Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14720 del 18/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 18/06/2010, (ud. 29/04/2010, dep. 18/06/2010), n.14720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARLEO Giovanni – Presidente –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 29428/2008 proposto da:

SOCIETA’ “STOCK HOUSE DI PALAZZO VINCENZO & C. SAS” in persona

del

legale rappresentante ed inoltre P.V. (in proprio),

P.L., P.M., P.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 9, presso lo studio

dell’avvocato CARPINELLA Tommaso, che li rappresenta e difende,

giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 321/2007 della Commissione Tributaria

Regionale di NAPOLI del 22.10.07, depositata il 13/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Tommaso Carpinella che si riporta

agli scritti, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. GIAMPAOLO LECCISI che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. La Stock House di Palazzo Vincenzo & C. s.a.s. nonchè V., L., M. e P.F. propongono ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che ha depositato atto di costituzione) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avvisi di accertamento per Iva e Irap, la C.T.R. Campania confermava la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso dei contribuenti.

1. Il primo motivo di ricorso (col quale si deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 e 161 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36) è inammissibile per mancanza del prescritto quesito di diritto.

Il secondo motivo (col quale si deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1) deve ritenersi improcedibile per mancato deposito, unitamente al ricorso, ex art. 369 c.p.c., n. 4, degli atti e documenti sui quali il motivo è fondato (nella specie, p.v.c.).

Il terzo motivo di ricorso (col quale si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 1, per avere i giudici d’appello confermato la ripresa a tassazione benchè nella specie non fosse stato realizzato alcun reddito, vertendosi in ipotesi di fatture emesse per operazioni economicamente inesistenti) è (prescindendo da altre possibili considerazioni, anche nel merito) innanzitutto inammissibile perchè prospetta una questione nuova, che dalla sentenza impugnata non risulta in precedenza proposta e che i ricorrenti non deducono di avere già proposto nel corso dei giudizi di merito.

Con riguardo al quarto motivo (col quale si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 21, per erronea distribuzione dell’onere della prova in tema di fatture ritenute emesse per operazioni inesistenti), giova innanzitutto rilevare che, secondo la recente giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la relazione ex art. 380 bis c.p.c., è priva di valore vincolante e ben può essere disattesa dall’organo giudicante, ossia dal collegio in Camera di consiglio, che mantiene pieno potere decisorio (v. SU n. 7433 del 2009). Tanto premesso, il collegio osserva che il motivo in esame risulta manifestamente infondato, posto che nella parte relativa alla narrazione in fatto della sentenza impugnata i giudici d’appello hanno evidenziato che il p.v.c. faceva seguito ad ispezioni presso diverse aziende che risultavano aver annotato nei propri registri fatture emesse dalla Stok House s.p.a. non rinvenute nella relativa documentazione e che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale si intende dare continuità, in assenza di valide ragioni per discostarsene) , qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamene inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggior imponibile), ma tale onere può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti (v. tra le altre Cass. n. 1023 del 2008), con la conseguenza che, qualora l’Amministrazione fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indebiti, non assumendo rilievo la propria buona fede (v. Cass. n. 2847 del 2008). Nella specie pertanto i giudici d’appello non solo non hanno affermato alcun principio (tantomeno erroneo) di distribuzione dell’onere della prova in materia di fatture asseritamente inesistenti, ma, limitandosi nella parte motiva ad affermare che neppure in appello la società aveva prodotto elementi atti a contrastare i rilievi di cui al processo verbale della G.d.F. integralmente riportato negli avvisi opposti, hanno in realtà dato attuazione ai principi espressi nella giurisprudenza sopra citata, secondo la quale, se l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere grava sull’amministrazione finanziaria, l’onere di fornire la prova contraria ai riscontri (anche solo) indiziari dell’amministrazione spetta pur sempre al contribuente.

Il ricorso deve essere pertanto integralmente rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.850,00 di cui Euro 1.650,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2010

 

 

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