Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14725 del 18/06/2010
Cassazione civile sez. trib., 18/06/2010, (ud. 29/04/2010, dep. 18/06/2010), n.14725
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARLEO Giovanni – Presidente –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 3/2009 proposto da:
R.A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOLO’
TARTAGLIA 5, presso lo studio dell’avvocato MURANO Giulio, che lo
rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (Ufficio di Roma (OMISSIS)) in persona del
Direttore
Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
e contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 143/2007 della Commissione Tributaria
Regionale di ROMA del 29.10.07, depositata il 22/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
29/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. GIAMPAOLO LECCISI.
Fatto
FATTO E DIRITTO
1. R.A.L. propone ricorso per cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di cartelle di pagamento IVA, la C.T.R. Lazio confermava la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso del contribuente.
1. I due motivi di ricorso (coi quali si deduce vizio di motivazione su fatto decisivo e controverso ex art. 360 c.p.c., n. 5) presentano entrambi diversi profili di inammissibilità.
In proposito, è sufficiente rilevare: che il denunciato vizio di motivazione attiene, più che all’accertamento dei fatti, alla asseritamente non corretta applicazione di norme giuridiche e perciò in realtà, inammissibilmente, censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la motivazione in diritto della sentenza impugnata; che i motivi si concludono con una incongrua formulazione di quesito (non richiesta per il vizio denunciato), mentre risultano carenti in relazione alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., a norma del quale è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo e consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. Cass. n. 8897 del 2008); che, anche volendo ritenere, al di là della diversa formulazione della rubrica, i motivi in esame espressione di censure ex art. 360 c.p.c., n. 3, essi sarebbero inammissibili per inidoneità dei relativi quesiti, la cui formulazione astratta e generica non consente di cogliere la rilevanza della risposta al quesito medesimo ai fini della decisione del motivo, nonchè di chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia e la regula iuris che, secondo il ricorrente, dovrebbe trovare applicazione nella fattispecie (v.
tra molte altre, da ultimo, Cass. n. 7197 e n. 8463 del 2009 nonchè SU n. 7433 del 2009), dovendo altresì considerarsi che secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità il quesito di diritto non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma (v.
tra le altre Cass. n. 4044 del 2009 e n. 19769 del 2008).
E’ inoltre appena il caso di aggiungere che non risultano chiaramente e specificamente indicati in ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 6, gli atti e/o documenti sui quali i motivi sono fondati nè essi risultano espressamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso ex art. 369. 4 c.p.c., n. 4.
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2010