Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14749 del 30/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 14749 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 18433-2008 proposto da:
VILLA FORTUNATO C.F. VLLFTN32D17H501H, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA A. BEVIGNANI 9, presso lo
studio dell’avvocato FUCCI CESARE, che lo rappresenta
e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2014
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– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA,

VIA CESARE BECCARIA n.

29 presso

Data pubblicazione: 30/06/2014

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e
difeso dagli avvocati RICCIO ALESSANDRO, BIONDI
GIOVANNA, PULLI CLEMENTINA, NICOLA VALENTE, giusta
delega in atti;
– controricorrente –

avverso i provvedimenti della CORTE D’APPELLO di ROMA
del 26/02/2007, 02/07/2007, 05/05/2008 R.G.N.
9990/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/02/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato FUCCI CESARE;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIO per delega verbale
PULLI CLEMENTINA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
inammissibilità del ricorso.

.

Svolgimento del processo
Col presente ricorso, affidato a due motivi articolati in più punti, l’avv. Villa
Fortunato impugna tre ordinanze emesse dalla Corte d’appello di Roma nel
procedimento n. 9990/03 intercorso tra l’odierno ricorrente e l’Inps, vale a dire le

con la quale veniva ordinata la cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art.
309 c.p.c. per mancata comparizione delle parti alla seconda chiamata.
Con la prima ordinanza del 26/2/07 del procedimento, che aveva ad oggetto la
disamina del diritto del Villa al ricalcolo della pensione e la richiesta di condanna
dell’Inps al pagamento del relativo conguaglio, la Corte capitolina aveva invitato
l’appellante Villa alla produzione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado
conclusosi con la sentenza del Pretore di Roma del 2/3/1991, mentre con la
seconda ordinanza del 2/7/07 era stato disposto l’invito dell’appellante a produrre
conteggi analitici delle somme reclamate, col corredo di note esplicative.
Resiste con controricorso l’Inps.
Il ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente deduce la nullità del procedimento e delle
ordinanze del 26/2/07, del 2/7/07 e del 5/5/08, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn.
3 e 4 c.p.c., in relazione alla violazione degli artt. 6, comma 1, e 13 della
Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (in seguito CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge n. 848 del
4/8/1955, dell’art. 1 del 1° Protocollo addizionale alla stessa convenzione e del
Preambolo della CEDU nella parte in cui evoca la Dichiarazione Universale dei
diritti dell’uomo proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10/12/1948.
In sostanza il ricorrente lamenta che la gestione del processo sarebbe stata
contraddistinta dalla inattività dell’organo giudicante che non avrebbe provveduto
all’esame effettivo dei mezzi istruttori e delle argomentazioni difensive di merito.

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ordinanze istruttorie del 26/2/2007, del 2/7/2007 e quella conclusiva del 5/5/2008,

Ne deriverebbe, secondo il ricorrente, la nullità dell’intero procedimento conclusosi
con l’ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo del 5/5/2008.
li motivo è inammissibile.
Anzitutto, per quel che concerne le prime due ordinanze istruttorie del 26/2/07 e

non è consentito il rimedio del ricorso in cassazione.
Si è, infatti statuito (Cass. Sez. Lav. n. 14104 del 13/11/2001) che “i provvedimenti
tipicamente ordinatori, con funzione strumentale e preparatoria rispetto alla futura
definizione della controversia, privi come tali di qualunque efficacia decisoria, non
sono suscettibili di impugnazione davanti al giudice superiore, e tanto meno di
ricorso per cassazione (nella specie la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso
per cassazione proposto avverso l’ordinanza con cui era stato dichiarato
inammissibile il reclamo del provvedimento con cui, su comune richiesta delle
parti, il giudice aveva rinviato ad altra udienza per discutere sulle questioni
preliminari sollevate dalle parti medesime).”
Si è, altresì, affermato (Cass. Sez. 1. n. 4467 del 26/3/2003) che “il ricorso per
cassazione è esperibile, secondo i principi generali che regolano tale mezzo di
impugnazione, avverso i provvedimenti abnormi unicamente quando questi hanno
carattere decisorio, sono idonei a incidere su diritti, nonché a determinare il
formarsi del giudicato. Pertanto, non sono impugnabili con tale mezzo, ancorché
abnormi, i provvedimenti istruttori, in quanto meramente strumentali rispetto alla
decisione della causa, revocabili e modificabili dal giudice che li ha emessi, e
inidonei a determinare il formarsi del giudicato”.
Quanto all’ordinanza conclusiva del procedimento del 5/5/08, con la quale veniva
ordinata la cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 309 c.p.c. per
mancata comparizione delle parti alla seconda chiamata, ordinanza, questa,
avente natura decisiva, si osserva che il motivo è egualmente inammissibile,
atteso che il ricorrente non spiega in concreto in che modo il giudicante avrebbe

