o collegate donde si ricavava la concessione del prestito. Di qui la contestazione di omessa contabilizzazione che, unitamente ad altre circa l’indeducibilità delle spese fondava l’avviso di accertamento tempestivamente impugnato.

I gradi di merito erano sfavorevoli alla contribuente che ricorre per cassazione affidandosi a dieci motivi, cui replica con tempestivo controricorso l’Avvocatura generale dello Stato.

In prossimità dell’udienza, parte contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLE DECISIONE

Vengono proposti dieci motivi di ricorso.

1. Con il primo motivo si prospetta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., oltre al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis. In sostanza, sin contesta che la sentenza abbia pronunciato in extrapetizione con riferimento alla disciplina antielusiva (art. 37 bis), quando le contestazioni dell’Ufficio ed il gravame della contribuente ha riguardato la ricostruzione analitico induttiva per mancata contabilizzazione (art. 39).

Il motivo è’ fondato, come afferma la stessa Avvocatura, ma non è dirimente, perchè nel prosieguo la sentenza prende posizione anche sul sistema di ricostruzione della mancata contabilizzazione, dimostrando ulteriore ratio decidendi tale da potersi reggere autonomamente rispetto alla censura qui mossale.

Il motivo è quindi.infondato e va disatteso.

2. Con il secondo motivo si prospetta ancora censura à termini dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ove ha ritenuto sussistenti – non adeguatamente motivando- le condizioni per procedere ad accertamento analitico induttivo sul semplice presupposto dell’antieconomicità, in assenza di presunzioni gravi, precise e concordati. Per la sua stretta connessione, il motivo può trattarsi in uno con il seguente, stante la stretta connessione.

3. Con il terzo motivo si propone il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per violazione dell’art. 43 TUIR e per omessa motivazione su punto controverso e decisivo. Nello specifico, la CTR avrebbe violato la disposizione citata che prevede una presunzione di onerosità del prestito soci, salva diversa risultanza nelle scritture contabili, mentre vi sarebbe stata prova documentale mediante contratti aventi data certa circa la natura infruttifera dei prestiti de quibus, in una logica di accentramento dei rapporti bancari in capo alla contribuente accertata. Per contro, il patrono erariale rileva che dal pvc si ricavi non esservi stata nessuna iscrizione al riguardo sui libri contabili, mentre i citati contratti esibiti restano inadeguati ad assolvere l’onere probatorio che si riferisce alle sole iscrizioni in bilancio. Resta,quindi controverso “se” ed il “come” sia stata data prova dei finanziamenti infragruppo, per far scattare la presunzione di onerosità e, quindi, la contestata omessa contabilizzazione cui segue la ripresa a tassazione con metodo analitico-induttivo, ritenendo inattendibili le scritture contabili. I due ultimi capoversi di pag. 5 e la prima parte di pag. 6 in cui si esaurisce la motivazione della sentenza sul punto prendono posizione, richiamando peraltro precedenti generali di questa Corte in tema di D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d).

Non di meno, sul punto questa Corte è già intervenuta affermando come ‘in tema di imposte sui redditi, la presunzione legale di onerosità per i versamenti effettuati dal socio alla società, prevista dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 43 ai fini della determinazione del reddito di capitale delle persone fisiche, è applicabile anche ai versamenti effettuati da soci imprenditori, in forma individuale o collettiva, non facendo la norma cenno alcuno ad una pretesa natura di persona solo “fisica” dei soci destinatari della presunzione ed essendo tale limitazione, in carenza di qualsivoglia concreto elemento di differenziazione, contraria ad una interpretazione normativa coerente con i precetti dettati dagli artt. 3 e 53 Cost., in quanto finirebbe per trattare diversamente situazioni economiche identiche. Ne consegue che, in caso di mancato superamento della presunzione legale, gli interessi attivi, al pari di quelli prodotti da qualsiasi finanziamento a terzi, concorrono a formare il reddito prodotto dall’impresa (individuale o collettiva), come espressamente previsto dal citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 45 e confermato dall’art. 95, nella parte in cui considera il reddito complessivo delle società quale reddito d’impresa “da qualsiasi fonte provenga” (numerazione delle norme anteriore al D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344) (Cfr. Cass., V, n. 12251/2010).

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

4. Con il quarto motivo si prospetta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e, in subordine, dei nn. 3 e 5 per violazione art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nonchè D.P.R. n. 917 del 1986, art. 42, comma 2, e art. 56, comma 3. Viene contestata la ricostruzione degli interessi dei prestiti infragruppo nella misura del 5%, invece che nella diversa individuazione di interessi legali o del costo del denaro.

Il motivo, dichiaratamente posto in via subordinata al rigetto dei precedenti, è infondato ove pare incontestato siasi fatto riferimento all’interesse usualmente praticato nei (pochi) prestiti onerosi infragruppo, criterio congruo per un accertamento analitico induttivo (e non induttivo puro).

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

5. Con i motivi da 5 a 10 si contesta omissione di pronuncia in appello su altrettanti capi di domanda, in parametro all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione art. 112 c.p.c.. In particolare, con il quinto motivo si lamenta omissione di pronuncia in appello sull’inerenza dei costi del premio assicurativo 20022003; con il sesto motivo si lamenta omissione di pronuncia in appello sull’inerenza dei costi di una vettura; con il settimo motivo, uguale doglianza per altra voce ritenuta indeducibile, segnatamente le spese di condono; con l’ottavo motivo, uguale doglianza relativamente a costi per omaggi (art. 108 TUIR, comma 2,); con il nono motivo, uguale doglianza per costi pluriennali indeducibili (art. 67 TUIR, comma 10,); con il decimo motivo, infine, uguale denuncia per omissione di pronuncia in appello in ordine alla mancata deducibilità di immobilizzazioni immateriali.

5.1. In tema di omissione di pronuncia, questa Corte è intervenuta più volte, affermando ‘Non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda” (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537). Secòndo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, 9/3/2011, n. 5583).

I motivi da cinque a dieci sono quindi infondati e vanno disattesi.

In definitiva il ricorso è infondato e va rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del grado di giudizio all’Agenzia delle Entrate che liquida in Euro 10.000/00 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 23 gennaio 2020

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