Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14733 del 05/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/07/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 05/07/2011), n.14733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4091-2008 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, BIONDI GIOVANNA, giusta delega in atti;

contro

N.S., nella qualità di tutore della Signora E.

L.;

– intimata –

sul ricorso 7870-2008 proposto da:

N.S., nella qualità di tutore della Signora E.

L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE MARCORA

18/20, presso l’UFFICIO LEGALE CENTRALE DEL PATRONATO A.C.L.I.,

rappresentata e difesa dall’avvocato FAGGIANI GUIDO, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, BIONDI GIOVANNA, PULLI CLEMENTINA, giusta

delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1273/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 14/11/2007 r.g.n. 381/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2 011 dal Consigliere Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza in data 14 novembre 2007, la Corte d’appello di Torino ha parzialmente accolto, nei confronti dell’INPS, la domanda proposta da E.L. e, per essa, dal tutore N.S., per ottenere, quale cittadina marocchina, convivente con familiari lavoratori in Italia e titolare di permesso di soggiorno (ma non della carta di soggiorno) l’accertamento del diritto alla corresponsione della pensione di inabilità e dell’indennità di accompagnamento.

Richiamando l’art. 41 dell’accordo di cooperazione firmato il 27.4.1976 tra la Comunità economica Europea e il Regno del Marocco, recepito dal Regolamento CE n. 2211/78, come interpretato dalla Corte CEE con sentenza n. 18 del 1991, la Corte d’appello ha osservato che, secondo la suddetta sentenza, l’art. 41 citato è norma direttamente applicabile, che vieta di discriminare i lavoratori di nazionalità marocchina e i loro familiari conviventi nel settore della sicurezza sociale; a sua volta la nozione di “sicurezza sociale” di cui al ripetuto art. 41 deve essere intesa in analogia con l’identica nozione che figura nel regolamento CE n 1408/71 e in essa rientrano, quindi, anche le prestazioni di assistenza sociale come quelle rivendicate in giudizio. Sulla base di questa interpretazione la Corte d’appello ha ritenuto che negare le prestazioni in questione a un cittadino marocchino legalmente soggiornante in Italia solo perchè titolare di permesso di soggiorno e non della carta di soggiorno concreti quella discriminazione rispetto al cittadino italiano, legata esclusivamente alla diversa nazionalità, che l’Accordo di cooperazione citato non consente. Ha, tuttavia, aggiunto la Corte che, nel caso di specie, non poteva trovare accoglimento la domanda relativa alla pensione di inabilità, non essendo stata fornita dall’istante prova alcuna delia sussistenza del requisito reddituale cui la L. n. 118 del 1971, art. 12 subordina l’attribuzione del beneficio.

Di questa sentenza l’INPS chiede la cassazione con ricorso fondato su un unico motivo. Resiste N.S., nella qualità, con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale, illustrato anche con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti perchè proposti contro la stessa sentenza (art.335 c.p.c.).

2. Nell’unico motivo del ricorso principale l’INPS denuncia violazione della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, della L. n. 118 del 1971, art. 12 e della L. n. 18 del 1980, art. 1, assumendo che solo agli stranieri extracomunitari titolari di carta di soggiorno è attribuibile il diritto alle provvidenze assistenziali previste dalla legge nazionale. Aggiunge che la Corte costituzionale (sent. 324/06) ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art.80, comma 19, citato e sottolinea, da ultimo, che l’art. 41 dell’Accordo di cooperazione tra la CEE e il Regno del Marocco è volto a disciplinare le prestazioni di natura previdenziale (e non quelle di invalidità civile), come dimostrerebbe il suo continuo riferirsi ai “lavoratori” e che, in ogni caso, le prestazioni socio assistenziali non possono essere fatte rientrare nella nozione di sicurezza sociale contenuta nel Regolamento CE 1408/71 attraverso una comparazione con le previsioni del ripetuto art. 41, in quanto i regolamenti della Comunità Europea non riguardano i rapporti tra uno Stato Europeo e uno extraeuropeo.

