Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1473 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2020, (ud. 17/10/2019, dep. 23/01/2020), n.1473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5048-2016 proposto da:

BANCA IFIS SPA, in persona dell’Amministratore Delegato,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA FRANCESCO SIACCI 38, presso lo

studio dell’avvocato GIORGIA PASSACANTILLI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARIO MARTELLI, giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 798/2015 della COMM.TRIB.REG. di TORINO,

depositata il 22/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/10/2019 dal Consigliere Dott. MELE FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CALICETI per delega orale

dell’Avvocato MARTELLI che si richiama alla memoria;

udito per il controricorrente l’Avvocato PALATIELLO che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Torino, Banca Ifis spa impugnava provvedimento di diniego rimborso IVA per l’anno 2000 per Euro 13.522,39, originariamente vantato dalla società Rock Magazine, che, poi fallita, aveva ceduto il credito ad essa ricorrente, la quale deduceva -con il corredo di documentazione- che la prima richiesta di rimborso era stata avanzata, in data 17.4.2001, dal fallimento che la reiterava il 21.7.2001; che nel 2005 vi era stata la cessione del credito e con atto notarile era presentata altra richiesta di rimborso che l’ufficio archiviava, nel 2007, a ragione della mancata presentazione della necessaria documentazione; altra richiesta di rimborso era formulata nel 2009 seguita, nell’anno successivo, dalla trasmissione della documentazione -richiesta dall’Agenzia- attestante la genesi del credito (fatture di vendita della merce nel periodo 1991-1997, prima dell’apertura del fallimento); nel 2012 l’Agenzia rigettava la richiesta a ragione del fatto che il credito vantato sarebbe scaturito come effetto della rilevante differenza tra gli acquisti di beni destinati alla vendita e le vendite effettivamente avvenute registrate nei predetti anni evidenziando altresì che non era stata prodotta la necessaria documentazione consistente nelle fatture di cessione a terzi e di autoconsumo delle merci giacenti.

L’adita CTP -nel contraddittorio tra le parti (l’ufficio, costituitosi, insisteva perchè venisse riconosciuta la correttezza del proprio operato)- accoglieva il ricorso e dichiarava dovuto il rimborso.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello deducendo la errata interpretazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt38 bis e art. 51 n. 2, avendo la CTP affermato che il credito si sarebbe “cristallizzato” nell’an con preclusione di ogni contestazione dei fatti in capo all’Amministrazione. Nella specie -assumeva l’appellante- essa Agenzia non era stata inerte avendo invitato più volte parte contribuente a produrre documentazione al fine di operare le opportune verifiche in ordine al credito de quo e, solo all’esito -non avendo la parte posto l’ufficio nella condizione di operare le necessarie verifiche- aveva negato il rimborso; in particolare non erano state prodotte le fatture di acquisto, indispensabili ai fini del controllo dell’IVA detraibile che aveva generato il credito richiesto a rimborso; infine l’ufficio si era tempestivamente attivato (anno 2001) a richiedere la documentazione necessaria per il credito IVA chiesto a rimborso anno 2000.

Si costituiva parte contribuente sostenendo che il credito proveniva da eccedenze ante fallimento (1997), che la relativa dichiarazione non era stata rettificata nei modi e nei termini di legge ed era divenuta definitiva essendo decorso il termine di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57; tale credito era stato poi chiesto a rimborso con la dichiarazione per il 2001, anch’essa rimasta priva di rettifiche ad opera dell’Agenzia. Da qui la “cristallizzazione” del credito per il decorso dei termini di cui sopra, considerato che l’Ufficio non aveva posto in essere una concreta attività accertativa idonea a sfociare nella rettifica della dichiarazione ovvero nella notifica di apposito avviso di accertamento, essendosi esso limitato ad affermare la mancanza di documentazione imputabile a parte contribuente.

La commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva l’appello così riformando la sentenza di primo grado. La CTR rilevava che l’appellante aveva invitato -in vista delle verifiche di legge- due volte la contribuente a produrre la documentazione necessaria (nel 2001 con richiesta al curatore rimasta senza seguito e conseguente archiviazione della pratica e nel 2009 a seguito di istanza di “disarchiviazione” presentata da Banca Ifis spa, anch’essa definita con diniego di rimborso a ragione della incompletezza della documentazione trasmessa, per l’assenza delle fatture di acquisto indispensabili ai fini del controllo dell’IVA detraibile che aveva generato il credito richiesto a rimborso.): da qui la legittimità del provvedimento erariale di diniego del rimborso per non essere stato posto l’ufficio nelle condizioni di verificare il credito, con situazione che si è definitivamente cristallizzata e formazione di silenzio-rifiuto non impugnato tempestivamente.

Per la cassazione di tale sentenza Banca Ifis spa propone ricorso affidato a quattro motivi, illustrato da memoria.

Al solo fine di partecipare all’udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1 si è costituita l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso consta di quattro motivi con i quali la ricorrente denuncia:

1) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 38-bis, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e dell’art. 2946 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”;

2) “Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in base all’art. 115 c.p.c., al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 38-bis, al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e all’art. 2946 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”;

3) “Nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 112 e 115 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30,38-bis e 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”;

4) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30,38-bis, 51,52, 54,54-bis, 55,56 e 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”;

Preliminarmente il collegio dà atto della irrilevanza dei “dubbi di legittimità costituzionale della soluzione accolta dalla sentenza impugnata e in particolare sulla violazione degli artt. 3,23,53 e 97 Cost.”, argomento al quale la ricorrente ha dedicato l’intera memoria, la quale, appunto, si chiude nei seguenti termini “O si condivide una interpretazione costituzionalmente orientata o si prospetta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale delle norme sopra indicate (indicarle) così come interpretate ed applicate dalla commissione tributaria”.

I primi due motivi -aventi identico contenuto e facendo riferimento alle medesime disposizioni, solo differenziandosi quanto alla diversa ipotesi prevista dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, rispettivamente- possono essere trattati congiuntamente.

La ricorrente si sofferma sulla tempestività della presentazione del modello VR e della dichiarazione IVA, richiamando l’istanza con cui essa reiterò la domanda di rimborso, al fine di interrompere i termini di decadenza e prescrizione; rappresenta che -decorsi 90 giorni dalla presentazione della dichiarazione- si forma il silenzio-rifiuto da parte dell’Amministrazione, passibile di impugnazione per precisare infine che il diritto al rimborso si prescrive in dieci anni.

Rileva il collegio la assoluta inconferenza dei motivi in commento avuto riguardo alla motivazione della sentenza impugnata sopra riassunta nei suoi passaggi più significativi.

Il terzo motivo denuncia la nullità della sentenza e/o del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il collegio osserva, in via preliminare, che il contenuto del mezzo configura un vizio di motivazione, vizio che non è più consentito far valere e peraltro insussistente, dal momento che la motivazione adottata dalla CTR è sufficiente e congrua, senza trascurare che la censura manca del tutto di autosufficienza.

Il quarto motivo denuncia solo in apparenza violazione di legge, costituendo esso una censura tutta incentrata sul merito della controversia, tipo di censura di cui non è ammesso l’ingresso nel giudizio di legittimità.

Spese secondo soccombenze, come in dispositive.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro tremila oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 23 gennaio 2020

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