Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14739 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/07/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 05/07/2011), n.14739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIAMMARIA GIACOMO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.I., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato SCARTABELLI CARLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 912/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 20/06/2006 r.g.n. 1276/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega GIACOMO GIAMMARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per rinvio a nuovo ruolo e in subordine

inammissibilità.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 20.6.2006, rigettava l’appello proposto dalla società Poste Italiane p. a avverso la sentenza del Tribunale di Pistoia con la quale era stata ritenuta ingiustificata la causale apposta al contratto a termine stipulato con S.I. con decorrenza 19.7.1999 (“esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi …” con richiamo all’art. 8 del c.c.n.l. 26.11.1994), ritenendosi che l’apposizione del termine a contratti stipulati anteriormente al gennaio 2001 fosse nulla, avendo gli accordi attuativi dell’art. 8 c.c.n.l. 26,11.1994 previsto quale termine finale per procedere alle assunzioni quello del 30.4.1998 ed essendo venuta meno successivamente la contrattazione autorizzatoria.

Ulteriore motivo di rigetto risiedeva nella considerazione che non era stata indicata alcuna specifica causale che consentisse di ricollegare enologicamente l’assunzione a termine dellappellato con le esigenze di carattere straordinario enunciate nella clausola contrattuale.

Propone ricorso per cassazione la società affidando impugnazione a due motivi.

Resiste con controricorso la S.. La società ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo dei motivi di ricorso, la società deduce violazione ed erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e degli artt. 1362 e ss. c.c. nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Asserisce la natura non negoziale ma meramente ricognitiva del fenomeno della ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto degli accordi successivi a quello del 25.9.1997, rilevando che la norma contrattuale in esame non deve necessariamente avere una efficacia temporale e che assume significato, a fini interpretativi, anche il comportamento complessivo delle parti posteriore alla conclusione del patto collettivo oggetto di interpretazione, aggiungendo che occorreva pertanto venficare unicamente la permanenza del fenomeno di ristrutturazione invocato a fondamento dell’apposizione del termine. Pone, a conclusione della parte argomentativa del motivo, specifico quesito, domandando se, in virtù della delega in bianco contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23, l’autonomia sindacale investita di funzioni paralegislative non incontra limiti ed ostacoli di sorta nella tipologia dei nuovi contratti a termine in relazione alle ipotesi che ne legittimano la conclusione, per cui gli accordi successivi a quello del 25.9.1997 non hanno natura negoziale ma meramente ricognitiva e se la norma contrattuale debba necessariamente prevedere una specificazione della causale collettiva in una causale individuale.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente denunzia l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

Assume che il risarcimento del danno avrebbe dovuto essere determinato tenendo anche conto della possibilità che il lavoratore abbia espletato attività lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto con la società ricorrente, e deduce violazione del disposto di cui all’art. 210 c.p.c. e dell’art. 421 c.p.c., oltre che la immotivata mancata considerazione, ai fini della relativa ammissione, delle istanze istruttorie avanzate. Conclude la parte argomentativa domandando se, nel caso di oggettiva difficoltà della parte ad acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare la prova a supporto delle proprie domande o eccezioni – aliunde perceptum -, il giudice debba valutare le richieste probatorie con minor rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole solo quando gli elementi somministrati dal richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto.

Il primo motivo di ricorso deve essere respinto.

Osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.

Al riguardo, sulla scia di Cass S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che 1 attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass, 4-8-2008 n 21063, v anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862 Cass, 26-7-2004 n 14011) “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato,” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass 23-8-2006 n 18378).

in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua osservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997.

integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo. sottoscritto in data 16 gennaio 1998.

le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998. ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n 20608; Cass. 28-1-2008 n. 28450, Cass. 4-8-2008 n. 21062 Cass., 27-3-2008 n. 7979 Cass. 18378/2006 cit).

In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va, quindi, confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo.

Quanto a secondo motivo di impugnazione, deve affermarsene la inammissibilità, atteso che il relativo quesito risulta in buona parte estraneo alle argomentazioni sviluppate e comunque del tutto astratto, rivelandosi privo di ogni riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dai giudici nel caso concreto esaminato.

Infine, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la società ricorrente invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7″ in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, a prescindere dalla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti cui il comma 7” della citata norma applica i precedenti commi 5 e 6: anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547 Cass 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

La soccombenza della società costituisce valido motivo per porre le spese di lite del presente giudizio a carico della stessa.

P.Q.M.

La Corte così provvede rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e Cpa come per legge ROMA. Così deciso in Roma, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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