3. A sua volta, nell’unico motivo del suo ricorso incidentale N. S., nella qualità, denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 33 del 1980, art. 14 secties, di conversione, con modificazioni, del D.L. n.663 del 1979, nonchè della L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13, sostenendo che, ai fini della verifica del requisito reddituale stabilito dalla L. n. 118 del 1971, art. 12 per il riconoscimento della pensione di inabilità, il reddito imponibile IRPEF che rileva è soltanto quello personale dell’inabile; ha errato, pertanto, la Corte d’appello nel ritenere che debba aversi riguardo anche al reddito prodotto dai vari componenti il nucleo familiare dell’inabile.

4. Sia il ricorso principale che quello incidentale non sono fondati, dovendo la conclusiva statuizione della Corte di merito – comportante l’affermazione del diritto di E.L. alla indennità di accompagnamento, e il rigetto, invece, della domanda dell’invalida relativa alla pensione di inabilità – ritenersi conforme a diritto, ancorchè la motivazione della sentenza impugnata necessiti di correzione e integrazione nei sensi di cui alle considerazioni che seguono (art. 384 c.p.c., comma 4).

5. Sulle questioni controverse, dopo il deposito della sentenza impugnata e degli stessi ricorsi per cassazione, si è pronunciata la Corte Costituzionale con tre sentenze dichiarative della illegittimità costituzionale della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, comma 19, (Legge finanziaria 2001) e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art.9, comma 1, (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – come modificato dalla L. 30 luglio 2002, n. 189, art. 9, comma 1, e poi sostituito dal D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, art. 1, comma 1, (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) – nella parte in cui dette norme escludono, rispettivamente, che l’indennità di accompagnamento (Corte cost. sent. n.306 del 2008), la pensione di inabilità di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12 (Corte cost. sent.

n. 11 del 2009)) e l’assegno di invalidità previsto dalla L. n. 118 del 1971, art. 13, poi sostituito ad opera della L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1, comma 35, (Corte cost. sent. n. 187 del 2010) siano attribuibili agli stranieri extracomunitari legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato soltanto perchè non in possesso della carta di soggiorno (ora, permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo).

6. L’intervento del giudice delle leggi fa seguito alla scelta legislativa, espressa nelle norme sottoposte a scrutinio di costituzionalità, di circoscrivere la platea dei fruitori delle prestazioni sociali da riconoscere in favore dei cittadini extracomunitari, intervenendo direttamente sui presupposti di legittimazione al conseguimento delle provvidenze assistenziali e individuandone, per l’effetto, i beneficiari solamente nei cittadini extracomunitari titolari della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE); così, in sostanza, facendo venir meno, quanto ai soggetti legittimati a fruire di trattamenti assistenziali, la equiparazione, precedentemente esistente, fra i cittadini italiani e gli stranieri extracomunitari in possesso di regolare permesso di soggiorno.

7. La Corte costituzionale ha giustificato il proprio intervento additivo osservando come sia da ritenere manifestamente irragionevole subordinare, quanto ai cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti in Italia, l’attribuzione delle prestazioni assistenziali sopra indicate al possesso di un titolo di legittimazione che (come la carta di soggiorno o il permesso di soggiorno CE) richiede, per il rilascio, tra l’altro, la titolarità di un reddito in un determinato ammontare e il regolare soggiorno nello Stato da un certo numero di anni (attualmente, cinque). Invero, nell’ordinamento giuridico nazionale, l’indennità di accompagnamento è concessa dalla L. n. 18 del 1980 ai soggetti totalmente inabili per il solo fatto della minorazione, senza che le condizioni reddituali vengano in alcun modo in rilievo; mentre l’assegnazione della pensione di inabilità e, rispettivamente, dell’assegno di invalidità civile richiede la dimostrazione delle disagiate condizioni reddituali espressamente e specificamente stabilite per detti benefici assistenziali dalla L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13 (norma, quest’ultima, da leggersi, oggi, nel testo sostituito, come già detto, dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35).

8. Tale manifesta irragionevolezza – ha sottolineato il giudice delle leggi – comporta che le norme sopra richiamate ed oggetto di censura costituzionale contrastano con l’art. 2 Cost. sul diritto alla salute, inteso anche come diritto ai rimedi possibili alle menomazioni prodotte da patologie di non lieve importanza, nonchè con l’art. 3 Cost. e violano, altresì, l’art. 10 Cost., dal momento che tra le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall’appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato.

