Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14725 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/07/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 10/07/2020), n.14725

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6726-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.R., elettivamente domiciliata in ROMA VIA L. GOIRAN 23,

presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO CONTENTO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MICHELE BIANCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 47/2012 della COMM.TRIB.REG. del PIEMONTE,

depositata il 18/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2019 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Formatosi il giudicato – a seguito della ordinanza di questa S.C. n. 22716 del 2006, con cui era stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso della contribuente, per tardività, avverso la sentenza della C.T.R. del Piemonte n. 69/27/01 – sulla fondatezza della pretesa fiscale vantata per gli anni 19891990 nei confronti di B.R., quale titolare dell’omonima ditta individuale, in data 5 agosto 2009 la predetta B. avanzò istanza di annullamento in autotutela dei relativi avvisi di accertamento e degli atti conseguenti. Detta istanza venne giustificata alla luce di un ulteriore giudicato formatosi nelle more (C.T.R. del Piemonte n. 54/10/04), con cui era stata accertata l’estraneità della stessa B. agli illeciti fiscali contestati a La Macelleria s.a.s. di B.R. & C., per essere il rapporto d’imposta (così come, in tesi, nel caso della ditta individuale) interamente riferibile a tale Bo.Gi.; detta circostanza, poi, era stata confermata anche dalla sentenza penale emessa dalla Corte d’appello di Torino in data 5.12.2006 e passata in giudicato, con cui era stata accertata l’estraneità della B. anche in relazione al rapporto impositivo concernente la ditta individuale (oggetto del precedente giudicato), sostanzialmente per essere stata – la predetta – vittima di truffa da parte del Bo., che ne aveva alterato la firma negli atti di gestione relativi agli anni in discorso. Rigettata l’istanza dall’Ufficio di Torino – in forza del giudicato di C.T.R. del Piemonte n. 69/27/01 – con nota prot. n. 2009/64506 del 20.11.2009, la contribuente propose ricorso dinanzi alla C.T.P. sabauda, che lo respinse con sentenza n. 117/9/10.

La C.T.R. del Piemonte, però, accolse l’appello della contribuente e respinse quello incidentale dell’Ufficio, annullando il diniego di autotutela. In particolare, il giudice d’appello riscontrò l’effettiva sussistenza di un contrasto di giudicati sul rapporto d’imposta in discorso, da risolvere alla luce delle statuizioni contenute nella sentenza penale della Corte d’appello di Torino del 5.12.2006, con cui era stato acclarato che il Bo. aveva aperto una ditta individuale a nome della B., ma a sua insaputa.

L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso B.R..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 564 del 1994, art. 2-quater, conv. in L. n. 656 del 1994, del D.M. n. 37 del 1997, art. 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, art. 654 c.p.p. e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui s’è ritenuta la sussistenza di un contrasto di giudicati, giacchè anzitutto non può esservi contrasto riguardo a sentenze pronunciate tra soggetti diversi ed aventi oggetto diverso (un giudizio ha riguardato B.R., l’altro La Macelleria s.a.s. di B.R. & C.), ciò non essendo consentito dal disposto dell’art. 2909 c.c.; inoltre, nessun valore di giudicato, neanche prevalente, può assumere la sentenza penale d’appello citata, che oltre a mandare assolto il Bo. dai reati contestatigli, è stata resa in un giudizio in cui essa Agenzia non era parte e non può comunque spiegare alcuna automaticità nel processo tributario in forza della previsione dell’art. 654 c.p.p..

Infine, la B. non aveva dedotto, a sostegno dell’istanza di autotutela, quale fosse l’interesse di rilevanza generale da tutelare nella specie.

1.2 – Con il secondo motivo, si lamenta omessa e/o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente contesta l’affermazione della C.T.R. circa il contenuto della sentenza della Corte d’appello di Torino del 5.12.2006 anche sotto il profilo motivazionale, sostenendo come il giudice tributario non abbia dato conto dell’effettivo dictum della decisione (con cui il Bo., in riforma della sentenza di primo grado, era stato in realtà assolto dall’imputazione), omettendo anche di spiegare la propria valutazione di rilevanza e incidenza di quell’accertamento sulla pretesa tributaria. Ma la C.T.R., secondo la ricorrente, avrebbe anche omesso di considerare che nella stessa sentenza penale è stato accertato che la B., dopo l’effettivo avvio dell’attività della ditta individuale a sua insaputa, almeno dal 1989 aveva acconsentito a presentarsi come “testa di legno” del Bo..

