Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14748 del 13/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 13/06/2017, (ud. 10/05/2017, dep.13/06/2017),  n. 14748

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15550-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1141/22/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della Puglia, SEZIONE DISTACCATA di LECCE, depositata il

21/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/05/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTA CRUCITTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate ricorre, affidandosi a due motivi, nei confronti di P.E. (che non resiste) avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, nella controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento portante maggiori IVA, IRPEF ed IRAP relative all’anno di imposta 2002, rigettando l’appello principale proposto dall’Agenzia e quello incidentale proposto dal contribuente, ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto parzialmente il ricorso e rideterminato il reddito di impresa, riconoscendo un’incidenza dei costi pari al 60%.

A seguito di proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituali comunicazioni. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e con il secondo motivo la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 e dell’art. 2697 c.c.

2. Le censure sono entrambe fondate. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (tra le tante, le più recenti Cass. Sez.5, n. 26111/2015; id. n.16896/2014, n.4829/2015) in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscano ad operazioni imponibili. In particolare, in punto di onere probatorio, è stato di recente ribadito (Cass. n. 5857 del 29/07/2016) che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili.

Infine, con particolare riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 225/2005 citata dal Giudice di appello, questa Corte (ex multis, Cass. n.16896 del 24/07/2014; id n. 22666/2016) ha, reiteratamente, affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, e con riferimento all’acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili ad un’attività d’impresa, debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive che quelle passive, senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, la cui eventuale indicazione e prova è a carico del contribuente.

3. La sentenza impugnata -operando una riduzione dell’imponibile accertato, sulla base di una valutazione discrezionale sul tipo di attività di impresa esercitata, ha introdotto un elemento di determinazione non fondato su specifica prova contraria fornita dal contribuente – si è discostata da tali consolidati principi.

4. Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia anche per il regolamento delle spese processuali.

PQM

 

In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2017

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