Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14745 del 27/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 27/05/2021), n.14745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19493/14 R.G. proposto da:

P.M., rappresentata e difesa, come da delega a margine del

ricorso, dagli avv.ti Stefano Modenesi e Antonio Tomassini, con

domicilio eletto presso il loro studio, DLA Piper Studio Legale

Tributario Associato, in Roma, via dei Due Macelli, n. 66;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 510/38/14 depositata in data 29 gennaio 2014;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 23 febbraio

2021 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con distinti ricorsi P.M. impugnò gli avvisi di accertamento, per gli anni d’imposta 2006 e 2007, con i quali l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, il reddito dichiarato sulla base degli indici di cui al D.M. 10 settembre 1992, tabella allegata, ed in particolare, assumendo a riferimento l’acquisto (avvenuto nel 2007) di una autovettura Jaguar, del valore di Euro 80.000,00.

2. La Commissione tributaria provinciale di Varese, previa riunione dei ricorsi, li rigettò con sentenza che venne impugnata dalla contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale che, con la pronuncia in questa sede impugnata, rigettò il gravame.

Osservò, in particolare, che la notificazione degli atti impositivi era avvenuta a mezzo posta, nel rispetto delle disposizioni normative, e che la determinazione del reddito era avvenuta sulla base dell’applicazione del redditometro, procedura che dispensava l’Amministrazione finanziaria dal fornire ulteriori elementi indici di maggiore capacità contributiva oltre quelli individuati dallo stesso redditometro. Dando atto che la contribuente, nel corso dell’anno 2007, aveva acquistato un’automobile Jaguar, affrontando una spesa di Euro 80.000,00, accertò che era rimasto non dimostrato l’assunto difensivo secondo cui le somme per far fronte a tale spesa provenivano da donazioni del marito, il quale, sottoposto ad autonomo accertamento, non aveva fatto alcun riferimento alle elargizioni addotte a giustificazione dalla moglie.

3. La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, affidandosi a sette motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 e ss., e del D.M. 10 settembre 1992, in relazione agli artt. 23,24 e 53 Cost., laddove tali disposizioni non prevedono alcun limite al potere regolamentare riconosciuto all’Amministrazione finanziaria.

Deduce a sostegno della questione che le norme in esame delegano l’Amministrazione finanziaria alla elaborazione di uno strumento accertativo che, poggiando su presunzioni, non può rappresentare il solo presupposto per procedere alla rettifica dei redditi del contribuente e che si pone un problema di compatibilità del menzionato art. 38 e del D.M. 10 settembre 1992, rispetto alla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., che risulterebbe violata dall’attribuzione all’Amministrazione finanziaria di poteri normativi idonei ad incidere sulla base imponibile dei contribuenti.

Poichè, secondo lo stesso disposto del citato art. 38, gli unici mezzi di prova contraria di cui il contribuente può avvalersi rispetto all’accertamento sintetico sono a) il fatto che il maggior reddito sinteticamente accertato sia costituito da redditi esenti o b) il fatto che il maggior reddito sinteticamente accertato sia costituito da redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ad avviso della ricorrente, risulta evidente il contrasto sia con l’art. 24 Cost., sia con l’art. 53 Cost..

Aggiunge che l’introduzione dell’accertamento sintetico ha comportato una discrasia tra indici di spesa in esso non contemplati ed indici di spesa in esso contemplati, dal momento che ai primi corrisponde una presunzione semplice, mentre ai secondi soltanto una presunzione legale, a fronte della quale il contribuente non ha modo di tutelarsi con adeguati strumenti costituzionalmente tutelati.

1.1. La questione di legittimità costituzionale, sebbene rilevante ai fini del presente giudizio, è manifestamente infondata.