1.3 – Con il terzo motivo, infine, si lamenta la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 La ricorrente censura la decisione impugnata anche nella parte in cui ha ritenuto inammissibile – per novità della questione – l’appello incidentale da essa proposto riguardo alla non impugnabilità del diniego di autotutela, dagli atti emergendo, invece, che l’eccezione era stata tempestivamente sollevata già in primo grado, tanto vero che essa era stata respinta dalla C.T.P. di Torino.

2.1 – Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, sollevata dalla controricorrente. Anche ammesso che l’Agenzia delle Entrate abbia esposto i fatti in maniera non veritiera, la circostanza troverebbe riparo nel contraddittorio e nella dialettica processuale, mentre la sanzione invocata concerne l’insufficienza (o l’eccesso) dell’esposizione dei fatti sostanziali e processuali, nella specie non ricorrenti.

3.1 – Il primo motivo è fondato.

Il D.L. n. 564 del 1994, art. 2-quater, conv. in L. n. 656 del 1994, attribuisce agli organi dell’Amministrazione finanziaria il potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati, rinviando alla normativa secondaria la definizione dei criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l’attività dell’amministrazione. Il D.M. n. 37 del 1997, art. 2, comma 2, stabilisce poi che l’annullamento d’ufficio è precluso in relazione ai motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria. Occorre infine, su un piano più ampio, che l’attività di ritiro sia giustificata da ragioni di rilevante interesse generale (Cass. n. 23765/2015): non basta, cioè, l’interesse al mero ripristino della legalità violata, nè l’interesse (utilitaristico) a conseguire comunque maggiori introiti, occorrendo bensì l’interesse pubblico a reperire entrate fiscali legalmente accertate (Cass. n. 6398/2014).

Nel caso di specie, è inequivoco che il rapporto tributario inerente la ditta individuale B.R. sia coperto dalla statuizione definitiva di C.T.R. del Piemonte n. 69/27/01, in senso sfavorevole alla contribuente, a seguito della ordinanza di questa S.C. n. 22716 del 2006, con cui venne dichiarata l’inammissibilità del ricorso della B., perchè tardivo. Da quanto è dato evincersi dagli atti, peraltro, l’impugnazione degli atti impositivi da parte della B. venne respinta dai giudici tributari nel merito, e venne quindi accertata la titolarità dell’obbligazione tributaria in capo alla stessa contribuente: la circostanza che la sentenza emessa dalla C.T.R. del Piemonte n. 69/27/01 sia passata in giudicato “per motivi formali” (v. controricorso, p. 20), e che per tale ragione gli avvisi di accertamento siano quindi annullabili in autotutela, è chiaramente un fuor d’opera, giacchè il ricorso per cassazione venne dichiarato inammissibile per tardiva proposizione dell’impugnazione, ma la statuizione d’appello, coperta dal giudicato, concerne senza alcun dubbio il merito della pretesa fiscale.

Nel suo percorso argomentativo, la C.T.R. del Piemonte, con la sentenza qui impugnata, giunge a superare l’esistenza di tale giudicato, contrapponendovene un altro (ossia, quello di C.T.R. del Piemonte n. 54/10/04, con cui era stata accertata l’estraneità della stessa B. agli illeciti fiscali concernenti La Macelleria s.a.s. di B.R. & C., essendo il relativo rapporto d’imposta interamente ascrivibile a Bo.Gi.) e così ritenendo di poter nuovamente entrare nel merito del rapporto impositivo oggetto di questo processo, statuendo in senso esattamente opposto al decisum di C.T.R. del Piemonte n. 69/27/01, sulla scorta delle presunte risultanze del procedimento penale per truffa a carico dello stesso Bo.. In particolare, la medesimezza dell’oggetto tra i due giudizi viene così descritta dal giudice d’appello: “una commissione provinciale (rectius, regionale, n. d.e.) aveva ritenuto la B., in quanto truffata, non soggetto di imposta ed una commissione regionale, con decisione 69/27/01, il contrario”. Così facendo, la C.T.R. incorre in un marchiano errore, perchè confonde le vicende fattuali circostanti all’accertamento fiscale (la pretesa truffa del Bo. ai danni della B.) e ai conseguenti giudizi tributari, con l’oggetto di questi ultimi: detto oggetto, ovviamente, non può che essere riferito allo specifico rapporto tributario sottostante (v., ex multis, Cass. 25798/2017). E’ quindi evidente che nella specie, già in astratto, non può sussistere alcun contrasto di giudicati, l’uno essendo riferibile alla ditta individuale B.R., l’altro alla società La Macelleria s.a.s. di B.R. & C., ossia a soggetti affatto diversi, ciascuno responsabile dei propri comportamenti in ambito tributario, a nulla peraltro rilevando che la B. abbia partecipato, in proprio, al giudizio concernente la società: vi è diversità non solo soggettiva, ma anche oggettiva. Del resto, nulla aggiunge la considerazione secondo cui “la D.I. e la s.a.s. sono state le due forme giuridiche, una in continuazione dell’altra, attraverso le quali il sig. Bo. ha condotto la propria attività di commercio carni” (v. controricorso, p. 19): ciò può anche essere vero, ma è circostanza di mero rilievo fattuale e occasionale, non logico-giuridico (non essendo la descritta sequenza legata da un nesso di pregiudizialità o presupposizione), sicchè resta confermato che l’oggetto dei due giudizi in discorso non può che essere diverso.

