Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14748 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 27/05/2021), n.14748

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27453/2014 R.G. proposto da:

Damibus s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso,

dall’Avv. Santine D’Eramo, elettivamente domiciliato presso il suo

studio, in Roma, Via Giovanni Bettolo n. 36;

– ricorrente –

contro

Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Massimo Biasiotti

Mogliazza, elettivamente domiciliata in Roma, Via Antonio Nibby, n.

11;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 2021/28/2014, depositata il 31 marzo 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 febbraio

2021 da Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dalla Damibus s.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma (n. 37/47/2013) che aveva rigettato il ricorso presentato dalla contribuente, per l’anno 2004, contro la cartella di pagamento per la somma ai Euro 233.514,00, emessa nei suoi confronti ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, a seguito di controllo automatizzato, dal quale era emerso il mancato versamento delle somme dichiarate. In particolare, il giudice d’appello evidenziava che, in caso di notifica diretta della cartella ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, è sufficiente l’invio di raccomandata con avviso di ricevimento, senza necessità di redigere un’apposita relata. Inoltre, non era necessario inviare il preventivo avviso bonario o di irregolarità alla contribuente, trattandosi di omissione di versamenti riferiti a somme dichiarate, quindi ben conosciute dalla società. La cartella esattoriale, poi, quale documento di riscossione degli importi contenuti nei ruoli doveva essere predisposta secondo il modello ministeriale, che non prevedeva la sottoscrizione dell’esattore essendo solo necessario che la stessa sia inequivocabilmente riferita all’organo amministrativo titolare del potere di emetterla.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, depositando memoria scritta.

3. Resiste con controricorso Equitalia sud S.p.A..

Diritto

CONSIDERTO

CHE:

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la “violazione e falsa applicazione della norma di legge: del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26”, in quanto dalla documentazione prodotta da Equitalia sud s.p.a. non emerge la prova dell’avvenuta consegna della cartella, non essendo sufficiente la semplice copia denominata “visualizzazione dettaglio documento”. Infatti, confrontando la detta cartolina con il modello che la stessa Equitalia richiama nel manuale del messo notificatore, risulterebbe omessa ogni apposizione relativa alla consegna eseguita nelle mani dell’addetto al ritiro, non risultando “barrata” alcuna casella. E’ vero che il messo notificatore di Equitalia ha dichiarato di aver notificato tale cartella all’addetto all’ufficio, ma risulterebbe omessa la successiva obbligatoria comunicazione relativa all’avviso di avvenuta notifica. Invero, anche in caso di notifica eseguita direttamente da Equitalia ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, il concessionario deve comunicare al destinatario l’avvenuta notifica a persona diversa dal legale rappresentante, mediante spedizione di apposita raccomandata con ricevuta di ritorno. Nel caso in esame, nessuna raccomandata relativa a tale comunicazione è pervenuta alla società contribuente; del resto, tale comunicazione, è prevista anche per la notifica mediante servizio postale, nel caso in cui l’atto non venga direttamente consegnato al destinatario, con spedizione di una raccomandata (modello CAN – comunicazione di avvenuta notifica). Vi è stata, dunque, falsa applicazione della L. n. 890 del 1992, art. 7, sulla notifica degli atti tributari a mezzo posta.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Nel motivo la ricorrente fa riferimento, alternativamente, sia alla notifica diretta della cartella da parte dell’agente della riscossione ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, sia alla notifica della cartella con l’utilizzo del messo comunale.

In entrambi i casi, la società si duole dell’avvenuta notifica della cartella presso la sede della società Damibus s.r.l., nelle mani dell’addetto alla ricezione, senza la spedizione della successiva raccomandata di avviso alla contribuente di notificazione eseguita mani di persona diversa destinatario (cfr. pag. 4 e 5 del ricorso per cassazione “dall’esame della cartolina prodotta in atti risulta che: “io sottoscritto T.D., ho notificato questo documento in (OMISSIS)… al signor D.L. che si è qualificato addetto al ritiro…”).

1.3. Quanto, a riferimento al procedimento di notifica diretta da parte dell’agente della riscossione, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, si rileva che ai fini della validità della notifica non è necessaria la spedizione della raccomandata informativa, nel caso in cui la notifica si eseguita persona diversa dal destinatario.