1.2. La Corte Costituzionale, con la ordinanza n. 297 del 13 luglio 2004, depositata il 28 luglio 2004, con riguardo alla dedotta violazione del principio di riserva di legge, si è già pronunciata per la infondatezza della questione, richiamando la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui tale riserva va intesa in senso relativo, ponendo al legislatore l’obbligo di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa (v. sentenze n. 7 del 2001, n. 215 del 1998 e n. 111 del 1997); ha, in particolare, affermato che “è stata rispettata la riserva di legge relativa, in quanto l’art. 38 stabilisce che il regolamento deve prendere in considerazione elementi e circostanze di fatto certi e fissa delle linee direttive a cui si deve attenere l’accertamento compiuto tramite regolamento perchè lo stesso sia valido (deve scostarsi di almeno un quarto da quanto dichiarato per almeno due periodi di imposta), con salvezza della prova contraria del contribuente..”, precisando, altresì, che “nessuna norma costituzionale o di legge stabilisce che in materia tributaria i regolamenti debbano essere adottati con regolamento governativo ai sensi della L. n. 400 del 1988, art. 17, con la conseguenza che nessun vulnus costituzionale può ravvisarsi nella scelta di un regolamento del Ministro delle finanze, senza considerare che la norma da ultimo citata, nel fare un elenco delle materie che devono essere disciplinate con il regolamento, non fa menzione della materia tributaria”.

Questa Corte, peraltro, ha già avuto modo di precisare che i decreti ministeriali assolvono ad una funzione meramente accertativa e probatoria e non hanno natura sostanziale poichè non contengono norme per la determinazione del reddito (Cass., sez. 5, 19/04/2013, n. 9539). Il che esclude, alla radice, l’ipotizzata lesione dell’art. 23 Cost., che riserva alla legge la facoltà d’imporre (per quanto qui interessa) prestazioni patrimoniali (Cass., sez. 5, 24/04/2018, n. 10037).

La Corte Costituzionale, con la pronuncia sopra richiamata, ha parimenti escluso la violazione dell’art. 53 Cost., confermando quanto già statuito con la precedente ordinanza n. 283 del 23 luglio 1987, con la quale si è osservato che, sebbene l’accertamento previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, sia fondato su presunzioni, esso è ancorato ad elementi che debbono essere rigorosamente dimostrati e che sono idonei a costituire fonte sicura di rilevamento della capacità contributiva.

Anche la violazione dell’art. 24 è stata disattesa con la ordinanza n. 283 del 1987, poichè nessun limite è posto dalla normativa alla prova della insussistenza degli elementi e circostanze di fatto sui quali si basa l’accertamento induttivo.

D’altro canto, l’insussistenza di limitazioni del diritto di difesa e dei poteri probatori in capo a chi è sottoposto a verifica fiscale trova evidente riscontro nel costante orientamento di questa Corte secondo cui l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, oltre che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, anche che, più in generale, il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass., sez. 5, 19/10/2016, n. 21142; Cass., sez. 5, 19/04/2013, n. 9539; Cass., sez. 5, 24/04/2018, n. 10037; Cass., sez. 5, 18/04/2019, n. 10919).

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 e ss., e del D.M. 10 settembre 1992, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici di appello affermato che l’accertamento sintetico dispensa l’Ufficio dal fornire altri elementi indici di maggiore capacità contributiva, oltre quelli individuati dal redditometro stesso.

La ricorrente sostiene che la ricostruzione presuntiva realizzata dall’Ufficio non presenta i requisiti della gravità, precisione e concordanza e che, al di là del dato esibito con riguardo all’autovettura, nessuna circostanza sarebbe stata addotta dall’Amministrazione finanziaria che possa confermare le risultanze della verifica.

Sottolinea, pure, che in primo ed in secondo grado aveva prodotto documentazione – non vagliata dai giudici di appello – comprovante che l’acquisto dell’autovettura era avvenuto grazie all’intervento del marito, C.C., che aveva emesso un assegno circolare di Euro 15.000,00, nonchè grazie all’accensione di un finanziamento per un importo di Euro 41.177,38, che prevedeva rate di circa Euro 700,00 mensili, e che il marito le versava ogni mese circa Euro 1.000,00 con i quali sosteneva le spese personali, fra le quali la rata del finanziamento.

3. Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 e ss., del D.M. 10 settembre 1992, e violazione del principio del contraddittorio, lamentando che l’accertamento nei suoi confronti non è stato preceduto da un contraddittorio, nonostante lo stesso legislatore abbia introdotto, con il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, specifici correttivi allo strumento presuntivo dell’accertamento sintetico, imponendo all’Amministrazione finanziaria una analisi più approfondita della posizione fiscale del contribuente.