Ha pertanto errato la C.T.R. nel ritenere che due sentenze definitive, aventi ad oggetto distinti rapporti tributari inerenti soggetti d’imposta diversi tra loro, possano già in astratto entrare in conflitto, fino ad assurgere a vero e proprio contrasto di giudicati, così violando il concetto stesso di giudicato e, quindi (ed almeno), l’art. 2909 c.c..

Di conseguenza, ha ulteriormente errato la C.T.R. nel momento in cui è giunta ad elidere vicendevolmente i due giudicati, per risalire alla questione dell’assoggettamento della B. al rapporto d’imposta relativo alla ditta individuale, nonostante la statuizione definitiva, in violazione del consolidato principio secondo cui “In tema di contenzioso tributario, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo” (ex multis, Cass. n. 7616/2018). In tal guisa, la C.T.R. ha dunque violato il combinato disposto del D.L. n. 564 del 1994, art. 2-quater, conv. in L. n. 656 del 1994, e del D.M. n. 37 del 1997, art. 2, comma 2, il cui contenuto è già stato descritto.

4.1 – Il secondo motivo resta conseguentemente assorbito.

5.1 – Il terzo motivo è parimenti fondato.

La C.T.R. ha ritenuto affetta da novità la questione dell’inammissibilità dell’impugnazione del diniego di autotutela D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, così dichiarando inammissibile l’appello incidentale dell’Agenzia. Secondo la controricorrente, ciò sarebbe confortato dal cambio di strategia tra primo e secondo grado, essenzialmente in quanto sarebbe stato ampliato l’oggetto dell’eccezione (v. controricorso, p. 32).

Tuttavia, è evidente che – a prescindere dagli argomenti ulteriori spesi dall’Agenzia in appello – la questione sia rimasta identica, tanto è vero che la stessa C.T.P., nel respingere l’eccezione in primo grado, aveva espressamente affermato “che in realtà – e contrariamente a quanto affermano le controdeduzioni dell’Ufficio tributario – il ricorso impugna vizi propri dell’atto di diniego dell’instato annullamento dei precedenti atti impositivi, essi non impugnabili in quanto – ed il punto non è controverso – definitivi”. Si tratta di argomento talmente cristallino da rendere superfluo qualsiasi ulteriore commento.

La sentenza è dunque nulla in parte qua, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.

6.1 – In definitiva, sono accolti il primo ed il terzo motivo, assorbito il secondo.

Non occorrendo effettuare ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2, col rigetto sia dell’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione del diniego, che del ricorso della contribuente.

Quanto alla detta eccezione, è pur vero che la B. ha tentato di rimettere in discussione l’accertamento definitivo in suo danno, ma ciò ha fatto denunciando vizi propri del diniego di autotutela, come pure constatato dal giudice di primo grado, sicchè l’impugnazione del diniego stesso è di per sè ammissibile.

Essa è però infondata, perchè l’Amministrazione, nel negare l’annullamento richiesto dalla B., ha rilevato che l’istanza non poteva esitarsi favorevolmente alla luce del giudicato di C.T.R. del Piemonte n. 69/27/01, così ad un tempo implicitamente ed adeguatamente a) richiamando il disposto del D.M. n. 37 del 1997, art. 2, comma 2, che non consente la rimozione degli atti sui quali si sia formato il giudicato ad essa favorevole, nonchè b) motivando sulla impossibilità di prendere in considerazione gli ulteriori elementi offerti dalla stessa B. (“Non si ravvisano gli estremi per procedere ad una valutazione differente della Sua posizione…”).

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese della fase di merito, mentre quelle del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

la Corte accoglie il primo ed il terzo motivo e dichiara assorbito il secondo. Cassa in relazione e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso della contribuente. Compensa le spese del giudizio di merito, condannando Rosetta B. alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 10 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 10 luglio 2020

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