1.4. Invero, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, prevede, nella disciplina all’epoca vigente, che “la cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione…nelle forme previste dalla legge…la notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste da comma 2 o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.

La Corte Costituzionale (sentenza n. 175 del 23 luglio 2018), chiamata a pronunciarsi sulla conformità di tale disposizione con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., con il diritto di difesa ex art. 24 Cost., e con l’effettività del contraddittorio e la “parità delle armi” ex art. 111 Cost., ha rigettato la richiesta di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma. In particolare, la Corte Costituzionale ha affermato la legittimità della norma, muovendo dalla considerazione che la notifica “diretta” e “semplificata” delle cartella da parte del concessionario (poi divenuto agente) alla riscossione, quindi, con l’utilizzo delle disposizioni ordinarie di cui al D.P.R. n. 156 del 1973, invece che di quelle di cui alla L. n. 890 del 1982, è giustificato, non solo dalla natura sostanzialmente pubblicistica della posizione e dell’attività del concessionario, ma anche dall’esigenza, di rilievo costituzionale, di assicurare con regolarità le risorse necessarie alla finanza pubblica, in quanto la disciplina speciale della riscossione coattiva delle imposte non pagate risponde all’esigenza della pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato.

In particolare, la Corte Costituzionale ha evidenziato che la “semplificazione” che connota la notificazione “diretta” giustifica la mancanza della relazione di notificazione di cui all’art. 148 c.p.c., e della L. n. 890 del 1982, art. 3, relazione deputata ad attestare i dati significativi dell’avvenuta notificazione. Nella notificazione “diretta”, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1997, art. 26, comma 1, però, c’è il completamento dell’avviso di ricevimento da parte dell’operatore postale che, in forma sintetica, fornisce la prova dell’avvenuta consegna del plico “chiuso”, contenente l’originale della cartella, al destinatario.

La Corte Costituzionale non ha mancato di osservare che lo scarto tra la conoscenza legale e quella effettiva può essere riequilibrato facendo applicazione dell’istituto della rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2, in modo da tutelare il contribuente che non abbia avuto effettiva conoscenza dell’atto, fornendo al riguardo elementi presuntivi dinanzi al giudice della controversia.

Questa Corte si è già pronunciata sulla questione, con decisione cui si intende dare seguito, affermando che, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982, in quanto tale forma “semplificata” di notificazione si giustifica, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 175 del 2018, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (Cass., 12 novembre 2018, n. 28872; Cass., 5 dicembre 2017, n. 29022; anche in precedenza vedi Cass., 19 giugno 2009, n. 4327). In particolare si è ritenuto che la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, “alternativa” rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, comma penultimo, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione (Cass., sez. L, 19270/2018). Si è specificato che la semplificazione insita nella notificazione diretta si esplica sia nella mancanza della relazione di notificazione di cui all’art. 148 c.p.c., e L. n. 890 del 1982, art. 3, sia nella mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica, c.d. CAN, in quanto, anche se si verifica uno scostamento rispetto all’ordinario procedimento notifica Torio a mezzo del servizio postale ai sensi della L. n. 390 del 1982, nondimeno è comunque garantita al destinatario un’effettiva possibilità di conoscenza della cartella di pagamento notificatagli ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, (Cass., sez. 6-5, 12 novembre 2018, n. 28872).

Si è precisato che, in tema di riscossione delle imposte, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982, – in applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza con cui il giudice di merito ha ritenuto invalida la notifica della cartella sull’erroneo presupposto che, essendo stata ricevuta dal portiere, occorresse, a norma dell’art. 139 c.p.c., l’invio di una seconda raccomandata – (Cass., sez. 65, 13 giugno 2016, n. 12083).

Inoltre, per questa Corte, la cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, anche direttamente da parte del Concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso, secondo la disciplina del D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39, è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente; ne consegue che se manchino nell’avviso di ricevimento le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, adempimento non previsto da alcuna norma, e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur tuttavia valido, poichè la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c., ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata (Cass., sez. 5, 27 maggio 2011, n. 11708).