9. In definitiva, secondo le sentenze costituzionali in commento, se è consentito al legislatore subordinare l’erogazione di determinate prestazioni (purchè non inerenti a rimediare a gravi situazioni d’urgenza) alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata, una volta, però, che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, assume carattere discriminatorio nei confronti dei cittadini extracomunitari – e sono, perciò, costituzionalmente illegittime – le norme che stabiliscano, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini italiani.

10. Esaminando il ricorso dell’INPS alla stregua degli indicati principi, osserva questa Corte che l’Istituto previdenziale non contesta l’idoneità del permesso di soggiorno di cui è titolare l’invalida ad abilitarla a soggiornare legalmente in Italia, nè contesta l’accertamento della sentenza impugnata relativo al carattere non episodico e di non breve durata di tale soggiorno (affermando la Corte d’appello che, all’epoca della domanda, E.L. soggiornava in Italia dal 1990 ed in modo stabile, convivendo con familiari lavoratori). Il ricorso, invero, è tutto e solamente incentrato a sostenere che quel titolo di legittimazione non è idoneo a consentire il riconoscimento del diritto del cittadino extracomunitario alle prestazioni assistenziali di cui alla L. n. 118 del 1971 (pensione di inabilità e assegno di invalidità) e alla L. n. 18 del 1980 (indennità di accompagnamento), essendo necessaria, a tal fine, la titolarità della carta di soggiorno.

11. Quanto poi alla questione prospettata nel ricorso incidentale, la giurisprudenza più recente di questa Corte (vedi Cass. n.5003 e 4677 del 2011, citate anche dalla ricorrente nella sua memoria) – operando una ricostruzione sistematica della normativa che, ne tempo e frammentariamente, ha dato regola, rispettivamente, alla pensione di inabilità e all’assegno di invalidità civile con riferimento alle condizioni reddituali richieste per l’assegnazione dei benefici in questione – ha ritenuto che, per la pensione di inabilità, debba aversi riguardo non solamente al reddito proprio dell’invalido ma anche – se costui è coniugato -, al reddito (eventuale) del coniuge;

onde il beneficio va negato quando l’importo del primo, ovvero di quello complessivamente posseduto dai coniugi, superi il limite determinato con i criteri indicati nella L. n. 118 del 1971, art. 12 (criteri che, oggi, a seguito della sostituzione del testo dell’art. 13 della stessa legge ad opera della L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, valgono anche per l’attribuzione dell’assegno di invalidità civile).

12. Nel caso concreto, il ricorso non fa alcun riferimento alla condizione personale dell’invalida (se si trattasse cioè di persona coniugata o meno), limitandosi la ricorrente a sostenere la tesi – come si è visto giuridicamente errata – che ai fini del riconoscimento della pensione di inabilità debba aversi riguardo unicamente ai redditi propri dell’invalido.

Soltanto nella memoria prodotta ex art.378 c.p.c. – e, dunque, inammissibilmente (vedi Cass. Sez. un. n. 11097 del 2006) la ricorrente deduce che E.L. era nubile e priva di redditi propri, tra l’altro richiamando a dimostrazione di tali circostanze di fatto documenti che si dicono prodotti in sede di merito, ma che non sono menzionati e trascritti nel loro contenuto nel ricorso per cassazione, così come impone il principio di autosufficienza dell’atto.

13. Va aggiunto che, per quanto risulta dalla sentenza impugnata, l’odierna ricorrente non ha rivendicato, neppure in subordine, nel giudizio di merito, il proprio diritto alla pensione di inabilità con riferimento alla insussistenza (ovvero alla inconsistenza) di un reddito coniugale; nè ha sollevato in questa sede alcuna censura di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in ordine a tutta la domanda proposta; la pretesa concretamente azionata muove, infatti, dal presupposto che il reddito cui deve aversi riguardo, agli effetti della condizione richiesta dalla L. n. 118 del 1971, art. 12, è unicamente quello proprio dell’invalido.

14. Ne consegue che non rileva, ai fini della decisione conclusivamente resa dalla Corte d’appello, l’affermazione del giudice a quo secondo la quale, ai fini della verifica del ripetuto requisito reddituale, va tenuto conto dei reddito complessivamente posseduto da tutti i componenti del nucleo familiare dell’invalido.

15. In conclusione sia il ricorso dell’INPS che quello proposto in via incidentale vanno rigettati.

16. Le spese del presente giudizio sono integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte, riuniti il ricorso principale e quello proposto in via incidentale, li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2011

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