4. Con il quarto motivo – rubricato: “omessa pronuncia – Nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Della violazione del principio del contraddittorio ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 e ss., e del D.M. 10 settembre 1992, sotto il profilo della motivazione dell’atto impositivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42” – lamenta che i giudici di secondo grado hanno omesso di esaminare l’eccezione con la quale era stato dedotto il vizio di motivazione dell’atto impositivo che non dava conto delle ragioni per le quali erano state disattese le contestazioni sollevate dalla contribuente.

5. Con il quinto motivo – rubricato: Omessa pronuncia – Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, e degli artt. 100 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Della violazione del principio del contraddittorio ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 e ss., e del D.M. 10 settembre 1992, sotto il profilo della motivazione dell’atto impositivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42 – ripropone la doglianza fatta valere con il quarto motivo per il caso in cui il vizio di omessa pronuncia venga ritenuto rientrante tra i motivi di impugnazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

6. Con il sesto motivo denuncia omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (violazione del principio del contraddittorio ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 e ss., e del D.M. 10 settembre 1992, sotto il profilo della motivazione dell’atto impositivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e reitera la doglianza esposta con il quarto ed il quinto motivo per il caso che la si ritenga rientrante nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7. Con il settimo motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e della L. n. 890 del 1982, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui i giudici regionali hanno respinto l’eccezione di inesistenza della notificazione, pacificamente avvenuta a mezzo posta, per mancanza di relata di notifica, deducendo che la proposizione dell’impugnazione non comporta sanatoria del vizio per raggiungimento dello scopo, dal momento che lo scopo della notificazione non è quello di “provocare” l’impugnazione del provvedimento impositivo, bensì di perfezionarne la formazione.

8. Il terzo motivo, che deve essere esaminato con priorità, è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno invero affermato (Cass., sez. U, 9/12/2015, n. 24823) che: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica previsione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

Le Sezioni Unite hanno evidenziato, appunto, come, nella normativa tributaria nazionale, in relazione ai tributi non armonizzati, non si rinviene alcuna disposizione espressa che sancisca in via generale l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, al di fuori di precise disposizioni che tale contraddittorio prescrivono, peraltro a condizioni e con modalità ed effetti differenti, in rapporto a singole ben specifiche ipotesi, quale D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7 (come modificato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, convertito in L. n. 122 del 2010), in tema di accertamento sintetico.

Nella specie, si verte in ipotesi di accertamento sintetico per gli anni d’imposta 2006 e 2007, in relazione ai quali non opera la modifica normativa di cui al D.L. n. 78 del 2010, convertito dalla L. n. 122 del 2010.

Infatti, il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, ha disposto (con l’art. 22, comma 1), con specifica norma di diritto transitorio, che le modifiche operano in relazione agli “accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” e quindi la norma ha effetto dal periodo d’imposta 2009 (cfr. Cass., sez. 6-5, 6/10/2014, n. 21041; Cass., sez. 6-5, 6/11/2015, n. 22746; Cass., sez. 6-5, 31/05/2016, n. 11283).

La sentenza della C.T.R. è pertanto conforme ai suddetti principi di diritto.

9. Il quarto motivo è infondato.

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., sez. 1, 13/10/2017, n. 24155; Cass., sez. 2, 13/08/2018, n. 20718; Cass., sez. 6-1, 4/06/2019, n. 15255; Cass., sez. 5, 2/04/2020, n. 7662).

La Commissione tributaria regionale, nel rigettare l’appello della contribuente e nel confermare l’accertamento, ha implicitamente disatteso l’eccezione di nullità dell’atto impositivo per carenza di motivazione, sollevata dalla contribuente.

10. Il quinto ed il sesto motivo, che possono essere scrutinati congiuntamente perchè connessi, sono parimenti infondati.

10.1. Sebbene i giudici regionali non si siano espressamente pronunciati sulla presunta nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perchè erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass., sez. U, 2/02/2017, n. 2731).

10.2. Va, al riguardo, ribadito (cfr. Cass., sez. 5, 31/03/2017, n. 8378; Cass., sez. 5, 1/12/2020, n. 27401) che “In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo”.