Da ultimo, questa Corte ha affermato che, ai fini del perfezionamento della notifica diretta effettuata, a mezzo posta, dall’incaricato della riscossione è sufficiente la consegna del plico al domicilio del destinatario, senza nessun altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la propria firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltrechè sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente, essendo la notifica valida anche se manchi l’indicazione delle generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, trattandosi di adempimento non previsto da alcuna norma (Cass., sez. 5, 17 gennaio 2020, n. 946).

Peraltro, vi è stato il raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, come si chiarirà nei paragrafi seguenti.

2. Peraltro, il vizio lamentato non sussiste neppure con riferimento alla notifica effettuata a mezzo del messo comunale.

2.1. Invero, costituisce principio giurisprudenziale consolidato quello per cui la notificazione di un atto tributario effettuato dal messo comunale, il cui provvedimento di nomina sia illegittimo, non è inesistente ma è affetta da nullità, sanabile non solo a seguito di costituzione in giudizio della parte, ma anche in ogni altro caso in cui sia raggiunta la prova dell’avvenuta comunicazione dell’atto notificato (Cass., 18 novembre 2008, n. 27375; Cass., 27 ottobre 1998, n. 10666; con riferimento alla irrilevanza della approvazione prefettizia dopo l’abrogazione del R.D. n. 383 del 1934, art. 273, vedi Cass. 22 febbraio 2002, n. 2536). In motivazione, si è peraltro, ritenuto che grava su colui che propone eccezioni in senso tecnico l’onere di fornire la prova dei fatti su cui le stesse sono fondate (Cass., 27375/2008; anche Cass. 1620/2002; Cass., 2536/2002).

Si è anche affermato che la notificazione di un atto processuale effettuata dal messo comunale senza la specifica autorizzazione del presidente del tribunale prevista dalla L. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 34, come modificato dalla L. 11 giugno 1962, n. 546, non è inesistente ma è affetta da nullità, con la conseguenza che è sanabile non solo a seguito della costituzione in giudizio della parte, ma anche in ogni altro caso in cui sia raggiunta la prova dell’avvenuta comunicazione dell’atto al notificato (Cass., 24 novembre 2005, n. 24812).

Si è di recente ritenuto, peraltro, che, in caso di notifica a mezzo messo comunale, come consentito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, comma 4. non è ravvisabile un rapporto di servizio diretto fra l’Amministrazione finanziaria ed A messo, che opera alle dipendenze del Comune (Cass., 19 novembre 2010, n. 23462). Infatti, i messi comunali agiscono nell’adempimento degli obblighi di prestazione che derivano dal rapporto di impiego pubblico che li legano al comune, nella cui struttura sono inseriti e in questo rapporto trovano titolo e giuridico fondamento a ogni loro pretesa connessa con l’esercizio dell’attività notificatoria, ancorchè svolta nell’interesse e per conto delle altre amministrazioni. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, prevede che il messo comunale possa effettuare la notifica degli atti dell’Amministrazione finanziaria anche di natura processuale, ad eccezione del ricorso per cassazione (Cass., 18291/2004), ben potendosi, invece, notificare a mezzo messo comunale il ricorso in appello (Cass., 11 novembre 2011, n. 23618).

Del resto, anche con riferimento all’attività espletata dal messo di concliazione, per questa Corte, in virtù dell’equiparazione funzionale tra l’ufficiale giudiziario ed il messo del giudice di pace (già messo di conciliazione), contenuta nella L. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 34, la notifica effettuata da quest’ultimo, in difetto assoluto dell’autorizzazione del presidente della corte d’appello, non è inesistente ma è affetta da nullità, sanabile non solo a seguito della costituzione della parte, ma anche in ogni altro caso in cui sia raggiunta la prova della avvenuta comunicazione dell’atto al notificato (Cass., 29 gennaio 2014, n. 1990).

Peraltro, per questa Corte, a sezioni unite, l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta i essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Cass., sez. un., 14916/2016).

Pertanto, anche qualora si volesse ritenere tale notifica nulla (ma non se ne ravvisano i presupposti, in quanto la cartella è stata ricevuta da persona detta alla ricezione degli atti per conto della società), ma non certo inesistente, la contribuente ha proposto tempestiva impugnazione avverso l’avviso di accertamento, con conseguente sanatoria del l’asserito vizio ai sensi dell’art. 156 c.p.c..

