Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14719 del 19/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 19/07/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 19/07/2016), n.14719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29459/2014 proposto da:

G.M., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA OTTORINO LAZZARINI 19, presso lo studio dell’avvocato UGO

SGUEGLIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANDREA SGUEGLIA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO AFFARI ESTERI ((OMISSIS)), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che Io rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5175/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

29/5/2014, depositata il 15/9/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/5/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata:

“Con ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Roma, G.M., già docente di molo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e Ricerca poi transitata nel molo del Ministero degli Affari Esteri, conveniva in giudizio quest’ultimo Dicastero chiedendo che fosse dichiarato illegittimo l’operato assorbimento dell’assegno ad personam di cui godeva dal momento dell’assunzione presso il Ministero degli Affari Esteri. Il Tribunale accoglieva la domanda ritenendo non riassorbibile l’assegno in questione alla luce della interpretazione autentica della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, di cui della L. n. 266 del 2005, art. unico, comma 226. Avverso tale pronuncia il Ministero proponeva impugnazione deducendo prioritariamente la violazione del principio del ne bis in idem. La Corre di appello di Roma, in accoglimento del gravame, respingeva l’azionata domanda ritenendo che sulla questione della riassorbibilità dell’assegno n questione fosse già intervenuta tra le parti altra sentenza passata in giudicato (e cioè la n. 13944 del 15/7/20905 del Tribunale di Roma) che aveva respinto la domanda intesa ad ottenere il maggior trattamento economico spettante sotto forma di assegno ad personam con la dichiarazione di non riassorbibilità di quest’ultimo.

Avverso questa sentenza G.M. propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo.

Resiste con controricorso il Ministero per gli Affari Esteri.

Con l’unico articolato motivo la ricorrente denuncia la violazione e l’errata applicazione degli artt. 88, 175 e 416 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2, degli artt. 25, 97 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il lungo lasso di tempo dalla formazione del giudicato non costituirebbe rinuncia alla sua deduzione, confermata, peraltro, dal mancato rilievo del giudicato esterno in sede di comparsa di costituzione del Ministero. Rileva altresì un vizio della decisione nella parte in cui questa è stata basata sull’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Roma n. 13944/2005 documentato da certificazione depositata dalla controparte solo in grado di appello mi già in suo possesso da epoca ben precedente all’instaurazione del giudizio.

I rilievi sono manifestamente infondati.

Questa Corte ha da tempo affermato che il giudicato, anche esterno, non costituisce oggetto di eccezione in senso tecnico, ma è rilevabile in ogni stato e grado anche d’ufficio (Cass., Sez. un., 25 maggio 2001, n. 226), senza che in ciò sia ravvisabile alcuna violazione del giusto processo – cfr. Cass. 6 giugno 2011, n. 12159 -. La finalità di detta rilevabilità d’ufficio è, infatti, rappresentata dall’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, le quali non interessano soltanto le parti in causa, risultando l’autorità del giudicato riconosciuta non nell’interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell’interesse pubblico, essendo essa destinati a esprimersi – nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile – per l’intera comunità. In conseguenza la relativa eccezione non afferisce al potere dispositivo della parte e non è rinunciabile (cfr. Cass. 14 ottobre 1999, n. 11570).

Da ciò consegue che, in mancanza di pronuncia o nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia affermato la tardività dell’allegazione – e la relativa pronuncia sia stata impugnata – il giudice di legittimità accerta l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali mediante indagini ed accertamenti, anche di Fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito. E’ stato anche precisato che il rilievo dell’esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva e precisa allegazione della sentenza con la comparsa di costituzione, essendo sufficiente la successiva esibizione della stessa – cfr. Cass. 16 gennaio 2004, n. 630 che ha cassato senza rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto non rilevabile il giudicato esterno di una sentenza i cui estremi non erano stati indicati nella comparsa di costituzione, malgrado il successivo deposito della stessa.

Nella specie, si evince dallo stesso ricorso per cassazione che la sentenza del Tribunale di Roma n. 13944/2005 era stata già depositata dal Ministero agli atti del proprio fascicolo nel giudizio di primo grado.

Si rileva, poi, dalla sentenza impugnata che, nel corso del giudizio di secondo grado, parte appellata si era limitata ad eccepire l’irrilevanza del giudicato esterno formatosi su detta sentenza mancando nella stessa la rafia decidenti; e a dedurre che, essendo passati oltre sei anni dal passaggio in giudicato senza che questo fosse stato formalmente eccepito in primo grado, vi era stata una “rinuncia a far valere tale eccezione”.

La circostanza dell’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza in questione era, dunque, pacifica tra le parti, controversa essendo solo la valenza dello stesso in causa.

Ciò rende del tutto legittimo l’esercizio dei poteri d’ufficio da parte della Corte territoriale volti ad acquisire la piena certezza della formazione del giudicato attraverso l’attestazione della cancelleria del Tribunale di Roma.

Si propone, pertanto, il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

2 – Non sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va rigettato.

5 – La regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità segue la soccombenza.

6 – Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della lepge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

La suddetta condizione sussiste nel caso in esame.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Ministero Affari Esteri, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2016

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