La C.T.R. ha correttamente ritenuto che l’avviso di accertamento era idoneamente motivato, dal momento che l’Ufficio deve solo indicare gli elementi indicatori di reddito e lo scostamento derivatone rispetto al reddito dichiarato, ben potendo la parte contribuente fornire la prova contraria anche nel corso del giudizio.

11. Anche il settimo motivo va rigettato.

A partire dal 15 maggio 1998, data di entrata in vigore della L. n. 146 del 1998, art. 20, (che ha modificato la L. n. 890 del 1982, art. 14), gli uffici finanziari possono procedere alla notificazione a mezzo posta ed in modo diretto degli avvisi e degli atti che per legge vanno notificati al contribuente. Pertanto, quando l’Ufficio si sia avvalso di tale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della L. n. 890 del 1982 (in quanto le disposizioni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, concernono esclusivamente la notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 149 c.p.c.).

Ne deriva che non va redatta alcuna relata di notifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass., sez. 5, 4/07/2014, n. 15315; Cass., sez. 5, 15/07/2016, n. 14501; Cass., sez. 5, 14/11/2019, n. 29642), senza che si renda, peraltro, necessario l’invio della raccomandata al destinatario (Sez. 5, Sentenza n. 8293 del 04/04/2018).

Nella sentenza qui impugnata si afferma che la notifica degli atti impositivi è avvenuta a mezzo posta e che “ha seguito tutto il dettato della normativa al riguardo”, cosicchè l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito non può essere sindacato in sede di legittimità.

Peraltro, l’eventuale invalidità della notifica dell’avviso di accertamento deve intendersi comunque sanata, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., per raggiungimento dello scopo ove detto vizio non abbia pregiudicato il diritto di difesa del contribuente, situazione che si realizza nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, il medesimo abbia tempestivamente impugnato l’atto contestandone il contenuto (Cass., sez. 5, 9/05/2018, n. 11043; Cass., sez. 6-5, 12/07/2017, n. 17198).

12. Il secondo motivo del ricorso è inammissibile.

Per costante orientamento di questa Corte (cfr. tra le altre Cass., sez. 10/08/2016, n. 16912), in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dal D.M. 10 settembre e D.M. 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicchè è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.

Si è, in particolare, chiarito, con principio del tutto condivisibile, (Cass., sez. 6-5, 26/01/2016, n. 1332) che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, applicabile ratione temporis, la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento”; con la ulteriore precisazione (Cass., sez. 6-5, 10/07/2018, n. 18097) che “in tema di accertamento sintetico, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 6, non è sufficiente la dimostrazione, da parte del contribuente, della disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che tali redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, deve essere fornita quella delle circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere” e che “in tema di accertamento sintetico del reddito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, ove il contribuente deduca che la spesa sia il frutto di liberalità o di altra provenienza, la relativa prova deve essere fornita con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi, ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento, pur non essendo lo stesso tenuto, altresì, a dimostrare l’impiego di detti redditi per l’effettuazione delle spese contestate, attesa la fungibilità delle diverse fonti di provvista economica” (Cass., sez. 6-5, 28/03/2018, n. 7757).

La C.T.R., dopo avere rilevato che la contribuente ha acquistato un’automobile Jaguar, affrontando una spesa di Euro 80.000,00, a fronte di un reddito dichiarato nello stesso periodo di Euro 7.700,00, ha escluso, con accertamento di fatto, che la contribuente, sulla quale gravava l’onere di dimostrare che i proventi utilizzati per far fronte a detta spesa derivavano da redditi esenti o da donazioni o da altre entrate non reddituali, avesse fornito idonea prova documentale che l’acquisto fosse stato effettuato con elargizioni provenienti dal coniuge.

L’apprezzamento svolto dai giudici di merito non può essere rimesso in discussione in sede di legittimità.

Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass., sez. 1, 6/03/2019, n. 6519; Cass., sez. 5, 28/11/2014, n. 25332), senza considerare le ragioni offerte dal giudice d’appello, poichè in tal modo la censura si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass., sez. 1, 24/09/2018, n. 22478; Cass., sez. 3, 31/08/2015, n. 17330).

13. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021

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