2.2. Peraltro, per questa Corte, ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica mediante consegna a persona addetta alla sede (art. 145 c.p.c., comma 1), senza che consti la previa infruttuosa ricerca del legale rappresentante e, successivamente, della persona incaricata di ricevere le notificazioni, è sufficiente che il consegnatario si trovi presso la sede della persona giuridica destinataria non occasionalmente ma in virtù di un particolare rapporto che, non dovendo essere necessariamente di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, pur se provvisorio e precario, di ricevere le notificazioni per conto della persona giuridica. Ne consegue che, qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario risulti la presenza di una persona che si trovava nei locali della sede, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l’onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere una sua dipendente, non era neppure addetta alla sede per non averne mai ricevuto incarico alcuno (Cass., sez. 6-5, 20 novembre 2017, n. 27420; Cass., sez. 5, 6 aprile 2018, n. 8472, che esclude solo la notifica effettuata al “familiare” convivente del legale rappresentante). Pertanto, trattandosi di notifica avvenuta al destinatario persona giuridica, a mani di uno dei soggetti legittimati, senza ordine preferenziale, non era necessario l’invio della ulteriore raccomandata informativa.

Invero, per questa Corte, in tema di notificazione a mezzo posta degli atti processuali, la spedizione della raccomandata informativa di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 6 (comma inserito dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 2 quater, conv., con modif., dalla L. n. 31 del 2008, e successivamente abrogato dalla L. n. 205 del 2017), era prescritta nell’ipotesi di consegna del piego a persona diversa dal destinatario, il quale, nel caso di notificazione alle persone giuridiche ex art. 145 c.p.c., va individuato non solo nel legale rappresentante, ma anche negli altri soggetti indicati nella disposizione e, cioè, nelle persone incaricate di ricevere le notificazioni o, in mancanza, addette alla sede (Cass., sez. 3, 26 maggio 2020, n. 9878).

Infatti, si è ritenuto che, a norma dell’art. 145 c.p.c., comma 1, che è applicabile anche al procedimento davanti alle commissioni tributarie in virtù del rinvio contenuto nel D.P.R. n. 636 del 1972, art. 39, le notificazioni alle persone giuridiche si eseguono nella loro sede mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in Mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa, senza che sia previsto per tali persone alcun ordine preferenziale; pertanto in tal caso è validamente eseguita (e di conseguenza è idonea a far decorrere il termine per ricorrere alla Commissione tributaria di primo grado) la notificazione dell’accertamento tributario quando l’atto sia consegnato ad uno qualsiasi dei predetti soggetti indicati dalla legge, senza che sia necessario menzionare le generalità del consegnatario (Cass., sez 1, 15 dicembre 1987, n. 9299; Cass., 9 maggio 2014, n. 10062).

3. Con la proposizione del ricorso avverso la cartella da parte del contribuente, comunque, si è prodotta la sanatoria di ogni eventuale vizio di notifica della stessa.

3.1. Invero, per questa Corte la natura sostanziale e non processuale (nè assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c.. Tuttavia, tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta – per l’esercizio del potere di accertamento (Cass., sez. un., 5 ottobre 2004, n. 19854; Cass., sez. 5, 31 gennaio 2011, n. 2272). Infatti, l’eventuale nullità della notifica dell’atto impositivo e sanata, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per effetto del raggiungimento del suo scopo, il quale, postulando che la notifica invalida sia comunque eseguita la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, può desumersi anche dalla tempestiva impugnazione, ad opera di quest’ultimo, dell’atto in validamente notificato (Cass., sez. 5, 24 agosto 2018, n. 21071; Cass., 13 marzo 2015, n. 5057; Cass., 21 settembre 2016, n. 1848, proprio in riferimento all’impugnazione della cartella di pagamento; Cass., sez. 6-5, 12 luglio 2017, n. 17198, anch’essa in relazione all’impugnazione di una cartella di pagamento Cass., n. 1238/2014; Cass., n. 10445/2011; Cass., sez. 5, 15 gennaio 2014, n. 654). Ciò che rileva e che, comunque, l’atto impositivo sia stato impugnato dal destinatario prima della scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo. Poichè questo è accaduto nel caso in esame, e poichè un’eccezione di decadenza dal potere impositivo in conseguenza della fermata nullità della notificazione dell’atto impugnato non risulta essere stata neppure formulata, ne deriva l’infondatezza della questione.

4. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36 bis, 36 ter e 54 bis”, in quanto il procedimento automatizzato di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, può essere utilizzato dall’amministrazione finanziaria soltanto se dai controlli emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione e, in tal caso, l’esito della liquidazione è comunicato al contribuente per evitare la reiterazione di errori e per consentirgli la regolarizzazione degli aspetti formali. L’art. 36 bis, è norma a contenuto sostanzialmente chiuso, quindi con ipotesi tassative di applicazione, limitatamente alla sola liquidazione delle imposte dei contributi e dei premi dovuti, nonchè dei rimborsi spettanti, non potendosi ritenere applicabile dall’Agenzia delle entrate tale istituto nel caso in cui dal controllo emerga carico del contribuente una imposizione ex novo, in tal caso essendo necessario l’emissione di un apposito avviso di accertamento. Il controllo cartolare è, infatti, limitato alla liquidazione delle imposte, dichiarate ma non versate. Se invece sussistono incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione è necessaria non solo la comunicazione di irregolarità, ma anche ristorazione di un apposito contraddittorio con il contribuente. Nel caso in esame, non era possibile l’applicazione del controllo automatizzato di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, in quanto la società non era in grado di conoscere le ragioni tassativamente indicate nella norma. Dalla lettura della cartella non si comprende se i tributi iscritti a ruolo siano dovuti per omesso versamento o per carente versamento o per tardivo versamento. L’invito a fornire chiarimenti era, dunque, obbligatorio. Dal ruolo emergeva soltanto che l’importo iscritto era pari ad Euro 308.848,53, comprese le sanzioni ed interessi per Euro 76.310,53, ma non si conoscevano le ragioni giuridiche poste a fondamento della stessa. Tale cartella, non solo non risulta portata nella sfera di conoscenza giuridica della società, ma non esplica l’esatta motivazione e ragione dell’iscrizione a ruolo.

5. Con il terzo motivo di impugnazione la società si duole della “violazione ed errata applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, e art. 10, comma 1, e del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2”, infatti ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 6, l’Amministrazione finanziaria deve assicurare effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati. Sarebbe stato, invece, necessario comunicare al contribuente l’avviso bonario, al fine di consentirgli di fornire chiarimenti e ulteriori elementi non considerati in sede di controllo automatizzato.

5.1. I motivi secondo e terzo, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono inammissibili.

5.2. Infatti, poichè la Commissione provinciale aveva rigettato il ricorso, la società avrebbe dovuto impugnare la sentenza di prime cure dinanzi alla Commissione regionale per tutte le domande che erano state respinte (effetto devolutivo nei limiti dei motivi di impugnazione).

La società, invece, in sede di appello ha contestato la decisione di prime cure solo in relazione alla errata valutazione del giudice in ordine alla validità della notifica della cartella, senza impugnare la decisione con riferimento alla asserita erronea utilizzazione del procedimento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis. Pertanto, in tal modo le questioni non ripresentare con l’appello sono passate in giudicato. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, fa, invece, riferimento alle questioni non riproposte con il gravame, ma si riferisce alla posizione giuridica dell’appellato, parzialmente vittorioso in primo grado, che deve optare o per l’appello incidentale (se v’è stata pronuncia implicita di rigetto su singole questioni) o per la riproposizione (se la questione è rimasta assorbita), e non all’appellante che non ha altra strada diversa dalla impugnazione.

Infatti, si è affermato che, nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perchè ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via – riproposizione/rinuncia rappresentata dal detto D.Lgs., art. 56, e art. 346 c.p.c., rispetto all’unica alternativa possibile dell’impugnazione – principale o incidentale – o dell’acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno (Cass. sez. 5, 6 giugno 2018, n. 14534).

5.3. Pertanto, la società, soccombente in primo grado, avrebbe dovuto proporre appello con riferimento a tutte le domande respinte.

6. I motivi sono, comunque, anche infondati.

6.2. Invero, la comunicazione di irregolarità deve essere inviata dalla Agenzia delle entrate solo nel caso in cui vi siano “incertezze” su aspetti rilevanti (Cass., 24 gennaio 2018, n. 1711; Cass., 112 aprile 2017, n. 9463).