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del 2/7/07 si rileva che si è in presenza di provvedimenti ordinatori avverso i quali

disatteso le norme di rito, dal medesimo applicate, che sanzionano l’inattività
processuale delle parti.
In realtà, tali norme processuali sono in sintonia con le norme sul giusto processo,
in quanto le stesse tendono ad evitare che il disinteresse delle parti possa

Si è, al riguardo, già avuto modo di precisare (Cass. Sez. lav. n. 5238 del
4/3/2011) che “la disciplina dell’inattività delle parti dettata dal codice di procedura
civile, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica
anche alle controversie individuali di lavoro regolate dalla legge n. 533 del 1973,
non ostandovi la specialità del rito da questa introdotto, nè i principi cui essa si
ispira. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 348, comma primo, cod. proc. civ.,
anche in tali controversie, la mancata comparizione dell’appellante all’udienza di
cui all’art. 437 cod. proc. civ. non consente la decisione della causa nel merito, ma
impone la fissazione di nuova udienza, da comunicare nei modi previsti, nella
quale il ripetersi di tale difetto di comparizione comporta la dichiarazione di
improcedibilità dell’appello. (In base al suddetto principio la S.C. ha confermato la
sentenza impugnata che, in una ipotesi in cui si era prima verificata la mancata
comparizione dell’appellante all’udienza di discussione di cui all’art. 437 cod. proc.
civ. e poi la mancata comparizione di entrambe le parti alla successiva udienza
alla quale la causa era stata rinviata, aveva dichiarato l’improcedibilità dell’appello.
La S.C. – che per giungere al tale conclusione ha, fra l’altro, respinto la richiesta
del ricorrente volta ad ottenere una pronunzia di cancellazione della causa dal
ruolo- ha precisato che l’art. 348 cod. proc. civ. è posto ad esclusiva tutela
dell’interesse dell’appellante, il quale ne è l’unico fruitore e destinatario).”
2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3
e 4 c.p.c., degli artt. 181, comma 1, 112, 175 e 309 c.p.c., nonché degli artt. 24, 11
e 117 della Costituzione.

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determinare una ingiustificata dilazione della causa.

Assume il ricorrente che nel rito del lavoro non sono applicabili le norme di rito sul
rinvio del procedimento e sulla cancellazione della causa dal ruolo, in quanto la
mancata comparizione delle parti non impedisce al giudice di definire egualmente
il giudizio.

erano state presenti alle prime due udienze effettive, mentre a quelle successive
del 19/11/07 e del 5/5/08 esso appellante si era astenuto dal parteciparvi non
avendo condiviso le ordinanze del 26/2/07 e del 2/7/07 ed avendo depositato, in
data 18/9/07, formale richiesta di decisione.
A conclusione del motivo il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “E’
conforme a diritto la domanda specifica del ricorrente come quantificata,
documentata, supportata, articolata nel ricorso e non esaminata dai giudici di
merito?”
Osserva la Corte che anche il secondo motivo è inammissibile in quanto
attraverso il quesito conclusivo di diritto il ricorrente non indica, seppur in sintesi, in
che modo l’organo giudicante avrebbe in concreto violato le disposizioni di legge
indicate in premessa, dopo essersi limitato nella parte enunciativa del motivo a
segnalare la sua mancata condivisione sull’applicazione delle suddette norme di
rito, e tentando, nel contempo, di introdurre, attraverso lo stesso quesito, una
indagine di merito non consentita nel giudizio di legittimità allorquando assume, in
modo del tutto generico, che è conforme a diritto la domanda nei termini in cui la
stessa fu proposta col ricorso.
In definitiva, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste a
carico del ricorrente in base al principio della soccombenza.
P. Q. M.

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Aggiunge il ricorrente che nel giudizio d’appello di cui trattasi entrambe le parti

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente alle spese del
presente giudizio nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di €
100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 25 febbraio 2014

Il Consigliere estensore

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