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 1, (liquidazione delle imposte, dei contributi, dei premi e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni), dispone che “sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria, l’Amministrazione finanziaria provvede a: a) correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contributi e dei premi; b) correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze delle imposte, dei contributi e dei premi risultanti dalle precedenti dichiarazioni; c) ridurre le detrazioni d’imposta indicate in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni; d) ridurre le deduzioni dal reddito esposte in misura superiore a quella prevista dalla legge; e) ridurre i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione”.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 3, prevede, poi, che “quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione…l’esito della dichiarazione è comunicato al contribuente…per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali”.

La L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, dispone, quindi, che “prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente…3 fornire i chiarimenti necessari o produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta…”.

Il D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2 (riscossione delle somme dovute a seguito dei controlli automatici) dispone, poi, che “L’iscrizione a ruolo non è eseguita…se il contribuente…provvede a pagare le somme dovute…entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, prevista dai predetti artt. 36 bis e 54 bis…, commi 3”.

Non deve essere inviata, però, la comunicazione di irregolarità quando vi è stata solo omissione del versamento dovuto in base alla autoliquidazione dell’imposta (Cass., 26 settembre 2017, n. 22383), nè in caso di mero ritardo nel versamento (Cass., 10 giugno 2015, n. 12023).

Invero, in tema di controllo automatizzato del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, è legittima l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta, senza necessità di emettere avviso di accertamento, quando la verifica sia meramente cartolare e non implichi valutazioni, ciò che avviene quando essa si fondi sul solo riscontro obiettivo tra i dati formali contenuti nella dichiarazione dei redditi e le informazioni sul contribuente reperibili nell’anagrafe tributaria e sulle incongruità riscontrate dal suddetto raffronto (Cass., sez. 5, 5 novembre 2020, n. 24747) In caso di omesso o tardivo versamento non spetta, poi, la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, (Cass. Civ., 6 luglio 2016, n. 13759), in quanto l’interessato può, comunque, pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella, sempre che quella comunicazione sia dovuta.

Peraltro, il D.Lgs. n. 472 del 1977, art. 16, prevede al comma 3, che “entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, il trasgressore e gli obbligati…possono definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi”.

6.3. Nella specie, l’Agenzia delle entrate, con l’emissione della cartella di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, che non risulta preceduta dalla comunicazione dell’avviso di irregolarità, si è limitata a contestare il mancato versamento, o al più il ritardato versamento, di somme dovute, in quanto dichiarate dalla stessa società nella dichiarazione dei redditi, sicchè del tutto legittimo è stato l’utilizzo del procedimento di liquidazione automatizzata di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, senza la necessità di comunicare al contribuente l’avviso bonario o la comunicazione di irregolarità.

7. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione della disposizione normativa di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12. Sulla impossibilità di verificare l’effettiva sottoscrizione del ruolo”, in quanto nella cartella, non preceduta da alcun atto prodromico all’attività di riscossione, non era indicata la data cui i ruoli erano stati consegnati al concessionario della riscossione. Tale omissione non consente al contribuente di verificare l’esatta quantificazione degli interessi liquidati sull’atto. L’indicazione della data in cui il ruolo diviene esecutivo, prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, n. 3, è un requisito essenziale la cui mancanza determina la nullità. Il ruolo oggetto del ricorso, inoltre, risulta viziato in ordine alla sottoscrizione. Il concessionario si è limitato a dichiarare che il ruolo sarebbe stato consegnato dall’Ufficio il 25 gennaio 2008, mentre poi dalla documentazione allegata le controdeduzioni nel giudizio di primo grado, sulla dicitura relativa alla data di consegna dei ruoli non è riportata alcuna data.

7.1. Il motivo è infondato.

7.2. Infatti, come emerge dal controricorso sulla cartella di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, emerge la data di consegna del ruolo all’agente della riscossione, ossia il 25 gennaio 2008 (“VISTO 28.12.2007 CONS 25.1.2008”).

Inoltre, per questa corte, in tema di riscossione delle imposte sul reddito, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con D.M., che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito n. di codice (Cass., sez. 5, 4 dicembre 2019, n. 31605).

8. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio di soccombenza, a carico della società ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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